Dietro le quinte del Terzo Reich. Spesso raccontate come le prime vittime dei loro protervi mariti e compagni con la camicia bruna. Oppure sono state loro stesse a raccontare, dopo la guerra, a proposito della vita familiare, che c’era una netta separazione tra quello che accadeva nella Tana del lupo, negli uffici dove veniva pianificata la soluzione finale, e nelle tranquille dimore, dove i gerarchi si trasformavano in «persone normali».
di Matteo Sacchi – da Il Giornale del 7 ottobre 2020
Questa vulgata corrisponde alla verità? Non molto. Sulla carta era Gertrud Scholtz-Klink la donna più potente della Germania di Hitler. Dal 1934 fu la leader della Lega femminile nazionalsocialista. Scrisse libri, tenne comizi… Ma non fu mai in nessun modo in lizza per essere la «First lady» del Reich millenario.
I veri rapporti di potere avvenivano lontano dall’apparato di partito che, ufficialmente, lasciava alle donne solo ruoli minori. Tutto si giocava nel legame più o meno stretto tra le mogli dei gerarchi e Hitler. L’esempio più chiaro è la parabola di Magda Goebbels che fu la vera «Signora del Reich», tanto da non volergli sopravvivere. Questo complesso sistema di potere – attraverso le mogli Hitler controllava anche i suoi gerarchi e i gerarchi, soprattutto nei momenti difficili, potevano chiedere alle mogli di intercedere per loro – è ben raccontato da James Wyllie (autore televisivo di molti documentari sul nazismo) in Naziste. Le mogli al vertice del Terzo Reich (Utet, pagg. 346, euro 22).
Wyllie ricostruisce la vita e i percorsi di alcune delle donne che, per prime, si avvicinarono al nazismo. Ad esempio, Ilse Pröhl, che divenne la moglie di Rudolf Hess e passò i suoi guai dopo la fuga in Inghilterra del marito, fu una nazionalsocialista della prima ora. Suo padre fu ucciso al fronte nel 1917. La sconfitta della Germania fu un ulteriore choc. Quando conobbe un giovane e tormentato Rudolf Hess se ne innamorò subito. E i due si «innamorarono» altrettanto in fretta di Hitler. L’adesione al nazismo di Ilse non fu meno fanatica di quella dell’allora fidanzato, anzi: «Siamo antisemiti. Costantemente, rigorosamente, senza eccezioni. I due pilastri fondamentali del nostro movimento, nazionale e sociale, sono radicati nel significato di questo antisemitismo». Fu Hitler stesso a favorire il matrimonio… Non reso facile dalla scarsa propensione di Hess per il sesso. Un legame che consentì a Ilse di detenere un reale potere nella cerchia di Hitler anche se non sancito in nessuna maniera ufficiale, soprattutto nei primi anni del partito. Fu proprio alla signora Hess che il futuro Führer affidò il compito di sorvegliare sua nipote, Geli Raubal. La ragazza a cui Hitler era morbosamente legato finì, nella migliore delle ipotesi, suicida nel 1931.
Ma se Ilse è stata le vestale dei segreti del primo Hitler, Carin Göring è stata colei che ne ha in un certo senso inventato il mito. Di origine svedese Carin conobbe Hermann quando l’asso della Prima guerra mondiale sbarcava il lunario facendo il pilota di voli privati in Svezia. E in questo caso, a differenza degli Hess, fu subito torbida passione. Tanto che Carin, con gran scandalo, divorziò dal primo marito. Fu lei comunque, altra antisemita convinta, che già in patria aveva creato una società panteistica e spiritistica chiamata Club Edelweiss, a contribuire alla nascita della convinzione che Hitler fosse una specie di reincarnazione degli eroi delle leggende nordiche. Il suo radicalismo stupiva piacevolmente persino Goebbels, era sempre pronta ad aggredire i comunisti che «ogni giorno sfilano con i loro nasi adunchi e le bandiere rosse con la stella di Davide». Fisicamente cagionevole, seguì Göring in tutte le sue peregrinazioni dopo il fallito Putsch di Monaco. Quando morì, nel 1931, venne di fatto trasformata in una sorta di santa martire del regime.
Margarete Boden, invece, la moglie di Himmler? Più grande di alcuni anni del futuro capo delle SS era una infermiera dedita all’omeopatia ma rimasta traumatizzata dalle violenze a cui aveva assistito sul fronte, durante la Prima guerra mondiale e reduce da un primo matrimonio fallito. Per Himmler svolse sempre un ruolo materno e, in questo caso, siamo di fronte a una donna che pur inserita a pieno nelle logiche del regime cercava di contenere la furia del marito: «Perché devi essere sempre così aggressivo, sempre con la bava alla bocca? Dopotutto, essere conservatori è una cosa bella».
La figura indubbiamente più complessa presa in esame nel libro resta quella di Marta Goebbels. Colta, poliglotta e seduttiva era entrata nel partito dopo il divorzio dal primo marito Gunter Quandt. Puntò direttamente Goebbels. Lui si innamorò e quest’amore scatenò tutte le sue gelosie e insicurezze. Nel frattempo, quando Magda venne presentata a Hitler, tra i due si creò una sintonia immediata su cui sono state formulate tantissime illazioni, ma su cui non c’è certezza. Di certo se Hitler doveva chiedere un parere ad una donna lo chiedeva a lei, e la situazione rimase tale anche dopo l’entrata in scena di Eva Braun. Eppure Magda, che si fece avviluppare dal nazismo sino alla scelta del suicidio, era forse la personalità più libera, capace di criticare Hitler sin dal 1936.
Donne diverse quindi, però nota Wyllie, tutte con dei tratti comuni. La provenienza borghese e il trauma della Prima guerra mondiale che le aveva private delle certezze di una vita non tanto agiata quanto stabile. Questa frattura le spinse, anche se in modo diverso, verso un gruppo che prometteva il ritorno agli antichi fasti. E quel ritorno lo perseguirono con tutte le loro forze. Da prime tragiche attrici, non certo da comparse.