The Gilded Age, la serie televisiva realizzata da Julian Fellowes, mente dietro il successo globale di Downton Abbey, è arrivata alla terza stagione. Ambientata nella New York di fine ‘800 si presenta apparentemente come serie di intrattenimento di pura finzione, senza pretese storiche, eppure tra le pieghe della vicenda nasconde molti più personaggi reali di quanto si potrebbe immaginare a prima vista. Ne aveva già parlato Vogue per la seconda stagione, proviamo ad approfondire con il taglio dello storico, scopriremo che al netto delle scelte un po’ eclettiche (ma azzeccatissime) della costumista per gli abiti femminili avremo una serie storicamente “quasi” ineccepibile. Altro che Brigderton le cui pretese storiche amplificate dai media erano prive di sostanza e fondamento. E altro che M – Il figlio del secolo dove al netto del nome dei personaggi storici della sostanza dei fatti reali resta veramente poco.
Da Downton Abbey a The Gilded Age
Downton Abbey è stato un successo globale combinando un’ambientazione sempre d’interesse, la nobilità britannica e le loro magioni di campagna, con un taglio storico. La modernità della Storia, dal naufragio del Titanic alla Grande guerra, che si fa strada nelle vite impeccabili e sempre uguali dei lord britannici. Con un pizzico di questioni dinastiche e critica sociale: le vite in parallelo dei nobili e della loro servitù.

Downton Abbey non è di per sé un’operazione originale. L’idea della nobiltà in declino che si rapporta all’arrivo della modernità e del confronto con la servitù intesa come altra classe sociale viene da un classico televisivo della BCC degli anni ’70, Upstairs, Downstairs arrivata in italiano sulla Rai come Su e giù per le scale. Serie che divenne la base per il film di Robert Altman del 2002 Gosford Park che vedeva proprio Julian Fellowes come sceneggiatore. E proprio il successo di quel film fa nascere al produttore Gareth Neame della Carnival Films l’idea di contattare Fellowes per un dramma d’ambientazione storica che diventerà poi Downton Abbey.
E la prima idea di The Gilded Age nasce in continuità con Downton Abbey. Lo spunto iniziale è di realizzare un prequel che racconti l’amore tra i protagonisti di Downton Abbey: Lady Cora, la ricca ereditiera statunitense, e Lord Grantham il nobile britannico. Lo studio della società newyorkese di fine Ottocento porta però Fellowes ad abbandonare i piani iniziali per dedicare un’opera incentrata sull’apice della ricchezza e dello sfarzo di quella New York, la Gilded Age, l’età dorata dal 1870 al 1901, come la definì Mark Twain e che portò l’alta società statunitense a sfidare sullo stesso piano di ricchezza e sfarzo la controparte europea.
Knickerbockers contro Robber Baron
Se la vera protagonista è quella società dorata, Julian Fellowes in The Gilded Age replica comunque con successo la formula rodata di Upstairs, Downstairs poi Gosford Park poi Downtown Abbey: famiglia dell’alta società (e i loro domestici) che si confrontà con la nuova epoca che sta arrivando.

Nel caso di The Gilded Age non la modernità in senso stretto, bensì l’arrivo dei nuovi ricchi, i capitani d’industria delle ferrovie. Da un lato c’è la famiglia van Rhijn, il retaggio è quello dei primi coloni d’origine olandese i Dutchmen, meglio noti Knickerbockers, eredi diretti dei coloni dei Nuovi Paesi Bassi e della Nuova Amsterdam (fondata nel 1625 e che sarebbe diventa New York) i primi europei ad abitare quell’area. E dall’altra i Russell, esponenti di quell’aristocrazia ferroviaria-industriale che si stava facendo largo in quegli anni, e i cui capitani d’industria vennero soprannominati robber baron, i baroni da rapina per le loro politiche spregiudicate.
Un “petit chateau” a New York
L’incipit della serie che inizia nel 1882 è proprio il fatto che davanti alla casa della famiglia van Rhijn a Fifth Avenue venga inaugurata la sfarzosa magione dei Russell, che è diventata, ancora prima dell’inaugurazione l’oggetto delle chiacchiere dell’alta società newyorkese.
Evento fittizio ispirato all’inaugurazione di una magione neworkese nel 1882, il Petit Chateau come venne soprannominato, ovvero la William K. Vanderbilt House. Anche se la magione che compare in The Gilded Age non ha elementi eclettici e come architettura è più vicina ad un altro palazzo della famiglia Vanderbilt: il Vanderbilt Triple Palace, sempre completato nel 1882 e adiacente al Petit Chateau.

