Matteo Strukul porta i lettori in viaggio nel tempo verso la Vicenza rinascimentale eretica e feroce
di Matteo Sacchi da Il Giornale del 15 febbraio 2024
La morte sa essere misteriosa. A volte, anche quando rapisce un genio – è il caso di Andrea della Gondola detto il Palladio (1508-1580) – lascia poche tracce e molti misteri. Sono tante infatti le domande che restano aperte attorno all’improvvisa scomparsa del grande architetto, il cui corpo venne ritrovato dopo diversi giorni e di cui non si conosce la causa del decesso. Con certezza si conoscono, invece, le disavventure in cui incapparono i suoi figli: Leonida coinvolto in faide, omicidi e violenza; Orazio, colto giureconsulto che, però, finì inquisito per eresia. Indizi di un’esistenza complessa e travagliata, molto lontana dall’armonia delle forme che il Palladio perseguiva come architetto.
Abbastanza per aprire un piccolo cold case e girarlo in letteratura, proprio quello che riesce a Matteo Strukul: del resto del giallo storico ha fatto un marchio di fabbrica. Tirando le fila della documentazione esistente e con una piccola aggiunta di fantasia criminale ha costruito una novella nera dagli equilibri architettonici perfetti: L’oscura morte di Andrea Palladio (Rizzoli, pagg. 206, euro 9,90).
Indizi, documenti, una città tranquilla come Vicenza che però nel Rinascimento cova sotto la ricchezza tanta violenza: abbiamo chiesto a Matteo Strukul come è approdato a questa vicenda.
Vicenza e Palladio, all’apparenza non un contesto, per quello che ne sanno i più, che avrebbe fatto pensare ad un cold case…
«Onestamente, come spiego nella nota dell’autore al libro, a fornirmi lo spunto di partenza è stata una formidabile scrittrice e sceneggiatrice: Silvia Gorgi. Lo ha fatto con il suo Storie segrete della storia di Padova – Palladio è padovano – che ho letto, poi mi ha anche incoraggiato direttamente a scrivere. Era evidente che esisteva un pezzo della vita di questo grande artista studiato poco. Raccolta la sfida ho iniziato a ripercorrere questa storia piena di ombre, l’ho trovata perfetta per questa vena veneta – balzachiana che mi caratterizza un po’. E poi mi piaceva che emergesse l’altro lato di un personaggio che conosciamo per il suo culto dell’armonia, della bellezza formale per il recupero dei modelli classici… Bravi armati sino ai denti che si scontrano in faide cittadine con il figlio di Palladio in mezzo, la scomparsa di Palladio a Maser, la ricomparsa del cadavere dopo una settimana, il processo per eresia di un altro figlio… È pazzesco, stiamo parlando dell’architetto più famoso della storia e di tutto questo si racconta poco. Non è stato indagato dal punto di vista del privato quasi per niente. Era perfetto per creare una novella nera».
Un punto centrale del romanzo è proprio la vicenda dei figli, su questo ha romanzato ma nemmeno tanto. Non ha dovuto allontanarsi tanto dalle fonti, giusto?
«Per quanto riguarda Leonida, il figlio maggiore, ci avvicina alla violenza che covava sotto lo splendore rinascimentale di Vicenza. Oltre ad essere committenti di splendidi palazzi per Palladio, le famiglie importanti della città erano anche al centro di feroci contrasti, basti pensare al così detto massacro dei Valmarana, ammazzati per un matrimonio rifiutato. Dentro le nuove famiglie abbienti, legate al commercio della lana, si era creato un microcosmo dove la bellezza e le esplosioni di violenza andavano di pari passo. In questo sottobosco Leonida, che pure era talentuoso, finì invischiato fino a essere coinvolto in un duello che si concluse con l’avversario morto e con il volto deturpato. Palladio intervenne sul processo per salvare il figlio? Onestamente sembra un processo molto addomesticato, ma non bastò certamente a fermare il meccanismo delle vendette private».
Invece per quanto riguarda l’altro figlio di Palladio coinvolto in un processo per eresia?
«Un’altra caratteristica dell’ambiente vicentino, in cui si muovevano Palladio e la sua famiglia, era quella della diffusione delle idee della Riforma protestante. Spesso le grandi famiglie vicentine partecipavano a conventicole che propugnavano un’idea della religione più libera, con un ruolo ridotto della Chiesa come intermediaria tra l’uomo e Dio. Tutto questo, ovviamente, ebbe degli effetti anche nell’ambito della cultura, soprattutto grazie ad Odoardo Thiene che a Palladio era legato. Era naturale che il più colto dei figli di Palladio venisse coinvolto in questo ambiente. L’inquisizione, però, iniziò a mettere sotto controllo l’ambiente cittadino. La Serenissima con i Tre savi sopra l’eresia, che erano magistrati cittadini, mantenne una certa autonomia. Invece le altre città dei domini di terraferma, come Vicenza, subirono un controllo molto più stretto».
Normale che Palladio si trovasse ad essere in qualche modo tenuto sotto controllo…
«Aveva un ruolo culturale di spicco, era al centro di un recupero di modelli pagani peraltro: ma Palladio tutto faceva tranne che porsi contro qualcuno, aveva un buon carattere, era malleabile, sino al punto di non insistere mai nemmeno per i pagamenti. Detto questo, anche la scomparsa quasi contemporanea dei suoi figli nel 1572 ha un che di misterioso. Anche i commentatori dell’epoca l’avevano notato».
Insomma un mistero quasi come quello di Caravaggio.
«Solo che in questo le ombre sono state ignorate. In un certo senso ha prevalso l’immagine tranquillizzante del palladiano. Palladiano una parola che è conosciuta in tutto il mondo e che trasmette un’immagine precisa. Uno sguardo diverso sulla vicenda secondo me era il caso di darlo. Ovviamente io ho romanzato, però del mistero in queste morti c’è».