Su Disney+, con uno spettacolare Hiroyuki Sanada, Shōgun immerge lo spettatore nella cultura e nella filosofia nipponica attestandosi come una delle migliori produzioni degli ultimi anni
di Lorenza Negri da Wired del 27 febbraio 2024
Shōgun è una produzione che mira alla perfezione, avvicinandocisi pericolosamente. Versione aggiornata del romanzo omonimo di James Clavell prodotta da Fx e distribuita in Italia da Disney+, la miniserie in dieci episodi è un’appassionante ed epica combinazione di avventura, azione e politica con un tocco di romance. Una narrazione maestosa accosta con ispirato ardire le scene di violenza più cruente a quelle di lirismo più toccanti per raccontare la cultura, la filosofia e la storia del Giappone feudale del XVII secolo (per i veri estimatori segnaliamo The World of Shōgun la mostra dedicata al Giappone della fine del 1600 al periodo Meiji visitabile gratuitamente su prenotazione l’1 e il 2 marzo presso lo spazio espositivo della Casa degli Artisti di Milano). Temeraria e pacatamente composta al tempo stesso, Shōgun introduce sé stessa con la falsa premessa di un’avventura picaresca: il suo protagonista, John Blackthorne (Cosmo Jarvis) è un marinaio inglese scaltro in cerca di bottini in viaggio sulla nave mercantile armata olandese Erasmus.
Il destino gli offre un futuro totalmente inaspettato quando, alla deriva sulle sponde del villaggio giapponese Anjiro con la sua ciurma, viene preso prigioniero dal sadico Kashigi Yabushige (Tadanobu Asano), affiliato del saggio daimyō Yoshii Toranaga (Hiroyuki Sanada). Blackthorne, subito ribattezzato “anjin” (pilota) per la sua occupazione sulla nave, si confronta con la dilagante presenza dei portoghesi cattolici, furbi e influenti. Toranaga, intuendo l’importanza di avere dalla sua un europeo protestante a conoscenza di fatti e della cultura occidentali, lo coinvolge nei suoi intrighi politici, che lo vedono rivaleggiare con gli altri signori a cui è affidato il governo di Edo. Tra costoro figura Ishido Kazunari (Takehiro Hira), l’acerrimo avversario che mira a spodestarlo, timoroso che Toranaga prenda il potere diventando il predestinato Shōgun, il generale protettore del paese. Blackthorne, coadiuvato dalla nobile Lady Mariko (Anna Sawaii), la traduttrice di fede cattolica incaricata di introdurlo alla cultura locale, si adatta incredibilmente in fretta a usi e costumi locali, rimanendo profondamente colpito dal senso dell’onore che pervade i signori, i samurai e le loro compagne che lo circondano, di contro alla mancanza di valori con cui è cresciuto.
Rispetto al celebre adattamento del 1980 del romanzo di Clavell, che vedeva al posto di Sanada e Jarvis Toshiro Mifune e Richard Chamberlain, i produttori della versione di Fx Justin Marks e Rachel Kondo concentrano l’osservazione, fornita dal punto di vista di Blackthorne, sui personaggi sullo scaltro e acuto signore che ne ha fatto la sua pedina riluttante, Toranaga, e su Mariko, la nobildonna per la quale nutre un amore impossibile. Quella di Shōgun è una panoramica suggestiva e approfondita sulla cultura nipponica di un’epoca dove una morte onorevole era più importante della vita – e anzi l’elevava -, dove un sistema complicato e sublime di codici informava uno stile di vita tanto nobilmente condotto da rendere ciascuna esistenza l’esemplare messa in atto di una filosofia maestosamente rigida che vedeva la sua massima espressione nel senso del dovere, nel sacrificio e nella feticizzazione della morte eroica. Il kaizoku (pirata) Blackthorne, rimane affascinato dall’interpretazione di shukumei (destino) che domina la condotta delle persone con cui viene a contatto. Specialmente Mariko, purissima manifestazione di questa filosofia che tocca la sua vetta in un dialogo emozionante e di algido lirismo tra i due culminante nella spiegazione dello stato mentale dello “scomparire dentro sé stessi”.
