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Caravaggio. Quel genio maledetto che rivoluzionò l’arte del suo tempo

di Massimo Centini per Storia in Rete del 6 agosto 2024

Lo storico dell’arte piemontese Roberto Longhi (1890-1970) ha fatto sì che Caravaggio rientrasse con vigore nella storia, acquisendo quella posizione e l’eco che certamente merita. Infatti, anche lui, come altri artisti del suo tempo, “passò di moda” nel Settecento, precipitando in una sorta di oblio da cui, come detto, Longhi riuscì a trarlo. La sua azione contribuì alla diffusione dell’opera di Caravaggio, rivalutandone tecnica e poetica, dando inizio a un’inarrestabile serie di studi che via via sono andati in crescendo e attualmente costituiscono un patrimonio di immenso interesse per conoscere l’attività creativa di un artista straordinario, ma anche problematico dal punto di vista umano.

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Michelangelo Merisi, ormai universamente noto come Caravaggio (1571-1610), oggi può essere considerato uno tra i più grandi artisti non solo del XVII secolo, ma di tutta la storia dell’arte occidentale. Fu un pittore in grado di rivoluzionare l’arte del suo tempo, sia per il nuovo linguaggio figurativo di cui divenne esponente di rilievo e per molti aspetti caposcuola, ma anche per essere riuscito a trasferire sulla tela persone, fatti ed emozioni comuni: espressioni e vicende della gente del popolo, incontrata per strada, nei mercati, in osteria o al bordello.

Questa sua uscita dai canoni figurativi ed etici di quel tempo, ha contribuito ad accentuarne l’eco di peccatore, depravato e anche criminale, enfatizzata da luoghi comuni consolidatisi nel tempo.

La storiografia romantica ha ricamato sulla vita di quest’uomo, indubbiamente burrascosa e violenta, contribuendo a creare e diffondere non pochi luoghi comuni. Di certo Caravaggio ci ha messo del suo. È noto che non avesse un buon carattere: aspetto questo destinato a sorreggere l’aura di “maledetto” che, innegabilmente, ha fatto un po’ da effetto volano alla diffusione della sua immagine e ha contribuito a rimettere in gioco la sua storia e il suo lavoro.

L’artista “maledetto” è spesso isolato dal contesto, in cui violenza e comportamenti al limite del criminale, caratterizzarono l’esistenza di numerosi altri personaggi dell’epoca, anche molto famosi. Su questa linea si pongono anche le presunte tendenze omosessuali di Caravaggio, ritenute non marginali e addirittura indicative per interpretare alcuni dei suoi dipinti giovanili: la presenza di soggetti efebici è uno degli indizi. Quei soggetti avevano come modelli giovani incontrati negli ambienti popolari romani. Da lì proveniva, per esempio, quali Mario Minniti (1577-1640) che, come vedremo, ebbe un ruolo non secondario nell’ultima fase  della vita del Merisi; ma la presunta omosessualità sarebbe stata alla base di relazioni anche in ambienti sociali elevati: per esempio con il cardinale del Monte (1549-1626/27) e il marchese e banchiere Vincenzo Giustiniani (1564-1637); ma si tratta di illazioni che non hanno riscontri nelle fonti.

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Verrebbe da pensare che le scelte sessuali di Caravaggio siano state sfruttate per accentuare la sua aura di “maledetto”, avendo come referente soprattutto alcune tele del periodo romano nelle quali sono presenti figure effemminate. Sarebbe necessario far riferimento alla cultura del tempo di Caravaggio e quindi applicare i codici iconologici dell’epoca per avere un’idea chiara della sua collocazione sociale e umana.

Al di là di ogni ripiegamento su questioni come l’omosessualità del pittore, resta comunque inscindibile la sua opera creativa dal modo in cui si poneva nei confronti degli altri. Prima di tutto va detto che ebbe l’intuizione e il coraggio di trasformare prostitute in modelle per la Vergine e le sante; così come si avvalse di furfanti e ubriaconi per far loro rivestire ruoli di martiri o eroi. Infatti, i suoi personaggi, prima di essere figure della storia, della religione o del mito, sono soggetti tratti dalla società dell’epoca.

In seconda battuta va considerato che nei rapporti con i propri simili ebbe atteggiamenti sempre borderline: da un lato grandi amici per la pelle, compagni di bravate e di sbronze; dall’altro nemici giurati contro i quali alzare le mani e la spada anche per un nonnulla.

