Una delle cause che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale fu la decisione della Germania guglielmina di costruire una grande flotta d’alto mare (la Hochseeflotte), percepita giustamente da Londra come un’insidia al proprio predominio sugli oceani mondiali. Eppure le battaglie navali furono relativamente poche, nessuna delle quali decisiva. Le grandi flotte, costruite intorno alle maestose corazzate, erano talmente costose e preziose che nessun capo politico o militare, in nessuna delle nazioni belligeranti, aveva il coraggio di rischiarle a cuor leggero.
di Paolo Rastelli dal Corriere della Sera del 19 dicembre 2014
D’altronde la marina da guerra tedesca, benchè moderna e numerosa, era comunque troppo debole per sfidare quella inglese e fu costretta a ritagliarsi un ruolo di fleet in being, di minaccia potenziale che i nemici non potevano trascurare ma che alla fine non riuscì ad impedire, neppure con il ricorso alla guerra subacquea indiscriminata, a interrompere il rifornimento di materie prime diretto verso le coste inglesi nè a recidere i collegamenti tra le armate britanniche schierate sul fronte occidentale e la madrepatria. Anzi, alla fine fu il blocco britannico a strangolare l’industria tedesca e ad affamare la popolazione fino al punto da imporre la pace al nemico stremato.
L’Austria imbottigliata
Questa sostanziale mancanza di significative battaglie navali tra i grandi avversari del conflitto fu una caratteristica anche dei teatri di guerra secondari, come quello mediterraneo. Anzi, ancora più accentuata. La marina austroungarica, il cui unico sbocco al mare era Trieste, era di fatto imbottigliata nell’Adriatico e privata di mobilità strategica: una volta che le marine alleate ebbero perfezionato il blocco del canale d’Otranto, non riuscì a esercitare alcuna reale influenza sull’esito del conflitto. Questo vuol dire che la Regia Marina italiana ebbe vita facile contro un avversario impotente? No, affatto. Anzi, le battaglie, anche se non decisive, furono numerose. Alle imprese della marina italiana è dedicato il volume La grande guerra in Adriatico (Il Cerchio, 242 pagine, 18 euro), di Lucio Martino, con una bella prefazione di Franco Cardini. Bella perchè le lodi al volume di Cardini, da sempre impegnato a sostenere l’assoluta follia del patriottismo nazionale che fu all’origine della Grande Guerra e di cui le pagine di questo libro sono impregnate, di certo non possono essere considerate convenzionali.
Nazario Sauro e gli altri
Cardini definisce il libro documentato ed efficace. E certo lo è. Non solo racconta con dovizia di dettagli episodi famosi della guerra italiana sul mare, come l’affondamento della corazzata austriaca Santo Stefano da parte del Mas 15 comandato da Luigi Rizzo il 10 giugno 1918 (il giorno dell’affondamento è ancora, ogni anno, la festa della Marina Militare italiana), ma va a ripescare anche icone del patriottismo un tempo celebrate e oggi quasi dimenticate. Come Nazario Sauro, l’ufficiale di marina originario di Capodistria (quindi cittadino austroungarico), che venne catturato dagli austriaci e giustiziato come traditore. O come Costanzo Ciano (il padre di Galeazzo, ministro degli Esteri dell’Italia fascista e genero di Mussolini, poi fatto giustiziare dal suocero a Verona nel 1944), autore con Gabriele D’Annunzio e Luigi Rizzo della «Beffa di Buccari», il forzamento di una base navale austriaca con relativo lancio in mare di tre bottiglie contenenti un messaggio di sfida. Non mancano infine ricostruzioni puntigliose e amorevoli di episodi veramente sepolti nella carte degli archivi del Ministero della Marina.
Le ragazze marchigiane
Chi si ricorda ancora delle 11 ragazze marchigiane (decorate di medaglia di bronzo) che remando furiosamente portarono viveri e acqua a una nave incagliata sul litorale vicino ad Ancona i cui marinai, stremati dalla bufera, stavano per crollare? Oppure dei marinai superstiti dell’Amalfi, un incrociatore corazzato affondato nel 1915 da un sommergibile tedesco, che trovarono nuovo impiego come artiglieri di una batteria corazzata sul fronte carsico? Oppure, ancora, di Arturo Vietri, l’unico superstite del sommergibile Jalea, affondato davanti a Grado, che nuotò per 16 ore prima di essere raccolto su una boa ancorata vicino alla riva. Nel libro c’è tutto questo e molto altro. Compresa, alla fine, una specie di enciclopedia dei mezzi navali e aerei impiegati dalla Regia Marina durante il conflitto. Una chicca per gli appassionati.