I Vanderbilt non compaiono nella serie, ma è evidente che Mrs.Bertha Russell e sua figlia Gladys siano ispirate direttamente ad Alva Vanderbilt e alla figlia Consuelo Vanderbilt (tra l’altro l’interprete scelta per la giovane Gladys Russell, Taissa Farmiga, è caratterizzata da una certa somiglianza con Consuelo Vanderbilt).

Bertha Russell ispirata ad Alva Vanderbilt perché la costruzione del petit chateau e il grande ballo che vi tenne nel 1883 erano un modo per diventare il simbolo dell’alta società newyorkese, sottraendolo a il ruolo Mrs.Astor, ovvero Caroline Schermerhorn Astor, la più eminente esponente dell’alta società della città (e di retaggio olandese) e che compare esplicitamente nella serie televisiva. Al netto delle vicende sentimentali dei vari personaggi il canovaccio della prima stagione di The Gilded Age è proprio il grande ballo di inaugurazione del palazzo dei Russell con un ballo che incoroni i Russell tra i grandi dell’aristocrazia newyorkese.
Gladys Russell e Consuelo Vanderbilt
Ancora più evidente il parallelismo tra la giovane Gladys Russell di The Gilded Age e Consuelo, la figlia di Alva Vanderbilt che si sviluppa nella seconda stagione. Nella finzione televisiva la signora Russell cerca di far andare in sposa la figlia al Duca di Buckingham, mentre nella realtà storica Consuelo Vanderbilt sposerà il 9° Duca di Marlborough.
Se dal lato femminile la famiglia Russel in The Gilded Age è una chiarissima citazione di Alva e Consuelo Vanderbilt, in realtà il padre e marito, Mr.Russel si discosta molto dalla dinastia dei Vanderbilt e dal vero William Kissam Vanderbilt. I Vanderbilt erano di orgine olandese, e soprattutto già il nonno di William K.Vanderbilt, Cornelius, era un magnate di prim’ordine.

Pure nella realtà storica della Gilded Age i Vanderbilt non erano ben visti da Caroline Astor, la gatekeeper dell’altissima società newyorkese, che annoverava, come scriveva il The New York Times nel 1892, quattrocento membri, i The Four Hundred.
Tanto è che Mrs.Astor, nonostante i Vanderbilt fossero magnati da generazioni e avessero ascendenza olandese, venivano pur sempre da Staten Island e non da Manhattan che aveva sempre rappresentato il centro di New York. Inoltre Mrs.Astor giudicava la ricchezza che discendeva dalla ferrovie rozza e volgare.
L’Academy of Music e il Metropolitan
E la rivalità tra Caroline Astor e Alva Vanderbilt diede vita a un’altra celebre vicenda centrale nella seconda stagione di The Gilded Age: ovvero la costruzione del Metropolitan Opera House, il celebre teatro dell’opera newyorkese.
Nel 1854 a New York era stato inaugurato l’Academy of Music, primo teatro lirico newyorkese ad avere successo dopo i brevi tentativi dell’Italian Opera House fondato dal librettista Lorenzo Da Ponte che riuscì a ospitare due stagioni e l’Astor Opera House che funzionò per sei stagioni. L’Academy of Music era il centro dell’aristocrazia newyorkese, gli Upper ten thousand ben gelosi dei propri privilegi e della propria esclusività.
I nuovi ricchi, ovvero i Vanderbilt, i Gould, i Morgan e i Rockfeller inizialmente furono tenuti fuori dalla possibilità di avere palchi all’Academy of Music e questo li portò a finanziare la costruzione di un nuovo teatro lirico, quello che nel 1884 sarebbe diventato il Metropolitan Opera House sulla 39a strada. Nonostante i tentativi in extremis di realizzare nuovi palchi per le facoltose famiglie, il destino dell’Academy of Music fu segnato. Nel 1883 si inaugurava il Metropolitan, e tre anni dopo l’Academy cancellava la sua stagione lirica.

