di Emanuele Mastrangelo per www.storiainrete.com del 6 agosto 2015
Ogni anniversario “tondo” dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki è sempre l’occasione per rievocare gli aspetti più umani e toccanti di quella vicenda agghiacciante. Ma man mano che avanzano i decenni ci si concentra sempre di più solo su quelli per dimenticare pian piano la realtà storica. E come spesso accade il mito si sostituisce alla realtà, oscurandola. Ecco dieci aspetti della vicenda della “Bomba” che vale la pena di approfondire.
1) Le bombe di Hiroshima e Nagasaki furono il motivo per cui il Giappone si arrese
In gran parte è falso. Il Giappone era già piegato dai bombardamenti convenzionali e dalla guerra sottomarina indiscriminata. Era sotto assedio, ridotto alla fame e senza possibilità di comunicare con le colonie sulla terraferma asiatica da cui ricevere derrate alimentari e prodotti industriali. Per il Giappone restava l’unica speranza di chiedere tramite l’Unione Sovietica una pace che non prevedesse la debellatio, ovvero la distruzione dello Stato e l’occupazione totale, soprattutto riguardo alla figura dell’Imperatore, che era considerato un Dio in terra.
L’URSS infatti nonostante tutti gli eventi della Seconda guerra mondiale era rimasta fino ad allora in pace con Tokyo, e il Giappone da parte sua si era guardato bene dal dare seguito al Patto AntiComintern aggredendo da est l’Unione Sovietica quando Hitler aveva attaccato nel 1941. Questo dava una flebile speranza ai giapponesi di poter trovare sponda presso i russi.
L’impiego della bomba atomica da parte statunitense non sconvolse più di tanto i vertici imperiali, ma piuttosto spinse Stalin ad accelerare i preparativi per la guerra al Giappone. Il 6 agosto Hiroshima veniva nuclearizzata, l’8 agosto i sovietici dichiaravano guerra al Giappone e alla mezzanotte invadevano la Manciuria, mentre poche ore dopo veniva il turno di Nagasaki a subire un attacco nucleare.
Il 12 agosto il governo giapponese chiedeva ufficialmente la pace a Washington, Mosca, Londra e Chongqing (capitale della Cina nazionalista) con la sola clausola di un riguardo per l’Imperatore. Gli Alleati, su pressione americana, rifiutarono, dando così tempo ai sovietici di penetrare in Asia orientale ancora più a fondo. L’11 agosto l’Armata Rossa era sbarcata a Sakhalin, l’isola a nord dell’arcipelago giapponese, minacciando sostanzialmente l’invasione del suolo metropolitano nipponico entro la fine di agosto. Solo il 14 agosto, dopo un tentativo di colpo di Stato da parte degli irriducibili, l’Imperatore con un gesto senza precedenti nella storia giapponese, parlò direttamente al popolo annunciando che il Giappone si sarebbe arreso. Nel suo discorso, inciso in un disco, l’Imperatore accennò alle nuove armi americane ma senza citare l’invasione sovietica e il tentativo di golpe, dando così inizio al mito che la resa del Giappone sarebbe stata determinata dalle sole bombe atomiche e che l’Imperatore accettava la resa col doloroso ma giusto obbiettivo di impedire che la nuova arma nemica distruggesse il mondo. Insomma, la bomba atomica forniva al Giappone ormai con le spalle al muro non il colpo mortale, ma semmai la strada propagandistica per uscirne a testa alta: piegati da un’arma miracolosa e irresistibile e non realmente sconfitti sul piano militare e politico.
La verità era un’altra: la decisione del governo giapponese di arrendersi, fu determinata solo in maniera secondaria dalla somma della minaccia di nuovi attacchi nucleari, mentre fu fondamentale tanto l’invasione sovietica dell’Asia orientale giapponese quanto il rischio di un colpo di Stato militarista che cercasse di esautorare l’Imperatore e gli ambienti più moderati per condurre la guerra – ormai irrimediabilmente perduta – a una battaglia finale ed esiziale.
