Anziché un twitt, un whatsapp, un sms o un’e-mail, Marcello Veneziani ha voluto scrivere una Lettera agli italiani in forma di libro.
di Adriano Scianca da Intelligonews del 22 settembre 2015
Una lettera aperta e vivace, uscita da Marsilio (pp.156, euro 16) che è un po’ il romanzo degli italiani e del loro difficile rapporto con l’Italia. Si tratta di un racconto ironico e passionale, storico e metafisico sull’Italia presente e assente concepito in forma epistolare, come una lunga lettera agli italiani. Cosa resta dell’Italia senza capitali stranieri, merci asiatiche e immigrati? Come vive un paese senza guide, statisti e maestri, solo ombre, faccendieri, istrioni e animatori (uno al governo e tre all’opposizione).
La lettera è un viaggio tra storia e politica, costume e carattere, bellezza e brutture, alla ricerca di una visione dell’Italia e di un’identità smarrita, alla riscoperta degli italiani dopo la mutazione antropologica che li ha mutati in italieni, espatrioti o transitaliani. Veneziani racconta la curiosa storia di un paese che morì prima di nascere e che chiamò pure il suo processo unitario come risorgimento, cioè una resurrezione dopo secoli di morte… Il confronto con gli stranieri, la sudditanza all’Europa e l’accoglienza dei migranti; la voglia di fuggire dall’Italia e lo sguardo da lontano; la bellezza inerte e la bruttezza dinamica, la prima che decade, la seconda che avanza…
Abbiamo bisogno di recuperare un’idea dell’Italia, uno sguardo complessivo e non solo particolare: “L’Italia è una visione, non un selfie”. Per Veneziani l’antica distinzione tra le due italie, una moderna ed europea, l’altra arcaica e mediterranea è ormai superata. Oggi la vera distinzione è tra chi si sente italiano per caso (per incidente o sventura), e chi invece si sente italiano per destino. La lettera gli italiani è anche un test per misurare il tasso d’italianità ancora presente nel nostro Paese. E per uscire dall’atavica sindrome della decadenza che pervade da millenni gli italiani. “Quando la clessidra sta per esaurire i suoi ultimi granelli e il futuro si svuota per riempire il passato, allora non resta che rovesciare la clessidra…”. Questo pamphlet, scritto con leggerezza ma con lucidità, a tratti emozionale, è un viaggio a tre livelli – personale, nazionale ed epocale – per cercare un nuovo inizio, suscitare un senso di identità e di appartenenza nutrito da un rinnovato amor patrio, e propiziare uno spirito “nascista” che dia principio alle cose.
Ingravidare l’Italia è la scommessa. I semi, almeno quelli, sono stati gettati. Marcello Veneziani, da dove sbuca questa Lettera agli italiani?
Nasce da un antico e scontroso amore per il mio paese che ho coltivato negli anni tra libri, mostre, iniziative, fondazioni.
Ora sono tornato sul “luogo del relitto” per capire se l’Italia è ormai una carcassa da smaltire o se può rianimarsi. Ho evitato il saggio, il libro sui libri, per andare direttamente al cuore dell’Italia e degli italiani, partendo dal presente, passando dal passato per approdare poi al futuro. La figura chiave del tuo libro è infatti la clessidra… Si, la clessidra è l’immagine a mio parere più efficace per raccontare di un paese che è rassegnato o paralizzato a vedere che l’ampolla del passato si riempie e si vuota la sacca del futuro, e noi tutti lì a vedere i grani che scendono… Ora che siamo agli sgoccioli, non ci resta che rovesciare la clessidra, ripartire dal passato, ribaltandolo nel futuro, riprendere la storia… In tutto questo la politica che ruolo ha? In questo momento la politica è puro illusionismo.
