Ho letto il 23 novembre scorso, con piacere, un editoriale della pagina romana del Corriere della Sera, a firma Antonio Preiti, nel quale veniva affermata una tesi per me scontata, che tuttavia non è inopportuno ribadire: l’ovvietà, l’inutilità, la cacofonia e perfino il cattivo gusto di aver appiccicato a Roma la qualifica di ‘capitale’, che campeggia sulle divise e sulle auto dei vigili urbani, sulla carta intestata del Comune e così via. Un giudizio che non solo condivido, ma che ho espresso un anno fa in un convegno per il 150° del 20 settembre del 1870, data dell’arrivo dell’Italia a Roma, immortalato dalla famosa entrata attraverso la breccia di Porta Pia, mal celebrata, more solito, a livello istituzionale.
Il mito della città eterna, da quella data, tornava a splendere sull’Italia unita, anche se con mille difficoltà e alterni risultati. I decenni successivi furono segnati da grandi iniziative di opere pubbliche dell’Italia liberale per adeguare la città alla sua nuova funzione, in particolare per l’impegno di un entusiasta come Quintino Sella. Tra le tante realizzazioni che hanno cambiato il volto della città, basti pensare all’Altare della Patria, dove si è commemorato, poche settimane fa (in sordina come sempre), il 100° dell’inumazione del Milite Ignoto della Grande Guerra. Anche durante il Fascismo, se è permesso ricordarlo senza nostalgia e politicamente corretto permettendo, Roma è stata oggetto di attenzioni speciali. Il Foro Italico e l’EUR, per citare solo due iniziative e trascurando quelle che sono state lasciare andare in rovina, sono opere monumentali che sopravvivono alla fine del Ventennio.
Nel dopoguerra il nulla. In particolare, guardando ai tempi a noi più vicini il mito di Roma non sembra godere di grande fortuna e in particolare di buona salute, se si eccettua la ridicola etichetta sparsa tra divise, auto e insegne, Non tanto, ovviamente il mito di Roma in quanto tale, che è, come dice la definizione classica di Roma, ‘città eterna’ e vive di vita propria, ma quello di Roma come capitale dello Stato italiano: un mito che non ha mai messo vigorose radici se non in forme per lo più retoriche e per periodi limitati, e che esce piuttosto appannato dagli avvenimenti recenti e non solo.
Ribadisco insomma che trovo pleonastica e riduttiva la formula adottata nel 2009 di ‘Roma capitale’, a cui nulla di sostanziale ha fatto seguito. Roma non ha bisogno di aggettivi per essere quello che è sempre stata da migliaia di anni: una capitale universale, il cui nome è sinonimo di grandezza e unicità in ogni angolo del mondo, mentre avrebbe bisogno di ben altro che una etichetta, che auspico venga cancellata, per essere la capitale degna di questo nome dello Stato Italiano.
Amo Roma e il suo mito, laico e religioso; e mi sento come gli innamorati non corrisposti: triste e arrabbiato per il pluridecennale oblio in cui lo Stato l’ha abbandonata. Mi verrebbe da dire, concludendo, che questo Stato non la merita.
Lo stato l’ha abbandonata? Non direi, Lo stato, ovvero noi cittadini d’Italia riappianiamo sempre i debiti di Roma che indulge sulle sue grandezze ma nel contemporaneo non lascerà segni distintivi e questo compito tocca (o dovrebbe toccare) ai cittadini romani…. Con tutto l’amore per Roma.