Cosa hanno in comune Francesco Baracca, Amedeo di Savoia Aosta e Carlo Pisacane? Un tempo si sarebbe detto (magari con un pizzico di retorica) quello di essere “fulgido esempio” di eroi italiani in epoche e contesti diversi. Oggi invece le prime due figure storiche sono “protagoniste” loro malgrado per un colpo di cancellino. Cancellazione riuscita una, tentata l’altra, che rimanda al tentativo sventato qualche anno orsono per l’eroe risorgimentale. Se le scuole Baracca e Savoia Aosta cambiano nome, cos’è se non cancel culture?
Si tratta dello stesso fenomeno che stava per accadere nelle scuole californiane con la figura di Abramo Lincoln. Si scopre che il nome delle scuole in questione non è in linea coi tempi, e si pensa di aggiornarlo. Uno di quei fenomeni di rimozione della storia che ascriviamo al “calderone” della cancel culture.
Scuola Francesco Baracca, Roma
Lo scorso maggio quasi senza far notizia una scuola media romana rinunciava al nome di Francesco Baracca. Tra i combattenti della Grande guerra il nome di Baracca dovrebbe essere tra i pochi ancora noti ai più. Baracca fu l’asso della Grande Guerra il cui “cavallino rampante” sarebbe diventato il simbolo di uno dei marchi più noti al mondo. Anzi secondo alcune valutazioni (e per alcune annate) il brand più forte del mondo.
L’eroe di guerra e il marchio di prestigio. Un perfetto esempio di stratificazione della Storia, dei suoi simboli e della loro evoluzione. L’aviatore romagnolo era nato come ufficiale di cavalleria nel 2º Reggimento “Piemonte Reale”. Reggimento con un cavallo rampante come simbolo, simbolo che diventa insegna personale (secondo la tesi più accreditata). L’insegna che passa a un giovane pilota dell’Alfa Romeo, Enzo Ferrari. Pilota che avrebbe fondato una sua casa automobilistica.
Un bel pezzo di storia patria che dovrebbe affascinare e ispirare anche chi in questo paese compie un percorso di integrazione.
Le motivazioni
Non così per i dirigenti scolastici, che ritenevano la figura poco inclusiva. Meglio uno di quei santini internazionali. “Abbiamo fatto comunità – dice la preside -. La scelta è stata: tentare di fare una scuola su misura per loro. Abbiamo dunque riformulato un progetto con sport e altre attività di integrazione, ma c’era da trovare il nome alla scuola che inizialmente si chiamava Francesco Baracca, un aviatore”.
“Noi rispettiamo questa figura – racconta ancora Labalestra – ma accogliamo alunni da tutto il mondo e ci sembrava più azzeccato un nome diverso. Abbiamo proposto una serie di nomi e i ragazzi hanno scelto Rosa Parks”.
Attenzione che però secondo Gary Younge sul The Guardian un anno fa tutte le statue dovrebbero cadere, comprese quelle di Rosa Parks, per il loro retaggio della statuaria ottocentesca, arrogante, patriarcale e maschio-bianco-occidentale. Ergo forse era meglio adeguarsi e puntare direttamente a scuole intitolate a fiori, o meglio ancora a numeri, come proponevano in California.
Il fatto che Baracca sia stato “abbattuto” di nuovo in una scuola italiana non ha fatto notizia. Se non qualche settimana dopo, a Nervesa della battaglia. Qui dove Francesco Baracca fu abbattuto si tiene ogni anno una commemorazione. Nel corso della cerimonia per il 104° anniversario il deputato Giuseppe Paolin, Lega, ha parlato in riferimento alla scuola romana esplicitamente di cancel culture.