L’eloquenza di Toranaga si manifesta invece nell’arte politica; il signore feudale è uno stratega di geniali e vincenti macchinazioni, anche quando parte da una posizione estremamente sfavorevole. Tutti contribuiscono a esporre il contrasto tra due culture, tra l’esasperato individualismo occidentale e il concetto del bene comune supremo orientale, incapsulando il fascino che quest’ultimo irradia infatuando noi, il pubblico occidentale, quanto Blackthorne. Shōgun si apre con tre episodi introduttivi della storia e del contesto in cui si muove Blackthorne per poi focalizzarsi nella parte centrale sulla sua educazione, dipanandosi nel sorprendentemente breve periodo che il marinaio impiega ad assimilare usi, costumi e lingua, per poi culminare nella sezione finale e più cruenta della faida tra Toranaga e Ishido. Marks e Kondo attingono per queste scene allo stile del vasto genere delle pellicole giapponesi sui samurai (quelle che, a loro volta, prendevano ispirazione dai western hollywoodiani). Il risultato è una serie che non lesina sul gore, con una rappresentazione vagamente compiaciuta di membra che esplodono e corpi squarciati (da notare il gusto con cui la telecamera si sofferma sulla strage dei samurai colpiti dai cannoni inglesi), di scontri furibondi dove i protagonisti mantengono una superba eleganza mentre inondano di sangue il campo di battaglia.
La messa in scena di Shōgun è sbalorditiva in ogni frangente, visivamente impeccabile nella rappresentazione della sobria eleganza di ciascun ambiente. La meravigliosa confezione rende difficile distogliere lo sguardo ma senza distrarre dai coinvolgenti archi narrativi di ciascun personaggio: la forma non diventa mai più importante del contenuto. In questa serie che riesce a essere appassionante e appassionata e al contempo fredda e distaccata come i suoi protagonisti – impeccabili nel contenere le emozioni che ne sconvolgono l’animo eppure capaci di momenti di spiazzante tenerezza e dolcezza – l’unico elemento che non convince è Blackthorne. Necessariamente una presenza volutamente dissonante nei panni dello straniero il cui sguardo e la cui esperienza mediano la visione dello spettatore occidentale di un mondo sconosciuto, è interpretato da un Jarvis poco carismatico, perennemente smarrito e disorientato. La sua presenza poco nitida ammanta di incredulità l’efficacia delle gesta del suo personaggio, straordinariamente dotato nel rivolvere le situazioni più spinose. La sua performance non è in realtà così scialba come la percepiamo, è il contrasto con le ottime prove attoriali della Sawai e soprattutto di Sanada a renderla tale.
La Sawaii, che già ha brillato in Pachinko e in Monarch: Legacy of Monsters fornisce una splendida interpretazione della pacata donna amata da Blackthorne. L’impeccabile Sanada, anche produttore della serie, è una presenza conosciuta al pubblico occidentale dalla fine degli anni ‘90 grazie agli horror giapponesi The Spiral, Ring e Ring 2 e poi grazie ai film occidentali di L’ultimo samurai (erede diretto del Shōgun di Clavell), Sunshine, Wolverine – L’immortale, e alle serie fantascientifiche Helix ed Extant. Nei panni di Toranaga, il minuto Sanada è un gigante che irradia una calma regalità e un’immensa forza interiore. Nel cast si distinguono anche l’eccentrico Tadanobu Asano di Ichi the Killer e Zatoichi (è anche nei film su Thor), nei panni dell’intrigante Yabushige, e la giovane Moeka Hoshi in quelli della vedova Usami Fuji. Tirando le somme, Shōgun è una serie strutturata ed equilibrata, emozionante e intellettuale, uno dei pochi successi annunciati recenti con un cast prestigioso e di un ingente budget che non delude.