Nella seconda stagione di The Gilded Age Bertha Russell diventa l’animatrice della costruzione del Metropolitan, in un ulteriore parallelismo tra i Russell e i Vanderbilt.
George Russell e Jay Gould
Per quanto Bertha e la figlia Gladys prendano spunto dalle Vanderbilt, per George Russell, marito e padre, l’ispirazione non è come detto William Kissam Vanderbilt. George Russell è mostrato come un assoluto self made man nel business delle ferrovie. L’ispirazione per il suo personaggio è quella del robber baron per antonomasia, ovvero Jay Gould.
Gould è il simbolo stesso dei robber baron, esempio di self made man, che per quanto venisse da una famiglia di uomini d’affari era cresciuto in ristrettezze economiche facendo fortuna scommettendo sui titoli delle aziende ferroviarie.
The Gilded Age: Ward McAllister e Mamie Fish
Insomma per i Russell si gioca di analogia con figure storiche realmente esistite: Bertha,Gladys e George sono Alva Vanderbilt, Consuelo Vanderbilt e Jay Gould. Il loro tentativo di affermarsi nell’alta società newyorkese è ostacolato da Mrs.Astor citata esplicitamente. Tra i Russell e Astor si inseriscono altre figure storiche. La scalata al successo nel bel mondo newyorkese è supportato da Ward McAllister, prima alleato di Caroline Astor e poi furbescamente di supporto a Bertha Russell.
Anche McAllister, come Caroline Astor è un personaggio realmente esistito che fu effettivamente l’arbitro è il gran cerimoniere dell’alta società newyorkese.

Tra i personaggi storici ricorrenti WardMcAllister è quello più visibile nella serie televisiva. Compare anche Marion Graves Anthon Fish, Mamie Fish, altro fulcro del bel mondo newyorkese della Gilded Age. A differenza di McAllister e Astor, Mamie Fish era una vera animatrice dei balli e delle feste dell’età dorata. Leggenda vuole che organizzò una festa per accogliere un nobile europeo, tal Principe Del Drago di Corsica. Alla fine il principe si rivelò una scimietta vestita di tutto punto.