Liceo Amedeo di Savoia Aosta, Pistoia
Più fortunato forse Amedeo di Savoia-Aosta a cui è intitolato un liceo di Pistoia. Un professore ha portato al Collegio dei Docenti la proposta di cambiare nome. Le motivazioni le possiamo leggere dal giornale Report Pistoia che riporta estratti della proposta votata:
L’estratto della proposta
”Il nostro Amedeo è cresciuto nel fascismo e di quel regime, se non un esponente, è stato comunque un illustre rappresentante […] per quanto forse non ne condividesse i metodi, è stato sempre fedele. Vorrei attirare l’attenzione sul fatto che la nostra scuola viene comunemente chiamata Savoia. Richiamando quindi alla mente l’intera dinastia reale, protagonista in negativo di molti momenti della storia italiana”.
”La nostra è una Repubblica parlamentare nata dalla lotta antifascista e la nostra
convivenza si basa su una Costituzione antifascista questo dobbiamo ricordarci tutti i giorni quando entriamo a scuola. Questo dobbiamo insegnare ai nostri studenti e questo, senza mai dimenticare gli orrori del fascismo, dovremmo ricordare con il nome delle scuole. Credo sia ora di mandare il “nostro” Amedeo a riposare in soffitta”.
Insomma, fascismo e monarchia. Stranamente dimenticando anche il ruolo coloniale del nostro, l’Eroe dell’Amba Alagi e vicerè d’Etiopia.
Toto-nomi: Hack o Montalcini?
Il consiglio dei docenti ha dato il via libera alla proposta. Nulla di definito al momento per il nuovo nome. Si vocifera, per la questione della parità di genere, una donna e sui giornali locali si parla della Hack e della Montalcini.
Il dibattito ha avuto anche l’illustre e sobria risposta del pronipote (nipote del fratello di Amedeo, Aimone) Aimone di Savoia-Aosta. La risposta però arriva da Mosca, e di questi tempi (consentiteci l’ironia) potrebbe comunque aggravare la posizione dell’antenato.
Battute a parte in questo caso non essendo il cambio nome gestito con la necessaria rapidità, è scaturito un po’ di dibattito tra i pro e i contro.
L’Italia è nata anche dalla monarchia sabauda
Quello che colpisce della proposta del professore è che sì l’Italia repubblicana è nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. Allo stesso modo l’Italia repubblicana è figlia dell’Italia monarchica (che perse al referendum con un un dignitoso e non così schiacchiante 45,73 %). E che era stata quella monarchia a completare il processo d’unificazione. È la stratificazione e la complessità della Storia. Comunque il documento omette di contestare le modalità dell’annessione del Granducato di Toscana al Regno di Sardegna.
Niente colonialismo stavolta…
Allo stesso modo stupisce che nel voler mettere Savoia-Aosta nelle soffitte del liceo ci sia l’emento fascio-monarchico e manchi quello coloniale, vicerè d’Etiopia. Nonostante sia quello uno degli elementi preponderanti della cancel culture all’Italiana. Come scriviamo in Iconoclastia e visti i casi di Montanelli, del fondatore della Moto Guzzi o di Rubattino a Genova. In positivo è il segno che la campagna coloniale della cancel culture, come già ampiamente trattato, giri più delle volte a vuoto.
Ma allo stesso modo è un segno negativo. Il fatto che Amedeo di Savoia-Aosta sia nel mirino a prescindere dal colonialismo è evidenza del fatto che ormai i buoi sono scappati anche in Italia. Come dimostra Baracca “cancellato” senza nemmeno un alzata di sopracciglio.
Scuola Carlo Pisacane, Roma
Per questo motivo vale la pena ricordare un’altra vicenda risalente ormai a più di 13 anni orsono. E che vide una levata di scudi assai più significativa. Nel maggio 2009 ebbe una certa risonanza a livello nazionale la vicenda della scuola elementare Carlo Pisacane nella zona di Tor Pignattara a Roma. L’allora direttrice dell’istituto aveva proposto di cambiare la titolazione della scuola, il nome. Dall’eroe risorgimentale Pisacane, sorta di Che Guevara ante-litteram ormai ricordato più per la spigolatrice della poesia a lui dedicata, a un educatore nipponico, Makiguchi Tsunesaburo. Tsunesaburo è ricordato come pedagogo e fondatore della Soka Gakkai scuola laica buddhista.