2) I bombardamenti furono un esperimento su cavie umane
In qualche modo, è vero. Gli obbiettivi da colpire furono scelti con cura fin da maggio 1945 fra le città non devastate da precedenti attacchi convenzionali (Hiroshima venne preservata apposta) e rappresentavano un mix ideale di bersagli civili e militari, il cui clima atmosferico avrebbe permesso osservazioni ottimali. Inoltre, specialmente per quanto riguardava Little Boy, la bomba sganciata su Hiroshima, si trattava di un vero e proprio prototipo sperimentale, il cui funzionamento era in forse. La bomba testata al sito di Trinity in Nuovo Messico il precedente 16 luglio, infatti, era al plutonio, di tipo “Fat Man“, mentre Little Boy era basata su un meccanismo di funzionamento differente (vedi oltre).
Il comitato ad interim nominato da Truman a maggio aveva stabilito in data 1° giugno 1945 che la bomba sarebbe stata impiegata su un obbiettivo militare circondato da edifici civili, senza alcun preavviso né dimostrazione preventiva. Il 21 giugno, dopo una protesta da parte di molti fisici appartenenti al Progetto Manhattan, il comitato reiterò la propria decisione.
3) La responsabilità degli attacchi fu di Truman
Formalmente sì. Harry Truman, vicepresidente del terzo mandato Roosevelt, era subentrato in qualità di presidente vicario dopo la morte di Franklin D. Roosevelt il 12 aprile 1945. Solo allora venne informato del Progetto Manhattan, a testimonianza di quanta segretezza circondasse il programma nucleare, nonostante le sue immani dimensioni. Agitato da turbamenti religiosi e morali, Truman avrebbe preferito evitare l’impiego dell’arma contro i civili, ma le sue decisioni furono forzate dai vertici militari del Progetto Manhattan, che invece volevano dispiegare la potenza della nuova arma al massimo degli effetti ottenibili. A fare pressioni per l’impiego della bomba fu anche Churchill, una delle pochissime persone al di fuori degli Stati Uniti a conoscere il Progetto Manhattan. Churchill era interessato soprattutto al valore geopolitico della nuova arma come strumento di contenimento dell’espansionismo di Stalin. Il 25 luglio 1945 l’ordine di impiegare la bomba contro il Giappone venne stilato dal generale Grooves, direttore del Progetto Manhattan, e controfirmato da Truman. Il giorno dopo, Stati Uniti, Cina nazionalista e Gran Bretagna intimarono un ultimatum al Giappone chiedendo la resa incondizionata. Era chiaro che il Giappone avrebbe rifiutato.
4) I bombardamenti atomici furono gli atti di guerra più atroci del conflitto
Senz’altro la bomba atomica rappresentò un nuovo sistema di assassinio di massa. Eppure da un altro punto di vista Hiroshima e Nagasaki non furono altro che l’ennesimo caso di bombardamento indiscriminato sulle città. Paradossalmente, rispetto ad altri bombardamenti – come Dresda o quello di Tokyo del marzo precedente – nelle due città nuclerarizzate c’era una percentuale più alta di obbiettivi militari e industriali da colpire e non si trattava solo del deliberato massacro di civili indifesi. Inoltre la gran parte delle vittime venne mietuta da un orrore già visto: le tempeste di fuoco che sconvolsero le due città, Hiroshima in particolare, appiccate non solo dagli effetti diretti dell’esplosione ma anche da quelli indiretti: a Hiroshima il “soffio” iniziale scatenato dall’esplosione sconvolse le abitazioni a grande distanza dal Punto Zero (l’epicentro) causando il rovesciamento dei tipici fornelli giapponesi a carbonella: la bomba infatti esplose alle 8:15 di mattina, in un momento in cui molte persone erano intente a preparare la colazione. Le case giapponesi, costruite con materiali particolarmente incendiabili, presero ad ardere e in breve la somma degli incendi causati dall’esplosione e dalle stufe generò una tempesta di fuoco simile a quella che aveva annientato Dresda, Amburgo e Tokyo e decine d’altre città europee e giapponesi.