I matrimoni di Arabella Duval Huntington
Altra figura dell’alta società di The Gilded Age ispirata a un personaggio reale è Sylvia Chamberlain che compare solo nella prima stagione. Presentata come grande esperta d’arte e collezionista è ostracizzata per il suo scandaloso passato: amante per anni del magnate Augustus Chamberlain che sposa pochi mesi dopo la morte della moglie di questi. Sylvia Chamberlain, interpretata da Jeanne Tripplehorn, è ispirata da Arabella Duval Huntington.
Questi lavorò come badante di Elizabeth Stillman Stoddard, moglie malata di Collis P. Huntington, un magnate delle ferrovie. Probabilmente Arabella aveva già conosciuto Collis P. Huntington, di trent’anni più vecchio di lei, prima di arrivare a New York. Dieci mesi dopo la morte di Elizabeth Stillman Stoddard Arabella e Collis si sposeranno, vivendo insieme sedici anni. Arabella diventerà celebre filantropa e promotrice di iniziative culturali, ma quel matrimonio non sarà il suo ultimo scandalo.
Arabella nel 1913 si sposerà con Henry E. Huntington, suo coetaneo e nipote di Collis P. Huntington (Henry era figlio di Solon, fratello maggiore di Collis). Troppi scandali per il pubblico amante delle serie in costume firmate da Julian Fellowes e Sylvia Chamberlain resta un personaggio interessante ma costretto a rimanere sullo sfondo.
I camei di personaggi storici
Ma non ci sono solo le figure storiche del bel mondo newyorkese Caroline Astor, sua figlia Carrie, Ward McAllister e Mamie Fish in The Gilded Age. Compaiono altri personaggi storici sia come camei per i personaggi più celebri, sia ispirando sottotrame.
Camei celebri sono Oscar Wilde al 3° episodio della seconda stagione eil pittore John Singer Sargent nel 1° episodio della terza stagione. Sargent è impegnato a ritrarre Gladys Russell e c’è spazio per una battuta sullo scandalo che fece il dipinto Ritratto di Madame X una volta esposto a Parigi nel 1884.
Meno nota la soprano svedese Christina Nilsson che compare nel 1° episodio della seconda stagione. Tra le cantanti liriche più celebri del periodo fu anche la probabile ispirazione per la figura di Christine Daaé ne Il fantasma dell’opera, il celebre romanzo di Gaston Leroux.
L’architetto White, Clara Barton e l’American Red Cross
Nel primo episodio compare anche l’architetto Stanford White, che nella realtà fu tra i più celebri architetti del filone Beaux-Arts negli Stati Uniti della fine dell’800, tra le sue opere maggiori il secondo Madison Square Garden. In The Gilded Age è presentato come l’architetto del palazzo dei Russel. Nella realtà storica Stanford White lavorò con i Vanderbilt, ma non progettò ne il Vanderbilt Triple Palace (progettato da John B. Snook e Charles B. Atwood) né il Petite Chateau (progettato da Richard Morris Hunt).
Sempre nella prima stagione compare Clara Barton, infermiera durante la Guerra di Secessione, e fondatrice della American Red Cross. Nella finzione di The Gilded Age saranno le cospicue donazioni dei Russell a permettere la fondazione del capitolo statunitense della Croce Rossa.
Nella terza stagione spazio agli affari con la comparsata John Pierpont Morgan Sr., quel J.P. Morgan a cui George Russell si rivolge per affari.
Fortune e Washington: il tema dei diritti civili
Tema presente fin dalla prima stagione ma sviluppato soprattutto nella seconda stagione è quello dei diritti civili e dell’integrazione della comunità afroamericana negli Stati Uniti post guerra di secessione. Sebbene sia uno dei temi maggiormente attualizzati, e se pure non manchi qualche forzatura, è comunque trattato in maniera coerente sfruttando due figure storiche di primo piano dell’élite intelettuale nera dell’America ottocentesca: Timothy Thomas Fortune e Booker Taliaferro Washington.
Tra i personaggi immaginari principali della serie c’è Peggy Scott diplomata all’Institute for Colored Youth, primo college per afro-americani attivo a Philadelphia dal 1837. Il padre Arthur, ex schiavo, è un farmacista affermato. Quasi per caso Peggy diventa la segretaria di Agnes van Rhijn, simbolo della vecchia élite newyorkese.
Elementi intersezionali nella serie HBO
Il suo desiderio di emancipazione e diventare una scrittrice affermata ha un approccio pienamente intersezionale: Peggy Scott ha un complesso rapporto con la famiglia d’origine. Il padre l’ha costretta ad annullare un matrimonio sgradito dando suo figlio in adozione. Pure al netto di una forzatura nell’interazione con altri personaggi e della chiave di lettura intersezionale Peggy Scott è sceneggiata in maniera coerente e non così fuori posto nella ricostruzione dell’epoca. La mano di Julian Fellowes è tale da non renderla il classico anacronismo farisaico a cui ci hanno abituato cinema e televisione contemporanei.
Rimane una forzatura evidente: la totale assenza di forme di razzismo da parte dell’alta società newyorkese dell’epoca. Unico razzista a New York un membro della servitù di casa van Rhijn: Miss Armstrong. Miss Armstrong è la cameriera personale della padrona di casa Agnes van Rhijn e il suo razzismo è dovuto alle origini nel sud schiavista che la rendono l’unico personaggio apertamente razzista.
Razzismo a New York
Scelta coerente, siamo a vent’anni dalla fine della Guerra civile, e il mito della Lost Cause confederata iniziava a farsi strada. Allo stesso modo incoerente, visto che erano proprio quelli del “vecchio sud” abituati ad avere servitù di colore (e a conviverci), ad avere inizialmente meno problemi di convivenza con la comunità afroamericana. Come ricorda Luraghi ne Storia della Guerra civile americana, non era inconsueto che prima della guerra l’alta società del sud schiavista e agricolo rimanesse stupita dall’atteggiamento della “buona società” del nord industriale e capitalista nei confronti dei valletti di colore quando i “sudisti schiavisti” si trovavano nel nord emancipato.
Dettagli storici che passano in secondo piano di fronte al fatto che fino alla terza stagione, non c’è razzismo a New York. Il razzismo a New York è solo accennato. Il problema razzismo riguarda unicamente il Sud come è raccontato nella seconda stagione.

Timothy Thomas Fortune
Nella prima stagione Peggy Scott conosce Timothy Thomas Fortune che nel periodo della Gilded age fu tra i principali intellettuali afroamericani. Economista e direttore di giornale, la sua testata New York Globe/New York Age/New York Freeman, che attraversò vari formati e cambi di nome, fu il principale periodico afroamericano da fine ‘800 fino ad inizio ‘900.
Nella seconda stagione è introdotto anche Booker T. Washington, di cui Fortune fu amico, consigliere e ghostwriter. Booker T. Washington è ricordato come intellettuale ed educatore e fu l’artefice dello sviluppo della Tuskegee Normal School. Nata come scuola per formare maestri di colore, sotto l’operato di Washington che ne fu preside dal 1881 al 1915 divenne prima un istituto tecnico, allargando via via i suoi percorsi curricolari. E arrivando (un secolo dopo nel 1985) al rango di università.
L’Istituto Tuskegee
Nella seconda stagione Peggy Scott e Thomas Fortune viaggiano in Alabama per conoscere Booker T. Washington e l’Istituto Tuskegee. Viaggio dove Peggy Scott che aveva sempre vissuto in totale naïveté la quasi totale assenza di razzismo tra New York City e la Pennsylvania, scopre come vanno le cose nel Sud liberato.
Sulla raffigurazione di Thomas Fortune lo storico attento conoscitore del periodo potrebbe fare una notazione. Thomas Fortune e suo padre Emanuel Fortune nacquero entrambi in schiavitù, ma Emanuel Fortune rappresentava uno di quei casi di melting pot che pure erano presenti nella Florida di inizio ‘800. Nato nel 1833 Emanuel Fortune era di padre irlandese, Thomas Fortune, morto in un duello pochi mesi dopo la sua nascita. Mentre la madre Dora Russ, schiava, aveva padre nativo americano, Seminole.
Sempre nella seconda stagione in cui il tema dell’emancipazione è maggiormente sviluppato, compare anche Sarah J. Garnet, la prima dirigente scolastica afroamericana.
Emily Warren Roebling, ing.
Tra le figure storiche più interessanti di The Gilded Age quella di Emily Warren Roebling, ingegnere e con il marito Washington Roebling, responsabile del completamento del ponte di Brooklyn che era stato progettato dal suocero John Augustus Roebling. Questi aveva ricevuto l’incarico del progetto nel 1867, ma due anni dopo nel 1869 morì per un’infezione da tetano dopo un incidente in cantiere. La responsabilità del progetto passò così al trentaduenne figlio Washington, che aveva sposato Emily Warren quattro anni prima. La coppia era appena rientrata dall’Europa dopo un viaggio studio di due anni per approfondire la tecnica dei cassoni per le fondazioni pneumatiche subacquee.

