Combatté oltre 60 battaglie campali, non ne perse neanche una. Un maestro, amato dall’esercito e odiato dall’establishment, morì ignorato dalla politica ma non dalla Storia.
di LinkPop da del 9 Novembre 2016
Altro che Gianluigi Buffon: il vero record di imbattibilità spetta a Alexander Vasilievic Suvorov, che alla maggior parte dei tifosi dirà poco, ma è stato un grande (forse il più grande) generale russo. L’ultimo che poté essere insignito del titolo di “generalissimo” (in italiano), prima di Stalin – ma quella, be’, è un’altra storia. Suvorov combatté 60 battaglie campali, spesso con esercito in inferiorità numerica, non ne perse nessuna, alcune le pareggiò (nel senso che si ritirò prima del disastro). Per questo motivo divenne una leggenda all’epoca (e si parla del XVIII secolo) e ancora adesso il suo mito rimane intatto.
Suvorov, di nobilissimi natali, riuscì a raggiungere in poco tempo i più alti gradi dell’esercito. Si distinse in numerose battaglie, soprattutto contro i prussiani nella guerra dei sette anni (che andava dal 1756 al 1763) e nel 1762 divenne, per la prima volta, colonnello a 32 anni. Un campione.
Da quel momento non lo ferma più nessuno: combatte contro la Polonia e conquista Cracovia, cominciando la spartizione. Poi va a darle agli ottomani (1773-1774) e infine viene inviato contro Pugacev, leggendario ribelle russo che mise davvero in discussione lo zar, ma venne tradito e distrutto. Suvorov lo raccolse dopo la resa e lo portò a San Pietroburgo. Da quel momento diventa una celebrità: torna in Turchia, per le guerre russo-turche del 1787-1792, e torna anche in Polonia, per reprimere una rivolta in modo sanguinario. È il “massacro di Praga” – attenzione: dal nome di un quartiere di Varsavia, che non ha nulla a che fare con la città ceca. A quel punto, arriva la sfortuna. Caterina I muore e Suvorov, nonostante tutti i suoi successi, cade in disgrazia. Il figlio Paolo lo licenzia e lo costringe a ritirarsi a vivere in campagna.
Ritratto dell’uomo che non fu mai sconfitto: il generale Suvorov
Ma durò il poco: su richiesta di tutti gli ufficiali, il vecchio generale venne richiamato, reintegrato e messo a capo della seconda coalizione per la campagna italo-svizzera. E discende nel lombardo-veneto, a vincere anche lì: Cassano d’Adda, sul Trebbia, Novi. Vinse e convinse, e i Savoia, liberati dal giogo francese, lo accolsero applaudendo. Purtroppo i francesi vinsero contro il suo collega a Zurigo, gli austriaci tradirono e i russi si trovarono isolati. L’unica era la ritirata fino all’alto Reno: senza cavalli, senza artiglieria, il vecchio generale riuscì a guidare, tra mille difficoltà, i suoi uomini alla salvezza. Un atto eroico che gli varrà la qualifica di “Generalissimo”.
Ma come sempre, agli uomini di valore si accompagnano persone misere e meschine: lo zar Paolo I, che non aveva dimenticato il suo odio per il generale, cancellò la cerimonia, rifiutò di vederlo quando tornò a San Pietroburgo e lui, ferito, morì dopo qualche giorno. Solo il poeta Darajin fu presente alla cerimonia, l’unico che ebbe il coraggio di non assecondare il conformismo di corte.