D’altro canto, le vittime delle esplosioni atomiche dovettero sperimentare l’orrore di ferite mai viste prima: le ustioni provocate dal “lampo” iniziale e soprattutto gli effetti della radioattività, che nell’immediato causarono modi nuovi e abominevoli di morte e negli anni a venire provocarono un alta incidenza di tumori e leucemia nei superstiti.
5) Le altre “vittime dimenticate”
Dopo Nagasaki il governo giapponese non reagì come gli americani si aspettavano. Tokyo cercò di tenere segreto l’impiego della bomba contro il Giappone e vennero perfino studiate tattiche di resistenza a questo nuovo tipo di aggressione. Così fu proposto di proseguite nelle incursioni nucleari: una terza bomba di tipo “Fat Man” era in cantiere e secondo i programmi avrebbe potuto essere impiegata sul Giappone entro il 17-18 agosto, ma Truman, evidentemente scosso, non ne autorizzò l’impiego. La bomba venne fermata proprio mentre l’ordine di partenza per la base di Tinian stava per essere disposto.
Il 12 agosto il Giappone annunciò che era disposto alla resa secondo i termini dettati alla conferenza di Potsdam, ma fatte salve le prerogative dell’Imperatore. Gli Alleati risposero negativamente. I sovietici continuarono ad avanzare in Asia orientale e la XX Forza Aerea strategica americana nel settore del Pacifico dispose un attacco massiccio contro le città giapponesi con l’impiego di oltre 800 B29 e migliaia tonnellate di bombe il 14 agosto, una delle più intense della guerra. Anche la Marina americana venne impiegata per bombardare le coste nipponiche, dando così al popolo giapponese la prova concreta che l’invasione fosse imminente.
6) Il “Mokusatsu” che provocò Hiroshima e Nagasaki
Il 26 luglio 1945 le potenze alleate in guerra col Giappone inviarono un ultimatum a Tokyo chiedendo la resa incondizionata e ribadendo che l’Imperatore sarebbe stato messo a disposizione delle autorità occupanti. La risposta giapponese fu il famoso – o famigerato – “Mokusatsu“: la popolazione giapponese venne infatti informata dagli Alleati dell’ultimatum tramite volantinaggio aereo e il governo di Tokyo fu obbligato a diramare una risposta ufficiale che comparve sui giornali nipponici. La risposta era il laconico e ambiguo “Mokusatsu“, che in giapponese significa “lasciar cadere in silenzioso disprezzo”. Non era un “no” aperto e nemmeno un “sì”. Gli Alleati lo interpretarono come una risposta negativa, come del resto si aspettavano. Era chiaramente un gioco delle parti: gli Alleati sapevano che senza un’assicurazione sulla sopravvivenza dell’Imperatore come sovrano i giapponesi non avrebbero accettato di arrendersi e ignorarono deliberatamente i passi mossi presso Mosca e altri Stati neutrali da parte nipponica.
7) Little Boy e Fat Man
Le bombe atomiche sganciate sul Giappone erano di due tipi differenti.
La prima, quella che annientò Hiroshima, era soprannominata Little Boy (“ragazzino”), era alimentata da uranio arricchito all’80%, era lunga oltre tre metri e pesava più di 4.000 kg. Si trattava di un’arma estremamente pericolosa e instabile, basata sul principio del “cannone”: una massa d’uranio subcritica (ovvero sotto la quantità necessaria per innescare una reazione a catena) sarebbe stata colpita da un proiettile di uranio che avrebbe portato la massa totale a superare il livello di massa critica. Il proiettile sarebbe stato sparato da un vero e proprio cannone da 76 mm. La massa ipercritica così ottenuta sarebbe rimasta contenuta in un involucro d’acciaio sufficientemente solido da resiste quei 1,35 millisecondi che – era stato calcolato – sarebbe durata la reazione a catena nella massa d’uranio. Per agevolare la reazione a catena degli “attivatori” di berillio-polonio, fonti di neutroni, vennero aggiunti alla massa subcritica.
