Se c’è un “personaggio storico” per eccellenza, quello è Napoleone. Perfino il matto stereotipato è quello che si mette in testa scolapasta e in mano la cucchiarella e grida “sono l’Imperatore!” (fra poco dovremo però dire che non è matto, ma “diversamente identificato”, pena multe, carcere e morte civile dietro l’accusa di qualcosafobia…).
Che Napoleone sia un grande fra i grandi non c’è dubbio. O almeno non c’è dubbio per chi ha una forma mentis normale e non tarata da politicamente corretto, cancel culture e altre tipologie di fallacie logiche tipiche della nostra epoca e oramai diffuse a livello epidemico. Infatti in Francia perfino alcuni ministri si sono espressi contro le celebrazioni per i duecento anni dalla morte del Gran Còrso, adducendo motivi di politicamente corretto: “Napoleone ripristinò la schiavitù nelle colonie francesi” e “Napoleone era un misogino”.
“Ma aveva anche dei difetti…”
Una fra le letture che preferisco è quella dei volumi della serie Mondadori “I Grandi di tutti i tempi”. Volumi cartonati, con illustrazioni ad altissima definizione e testi approfonditi, eleganti, storicamente ineccepibili. Un capolavoro dell’editoria degli anni Sessanta del XX secolo.
I Grandi sono dipinti a tutto tondo: pregi e difetti, luci e ombre. Spesso e volentieri esprimendo – davanti a certe loro gesta – un giudizio morale ma non senza la premessa che il giudizio è nostro, della nostra epoca.
Tuttavia la grandezza dei personaggi descritti dall’opera non viene intaccata da quegli episodi. E questo perché nel ragionamento degli uomini del passato (quelli che costruivano civiltà e non pubblicizzavano smalti per unghie da maschio… tanto per capirci) l’eroe è tale perché ha compiuto un’impresa. L’impresa fa l’eroe, il contorno è accessorio non indispensabile e non memorabile.
Un ragionamento logico, freddo e perfino cinico. Se noi oggi godiamo di un lascito da parte di un Grande della Storia non ci è permesso tenerci quel lascito e criticarlo fino alla damnatio memoriae, negando lui la riconoscenza della sua grandezza. Benvenuto Cellini ci ha lasciato opere sublimi come il “Perseo”, ma era anche uno che aveva fidanzate che oggi considereremmo barely legal (proprio nel senso ironico del termine: hanno taroccato la carta d’identità aggiungendosi gli anni) e le gonfiava di botte quando tornava ubriaco o con la luna storta a casa. Inoltre era uomo di coltello e di archibugio e nelle sue memorie ricorda con orgoglio più volte le sue imprese sanguinose e violente.
Eccone un delizioso esempio:
Volete il “Perseo”? Dovete prendervi anche la violenza domestica, le archibugiate al Sacco di Roma e le coltellate nelle risse di bettola. D’altronde se papa Clemente VII “prese assai piacere e maraviglia” dall’aver visto un colonnello spagnolo troncato in due “che non si poteva accomodare”, potete quantomeno fare uno sforzo di comprensione dei casi del passato anche voi.
“Volete un mondo con le Piramidi o uno senza Piramidi?”.
L’eroe, il Grande della Storia, dunque è tale perché ha compiuto l’impresa. Nella sua vita poi avrà avuto anche un sacco di difetti. Ma a noi è arrivata l’impresa. Ne godiamo i frutti materiali o intellettuali, la bellezza, l’estasi. Lo stigma che possiamo lanciare sui difetti del Grande della Storia è pro tempore, collegato alla nostra attuale moralità, destinato magari a cambiare nel corso degli anni. E’ transeunte. L’impresa è eterna.
La cultura woke, cioè quella dei pazzi imbecilli che oggi buttano giù le statue di Colombo perché “colonialista” o quelle di Washington perché “schiavista” e che vorrebbero mettere sotto processo Napoleone per la sua “misoginia”, invece tende a imporre il proprio giudizio pro tempore sull’eternità dell’impresa compiuta dal Grande della Storia che si vuol linciare.
Nessuno tocchi Napoleone
Durante la campagna d’Egitto, Bonaparte apostrofò le sue truppe con una frase che dovrebbe essere incisa nel marmo d’ogni facoltà universitaria, altro che “abolizione degli studi classici”:
Soldati, dall‘alto di queste piramidi 40 secoli di storia vi guardano!
Non ha detto “Soldati, voi guardate 40 secoli di storia”. Tanto meno “voi giudicherete 40 secoli di storia”. E’ la storia che giudica il presente, non il contrario. Il presente può prendere lezioni, al massimo. Se esprime un giudizio sul passato lo fa proprio in ordine a prendere una lezione da esso in relazione al tempo presente. Ma vi pare logico che un ragazzino coi capelli fluo, l’identità sessuale confusa, un tatuaggio dei Minipony e la necessità di abbracciare un peluche se prende 6- al compito di matematica si possa permettere di mettere a processo non dico Napoleone, ma l’ultimo dei suoi fantaccini?
Qui siamo oltre il ragionamento tutto sommato di battaglia di retroguardia che sostiene che un aspetto discutibile del passato debba essere assolto in nome del principio “nullum crimen sine lege“, ossia che se all’epoca questo non era reato, allora noi oggi non possiamo giudicarlo come crimine. Un principio giustissimo, si badi. Se nel 1700 la schiavitù era legittima, non si può condannare oggi chi allora vi partecipava. Ma questo ragionamento è parte di un pensiero più ampio. Poiché il Grande della Storia ce lo teniamo anche se ha commesso crimini o atti discutibili seppure nell’ottica della sua stessa epoca e nel giudizio dei suoi contemporanei. Nemmeno nel 1527 era bello ammazzare il prossimo (tant’è che Cellini chiede l’assoluzione al Papa…). Ma lui c’ha lasciato il “Perseo”. Punto. Spiace per lo spagnolo fatto a pezzi, ma il “Perseo” sta là… Chi muore giace e chi vive si dà pace. Cosa che vale per i milioni di vittime delle campagne napoleoniche, per gli schiavi rimessi in catene nei Caraibi, per le donne “oppresse” dal “maschilismo” dei codici napoleonici. L’epopea di Bonaparte è gigantesca, titanica, non giudicabile da noi miserabili contemporanei.
Una hybris che ci costerà cara
Volersi atteggiare a “giudici” del passato è una presunzione incredibile, tanto più da un’epoca miseranda come la nostra, dove imbecilli tatuati in faccia vengono considerati “musicisti” e cialtroni che mettono serci e filo spinato in un museo, “scultori”. Dove governi criminali e auto-genocidi si atteggiano a salvatori della Patria, e mentre un’intera nazione sta morendo di denatalità, crisi economica, sostituzione etnica si mettono all’ordine del giorno dell’agenda politica pubblica nuovi reati d’opinione o provvedimenti femministi.
Stiamo abbracciando una hybris pericolosa. E come tutte le hybris dovrà pagare un prezzo mostruoso. Nella fattispecie, già vediamo all’orizzonte il danno che ci stiamo auto-infliggendo. Segare il ramo su cui si è seduti, estirpare le radici storiche e culturali di popoli e individui, obbligare (perfino ope legis!) le persone a contorsioni di ragionamento e di linguaggio pazzesche, demenziali, umilianti per la logica e la morale. Non foss’altro per questo dovremmo piantarla di buttar giù statue e fare processi alla storia. Ma chi porta avanti la cancel culture è purtroppo un cretino: “amico di nessuno, nemmeno di se stesso”.