di Stefano Montefiori dal Corriere della Sera del 28 novembre 2020
Dibattito in tv sugli abusi delle forze dell’ordine dopo il pestaggio di Michel Zecler, produttore, chiamato dai poliziotti «sale nègre», sporco negro. Manon Aubry, esponente di punta della France Insoumise (il partito populista di sinistra di Jean-Luc Mélenchon), sfida la sua interlocutrice Florence Portelli (vicepresidente di destra dell’Ile de France): «Ma che cosa ne sa lei del razzismo, non ha idea di cosa sia il razzismo nella vita di tutti i giorni». Portelli allora fa notare che lo sa almeno sua madre, trattata da «sale macaroni», sporca italiana, quando emigrò dall’Italia alla Francia. «Sale macaroni non è forse un insulto razzista?», chiede Portelli. «No, non lo è — risponde Aubry —. Quelli che subiscono ogni giorno gli insulti sono le persone di colore».
In una Francia già divisa e dilaniata dalle polemiche su islamismo, terrorismo, razzismo e violenze poliziesche, si riapre di colpo una pagina chiusa da decenni, quella delle discriminazioni razziste di cui furono vittime gli immigrati italiani in Francia da fine Ottocento agli anni Cinquanta. Molti ricordano allora a Manon Aubry il massacro di Aigues-Mortes del 1893 (decine di operai italiani linciati) e il vecchio stereotipo razzista dell’italiano furbo, povero, ladro, che ha accompagnato a lungo milioni di immigrati e loro discendenti.
Di fronte all’indignazione, Aubry poi ritratta. Ma la sua uscita è rivelatoria, e sembra confermare la teoria delle «due sinistre inconciliabili» dell’ex premier Manuel Valls: una sinistra è ancora legata ai valori dell’universalismo, e si rifiuta di praticare la gerarchia delle discriminazioni; l’altra, la gauche più radicale, ha dimenticato gli operai e i poveri come i «macaroni», i disgraziati italiani che potevano nutrirsi solo di pasta. È la sinistra che alla lotta di classe preferisce ora la tutela delle comunità etnico-religiose, e si rivolge a francesi neri e arabi come a un nuovo proletariato di sostituzione, l’unico che possa garantire voti.