La sua fu quindi una vita movimentata, vissuta intensamente e anche al di sopra delle righe che, dopo il suo arrivo a Roma, si bruciò in meno di un ventennio, dandogli la possibilità di conoscere gloria e onori, ottenendo la protezione di autorevoli personaggi dell’epoca, ecclesiastici e nobili (tra i quali gli Sforza e i Colonna): esponenti del potere dai quali giunsero committenze e denaro. Ma conobbe anche la sofferenza, la rabbia, il disonore, la paura, la fuga fino alla morte in disperata solitudine.

Insomma, abbiamo compreso che Caravaggio è stato celebrato soprattutto per essere il maestro del naturalismo più autentico, che si sorregge sulla presentazione della vita colta nella quotidianità e proposta anche nelle sue angolazioni più opache. Angolazioni che l’artista conosceva molto bene e provenienti da una costante frequentazione di persone e luoghi posti ai margini. In particolare gente che spesso divenne modella per opere destinate a essere celebrate nei secoli: donne e uomini del popolo, che si caricavano con un’aura di prorompente teatralità, resa particolarmente viva dall’artista con un equilibrato uso delle luci e delle ombre, unite all’unisono in un chiaroscuro con il quale volti e corpi enfatizzano la fisicità, rimanendo comunque sempre ben ancorati al più autentico realismo.

Possiamo credere che il carattere di Caravaggio – potremmo considerarlo un anticonformista – abbia svolto una funzione importante nello spingerlo a creare quel suo stile innovativo: si potrebbe dire che forse vi fu una relazione tra il suo temperamento e la sua forte attenzione per il realismo, anche quello più crudo e mai edulcorato dalla mistificazione pittorica.  Fu un uomo senza mezze misure, che forse anche per questa sua schiettezza comportamentale e artistica è particolarmente amato dalla gente.

Una schiettezza che certo poteva entrare duramente in contrasto con la regolamentazione in fatto di arte sacra stabilita dalla Controriforma e che di certo faceva sentire il suo peso.

È infatti indicativo che alcune delle opere di Merisi siano state censurate proprio in ragione dell’allontanamento da quei principi etici e teologici che dovevano caratterizzare l’iconografia cristiana, così come appunto le revisioni post-tridentine avevano imposto.

Dobbiamo però considerare che la vita di Caravaggio, così come capita ai personaggi diventati per vari motivi dei simboli, in parte è annebbiata dalla leggenda e tende ad assumere alcune peculiarità del mito. Ma è fisiologico e solo la ricerca basata sulle fonti, consente di alleggerire la coltre di quella nebbia per riportare la biografia del personaggio tra i parametri della storia.

Quindi, il paradosso principale sta nella contrastante differenza tra la vita vissuta e quella descritta e immaginata in seguito, anche in ambito storiografico.

La sua esistenza fu gianiforme: su un fronte una committenza importante e una serie di conoscenze che gli garantirono un’agiatezza notevole; basti ricordare che, quando Caravaggio giunse a Roma, le sue tele erano quotate tra i quattro e i dieci scudi, per giungere a centocinquanta in pochi anni e toccare quattrocento scudi poco prima della fuga dalla capitale.

Sull’altro fronte abbiamo un modus vivendi privo di sfarzi, condotto scegliendo il popolo e le persone semplici come compagne con cui condividere la quotidianità.

Quindi anche quando ebbe al suo attivo incarichi e committenze di prestigio, non interruppe la frequentazione di osterie di basso livello, condividendo il suo tempo libero dal lavoro con ubriaconi, prostitute e giocatori d’azzardo, tra i quali spesso scoppiavano liti furibonde.

Questo orientamento ha in parte contribuito a favorire l’enfatizzazione del Merisi criminale, che tanta eco ha ottenuto e continua a ottenere.

Inoltre, chi poteva contare su conoscenze altolocate – anche e forse soprattutto tra i prelati – aveva modo di farla franca, anche se aveva commesso crimini di una certa gravità. Caravaggio fu uno di quei fortunati che ebbero appoggi tali da consentire una discreta protezione. Insomma è vero che avesse un numero rilevante di nemici, ma aveva anche amici importanti e influenti. Molto influenti.

Volendo mantenere un’osservazione obiettiva e razionale, potremmo dire che Caravaggio, a differenza della maggioranza delle persone del suo tempo (e forse anche di quelli successivi), fu un genio dell’arte: aspetto questo sul quale c’è accordo globale. Se invece ci rivolgiamo al comportamento violento e rabbioso, dobbiamo prendere atto che allora erano numerose le persone armate di spada e sempre pronte a menare le mani. Quindi non “maledetto” così come l’orientamento romantico vorrebbe farci credere, ma certo un personaggio non facile in cui  genio e una buona dose di sregolatezza in effetti convivevano.

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