Sergio Dini, ex capo della procura militare di Padova: «Avevamo individuato i responsabili ma l’inchiesta fu trasferita dalla Cassazione e sparì. Il comandante del campo di concentramento di Borovnica? Prese la pensione italiana fino alla morte»
Andrea Pasqualetti per Il Corriere della Sera dell’11 febbraio 2021
Dottor Sergio Dini, quando era procuratore militare di Padova lei indagò sulle foibe. Erano i primi anni Duemila. Cosa scoprì?
«Innanzitutto avevamo individuato il comandante dei partigiani sloveni del IX Corpus, il reparto partigiano dell’esercito di Tito che fra maggio e giugno del 1945 aveva occupato Gorizia disponendo l’arresto e l’uccisione indiscriminata di italiani. Era stato anche informato della nostra indagine per “violenza continuata mediante omicidio contro privati nemici”. C’erano i nominativi di una sessantina di vittime ma in realtà erano molte di più, perché in quel mese e mezzo in quel’area sparirono centinaia di persone, sia prigionieri militari sia civili goriziani. Persone di cui non si è più saputo nulla, presumibilmente finite nelle varie foibe del Carso. Poi avevamo individuato due dei responsabili dell’eccidio dei 12 carabinieri commesso sempre dal IX Corpus sloveno a Malga Bala, vicino a Tarvisio. I carabinieri erano stati fatti prigionieri nel marzo del 1944. Una strage barbara: li costrinsero a bere soda caustica e sale nero, li legarono con il fil di ferro ai polsi, furono incaprettati e uccisi a colpi di piccone. E poi c’era l’indagine sul comandante del campo di concentramento di Borovnica, in Slovenia, che era stato anche cittadino italiano e dall’Italia ha preso la pensione fino alla morte. Da maggio a dicembre del 1945 fece morire di pestaggi e stenti decine di italiani, in particolare bersaglieri. Trovammo le prove anche della fucilazione nel campo di dieci prigionieri militari italiani…».
Come finirono queste indagini?
«La prima, quella sulle centinaia di scomparsi e sulla sessanta di vittime individuate, fu trasferita a Gorizia dalla Procura generale della Corte di Cassazione che accolse un’eccezione di incompetenza sollevata dalla difesa del comandante. Provvedimento stravagante: dissero che i fatti non erano di competenza della procura militare perché le cause degli omicidi erano estranee alla guerra, legate più alla persecuzione politica e all’odio etnico. Come se odio etnico e sopraffazione politica non fossero mai state cause di guerre».
Ma che motivo avrebbe avuto la procura della Cassazione di trasferire un’inchiesta, se non quello giurisdizionale?
«Non saprei. Certo è che l’indagine era chiusa e mancava da fare solo il processo. Ci sarebbe stato un pubblico dibattimento che forse poteva risultare scomodo. Il clima era di tacitazione e ridimensionamento…».
Ci vede una volontà politica?
«Quel provvedimento della Cassazione fu per me davvero sconcertante. Stiamo parlando dell’anno 2003 e allora non c’era ancora molta sensibilità sulla tragedia delle foibe. Se ne parlava poco e chi lo faceva passava per essere neofascista. C’erano ancora molto disinteresse e sottovalutazione. Cioè, mentre i processi ai criminali di guerra tedeschi, dopo Priebke, hanno raccolto molti consensi e una grande visibilità, questi proprio no. E si tenga conto che io ho indagato su entrambi fronti. La denuncia sull’insabbiamento dei crimini di guerra tedeschi la fece Padova. Avevo fatto un esposto al Consiglio della magistratura militare e da lì è esplose il caso del cosiddetto armadio della vergogna. Credo di essere stato l’unico magistrato ad aver fatto la denuncia pubblica di insabbiamento di quei fascicoli, aberrante pure quello. Come procura militare abbiamo indagato poi sugli eccidi americani in Sicilia, abbiamo denunciato i crimini di guerra italiani in Grecia, Insomma, non abbiamo lavorato in modo unilaterale».
Ora il clima è diverso…
«Sì, indagare oggi sulle foibe sarebbe diverso. Questione di sensibilità».
La procura di Gorizia cosa fece?
«Dopo qualche tempo scoprì che uno di quei magistrati aveva avuto un parente infoibato e quindi risultava persona offesa. Incompatibile. Non potendo occuparsene il fascicolo fu così trasferito a Bologna e da lì non si è più saputo nulla».
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Le altre due indagini?
«L’indagine sull’eccidio dei carabinieri ho dovuto archiviarlo perché non c’è stata alcuna collaborazione da parte delle autorità slovene nella identificazione dei soggetti. Alla fine non siamo riusciti a ricostruire l’organigramma della formazione partigiana responsabile dei fatti. Quella su Borovnica è stata invece archiviata per morte del reo, il comandante».
Nessuno ha più indagato sulle foibe?
«Già, si tratta di crimini impuniti. Nessun processo è mai stato fatto. Un po’ per cattiva volontà degli organi inquirenti e un po’ per il fatto che nei pochi casi in cui si è provato non c’è stata né collaborazione internazionale, né supporto politico, né sostegno giudiziario. A conferma del fatto che quando si parla di guerra c’è solo un tipo di giustizia, questa sì unilaterale: quella dei vincitori nei confronti dei vinti. I tedeschi hanno perso la guerra e sono stati processati, gli slavi l’hanno vinta e sono rimasti impuniti, nonostante l’orrore delle foibe».