C’è un grande istrione al governo, due istrioni all’opposizione ed uno che è poi il padre putativo dei tre che vorrebbe rientrare nel gioco…
E a fianco degli animatori c’è una figura inanimata, una “mummia” al Quirinale – Mummiarella, così viene percepito dalla gente – una figura bianca, lenta e silente, che compensa il vorticoso velocismo la diffusione di assolute ovvietà. La politica oggi non evoca una storia, non proietta il paese nel futuro, vive solo dentro la vorace dittatura del presente, dove quel che conta è il successo istantaneo, l’effetto immediato, il potere del momento. Ma gli italiani che rapporto hanno col loro paese? Sono tutti dei potenziali fuggitivi, sono espatrioti reali o potenziali, effettivi o mentali. Considerano l’Italia “un paese di merda” e vedono imporsi nella loro società la merdocrazia, che è il rovescio della meritocrazia; vanno avanti le persone di quella sostanza o che si comportano nel modo indicato. Da parte loro, però, gli italiani sono cambiati, io dico che hanno subito una mutazione antropologica che li ha resi italieni, cioè alieni, abitanti di un imprecisato altrove che può essere il web, la fiction, sono nativi digitali più che nativi di una terra, e quando non sono nativi sono adottivi di questa biosfera global…
Hanno dimenticato la loro storia, la loro provenienza, vivono da stranieri in casa… Si, ma a volte anche inconsapevolmente tendono a ripeterla.
Ad esempio questa diffusa percezione del declino italiano, questa idea che l’Italia sia morta o moribonda è esattamente quel che pensavano i loro avi, dalla caduta dell’impero romano in poi, ai tempi di Dante e popi di Machiavelli, di Leopardi e poi del Risorgimento che non a caso allude un risorgere, come se il presente fosse una tomba…L’Italia si trastulla con la decadenza, si rotola da sempre tra le rovine, si compiace di parlare della sua fine. Dove andremo a finire è una frase che sentivamo da bambini, poi da ragazzi e ora d adulti e da anziani… Povera Italia è la cosa che più si dice dell’Italia da un’eternità. Ma non c’è l’ombra di un amor patrio nel nostro paese, siamo rimasti fermi all’ auto-denigrazione nazionale? Negli ultimi tempi è cresciuto quel surrogato d’amor patrio che è il cosiddetto patriottismo costituzionale. Ma è di corte vedute perché fa risalire l’Italia e il legame patrio a pochi decenni fa, ed è soprattutto un canone di leggi che non può suscitare amore ma solo osservanza, rispetto. Si ama la patria in carne e ossa, le persone, i paesaggi, la vita e la storia, la lingua e la cultura, l’arte e la bellezza, non si possono amare i regolamenti. Te la prendi con un’Italia che vive solo di diritti e che ha dimenticato lo stretto intreccio coi doveri… Si, fino alla pretesa del diritto di avere diritti. Nessuna civiltà potrà mai reggere solo sui diritti, senza alcuna simmetria con i doveri, i meriti e le responsabilità. I doveri sono stati cancellati e sostituiti con i debiti. Se ci fate caso, il nostro unico dovere è pagare il debito con l’Europa, nasciamo con un debito sulla nostra testa come se fosse il nuovo peccato originale. In Europa non siamo più cittadini ma debitori. Dell’Italia che crolla sotto il maltempo, i terremoti e le alluvioni dici che soffre di osteoporosi…
Il nostro è un paese fragile, dalle piume di cristallo. Di ciu dovremmo prenderci cura, anziché pretendere sempre, in virtù del nostro atavico mammismo, di essere protetti. Ma l’immagine di fragilità del nostro paese io la ved come una metafora della sua precarietà. Io non credo alla patria immortale, penso anzi che le patrie siano vulnerabili, a volte cagionevoli, mortali. Ma questo mi spinge ancor più ad amare l’Italia, la sua fragilità è un motivo in più per proteggerla, per curarla, per nutrire tenerezza verso la patria… Per leggerti dobbiamo comprare i tuoi libri, ma dopo aver lasciato il Giornale non scrivi più sui quotidiani? Allo stato attuale la mia astinenza dalle pagine dei giornali, il mio semestre bianco continua e rischia di diventare un anno sabbatico. Io mi ci sto abituando – o rassegnando – secondo i punti di vista o gli stati d’animo. Non vedo grandi possibilità di esprimere le mie idee, le porte sono chiuse, la disattenzione è totale, non ci sono spazi per chi è fuori dal politically correct ed io sono un po’ deluso o almeno disincantato, e mi sto quasi affezionando all’idea di ritirarmi dai giornali…Intanto scrivo una lettera agli italiani e giro da ambulante per portare in tutta Italia cento serate italiane e rivolgere agli italiani un estremo comizio d’amore…