La profondità delle fondazioni subacquee del ponte di Brooklyn erano tali da causare problemi di decompressione, tanto che Washington Roebling riportò un’invalidità da decompressione. All’epoca la malattia da decompressione non era ancora nota, tant’è che i casi dovuti dalle fondazioni subacquee furono denominati caisson disease, malattia da cassone.
Con il capo dei lavori allettato, Emily Warren inizialmente sì occupò di trasmettere le direttive del marito. Ma visto che aveva accompagnato Washington in Europa e aveva comunque una buona formazione pre-universitaria, finì essa stessa ad occuparsi dei calcoli strutturali dei cavi del ponte sospeso. Arrivando poi a difendere fino alla fine il ruolo del marito come ingegnere capo nelle riunioni con politici, finanziatori e ingegneri.
Caisson disease, la malattia da decompressione
Nella serie si perde completamente la natura lavorativa della malattia di Washington Roebling, pure il tema è trattato in maniera fedele. Il vestito giallo che indossa Liz Wisan, interprete di Emily Warren Roebling è ispirato al dipinto di Carolus-Duran. Ritratto realizato in occasione della presentazione di Emily Warren alla Regina Vittoria nel 1896. E uno dei rari casi in cui Kasia Walicka Maimone (già costumista in Moonrised Kingdom di Wes Anderson e nel dramma ispirato ad Edgar Allan Poe The Pale Blue Eye) realizza per The Gilded Age un abito femminile filologico.
The Gildeed Age: molto più di una serie in costume
The Gilded Age è un prodotto di intrattenimento come il suo illustre predecessore Downton Abbey. Ma a differenza di Downton Abbey dove la Grande Storia gioca tra illustre cameo e motore degli eventi (L’incipit di Downton Abbey è l’affondamento del Titanic che porta con se complicate vicende dinastico-ereditarie) in The Gilded Age si prova anche a raccontare un pezzo di Storia ignota ai più.
Come detto i costumi di Kasia Walicka Maimone sono assolutamente eclettici e al primo impatto visivo il concetto di “fedeltà storica” appare piuttosto alieno a The Gilded Age. Eppure, nonostante l’apparente dissonanza, i costumi strambi ma ispirati raccontano di come l’aristocrazia del dollaro passava da imitare il bel mondo europeo a diventarne via via sempre più autonoma, gettando le basi del Secolo americano.
Certo il canovaccio principale restano gli amori difficili e un po’ di riflessione sociale, ma la Storia è trattata molto meglio di quelle serie televisive che per la loro promozione puntano sempre sul “riattualizzare” personaggi storici in chiave pop (come Bridgerton e la sua Regina Carlotta).
O di quelle serie che pur ambendo alla corona di fedele ricostruzione, preferiscono puntare sull’effettaccio e sulla comicità “scoreggiona” come M – Il figlio del secolo.
The Gilded Age non è solo un’ottima serie in costume. Ma a suo modo, nel prediligere una taglio visivo creativo, alla fine si rivela molto più “storicamente attendibile” della media e incuriosendo con un taglio inedito che porta lo spettatore ad approfondire. Raro che Vogue proponga approfondimenti storici. The Gilded Age è una serie televisiva da cui prendere spunto per chiunque voglia portare la Storia in televisione.