La scuola si trova in una zona popolare di Roma, all’intersezione di via dell’Acqua Bullicante con via Casilina, un quartiere già allora estremamente multietnico. Poche settimane prima, nel marzo dello stesso anno, la scuola era già finita sui giornali nazionali per la sua multietnicità.
Le proteste del marzo 2009
C’era stata una protesta delle “mamme italiane” per il fatto che in alcune classi ci fossero solo iscritti bambini di origine straniera, lamentando che la scuola non avesse cercato la redistribuzione dei bambini d’origine straniera con le altre scuole (come concordato a livello regionale). Ovviamente non per supposti criteri di “omogeinità etnica”, ma per garantire anche un adeguato inserimento di tutti i bambini (anche per coloro in cui l’italiano non è parlato in famiglia).
La riflessione e il dibattito sulla multietnicità della zona è anche accentuata dal fatto che la scuola si trova di fronte a uno dei vecchi simboli dell’Italia coloniale, il cinema Impero dell’architetto Mario Messina. Il cinema romano è il quasi gemello del più famoso cinema Impero di Asmara, la cui architettura è oggi riconosciuta come patrimonio UNESCO. E la stessa scuola Carlo Pisacane, edificata nello stesso periodo era titolata a Luigi Michelazzi, tenente fiorentino volontario nella guerra d’Etiopia e medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Al netto dei “ricorsi storici” resta tutto sommato in un quartiere in cui l’integrazione sembra funzionare, così come la convivenza tra minoranze diverse (al netto di alcuni fatti, anche di sangue e anche a tema razziale, comunque rimasti fortunatamente sporadici e isolati).
Pisacane vs Tsunesaburo
Alla fine, visto anche il nome non proprio immediato come una Parks o una Hack, e il rischio di finire con Tsunesaburo chi? Quello del Grande Mazinga? Pisacane è ancora orgogliosamente al suo posto.
Vale la pena sottolineare la vicenda in raffronto a Baracca (sicuramente più noto di Pisacane), e per dimostrare come queste tendenze abbiano la loro progressione storica. E sul fatto che periodicamente queste tendenze si ripresentano, con frequenze maggiori. Indipendentemente o meno dal successo che tali iniziative raccolgono.
Via Giovanni D’Achiardi, Pisa
Lo scorso anno aveva avuta una certa eco la vicenda di via Giovanni D’Achiardi, rettore dell’università di Pisa e podestà della città in merito all’applicazione delle leggi razziali, che portò all’espuslione di 20 docenti e centinaia di studenti. Contro la titolazione si era avviata la solita raccolta di firme online, per poi spegnersi nel giro di qualche giorno.
Più che il tentativo in sè, l’opportunità, le critiche al personaggio, o le semplici questioni urbanistiche (come scritto in Iconoclastia va da sè che dipende molto dal N° di indirizzi da cambiare, che pesano molto di più delle colpe, vere e supposte, del personaggio storico), quello che manifesta il caso di D’Achiardi è sia la metodologia, sia il fatto che iniziative più o meno aleatorie si presentino ciclicamente, con presto a tardi a non trovare più nessuno a vegliare la situazione. Come dimostra il caso dell’assai poco divisivo Baracca passato, si perdoni la battuta, in “cavalleria”.
Come non combattere la cancel culture
Anche perché a vigilare dovrebbe essere una parte politica che il più delle volte si limita al solito ritornello “metti la strada ad Almirante – togli l’onoreficenza a Tito”. E se ripetere un’azione elementare come insegna il maestro Miyagi di Karate Kid con “metti la cera – togli la c’era” è un ottimo addestramento. Certamente non lo è il “metti Almirante – togli Tito” l’allenamento che ci vuole contro la cancel culture. Soprattutto perchè il togliere l’onoreficenza a Tito fa parte dello stesso meccanismo che nega la stratificazione della Storia, ovvero la cancel culture.
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