Le due cariche d’uranio, il proiettile e la massa subcritica, erano separate da soli 180 cm di canna di cannone, e un semplice incidente, come l’innesco accidentale della carica esplosiva o una caduta in acqua dell’ordigno, avrebbe potuto provocare l’avvio della reazione a catena, distruggendo l’arma e l’aereo ed emettendo enormi quantità di radiazioni. La bomba all’uranio era concettualmente estremamente semplice e venne impiegata senza una sperimentazione preventiva. Ben diverso era il discorso per la bomba al plutonio.
La bomba di Nagasaki, Fat Man (“grassone”) infatti era alimentata da plutonio, un elemento artificiale generato dall’irraggiamento dell’uranio 238 nel reattore di Hanford. Il prototipo di questo ordigno, chiamato The Gadget (“L’Aggeggio”) venne fatto esplodere con successo il 16 luglio 1945 al sito di Trinity, vicino Alamogordo, in Nuovo Messico. La bomba dunque era sperimentata ed efficiente. Si basava sul principio dell’implosione: una massa di plutonio era divisa in “spicchi” disposti a sfera cava: all’esterno di questa sfera ciascuno spicchio aveva una carica esplosiva che l’avrebbe spinto verso il centro della bomba, comprimendo tutto il plutonio in un volume molto ristretto dove si sarebbe innescata la reazione a catena. Un ordigno parecchio complicato, che necessitava enorme precisioni. Per questo fu necessario sperimentarlo prima.
Paradossalmente la bomba più costosa, Little Boy, fu anche quella meno efficiente. Per ottenere l’uranio arricchito necessario per la prima bomba gli Stati Uniti si lanciarono in un’impresa che richiese finanziamenti mostruosamente alti, e i primi tentativi di arricchire l’uranio furono fallimentari. La prospettiva di realizzare una bomba al plutonio invece si concretizzò solo a partire dal 1943, quando i primi risultati sull’efficienza della reazione a catena con quell’elemento furono resi noti. Si iniziò allora la produzione di plutonio, più rapida di quella di uranio arricchito.
La resa di Little Boy fu inferiore alle aspettative – produsse l’effetto di circa 12.000 tonnellate d’esplosivo (12 kilotoni), mentre Fat Man sviluppo ben 20 kt di potenza, forse 23.
Di bombe modello Little Boy ne furono prodotte solo altre 5, che non entrarono mai nell’arsenale americano e vennero smantellate. Il tipo di bomba a “cannone” non fu più impiegato.
8) Gli effetti su Hiroshima e Nagasaski
Nonostante Little Boy fosse la bomba meno efficiente, ottenne su Hiroshima risultati distruttivi più devastanti che Fat Man su Nagasaki. Questo fu dovuto alla diversa natura del terreno delle due città, pianeggiante Hiroshima, collinare Nagasaki, e alla presenza di più edifici in cemento armato nella seconda. Il maggior numero di vittime a Hiroshima venne provocato dalla tempesta di fuoco che sconvolse gran parte del centro cittadino, cosa che non si verificò se non in misura minore a Nagasaki.
Le molte maniere con cui la morte raggiunse gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki è un elenco da inferno dantesco: i più fortunati furono coloro che vennero immediatamente vaporizzati dal lampo iniziale dell’esplosione. Chi si trovò all’aperto e direttamente esposto al lampo venne ustionato in maniera orribile (celebre è il caso di un ufficiale dell’esercito che mostrava con orgoglio ai superiori il volto mezzo bruciato, affermando che essendo l’altra metà intatta, esistevano dunque dei “mezzi di difesa” dalla bomba). Il vento, o “soffio” dell’esplosione quindi scagliò persone e cose come fuscelli fino a molte centinaia di metri dal Punto Zero, provocando traumi da sovrappressione e da urto. I vetri vennero frantumati e trasformati in schegge micidiali, mentre la sovrappressione atmosferica schiantò case e alberi, sotto cui perirono centinaia di persone di morte spesso lenta e orribile: paradossalmente infatti un corpo umano resiste alla sovrappressione meglio di un edificio in mattoni o legno…
Il cosiddetto “vento successivo”, quello causato dall’ascesa in cielo della palla di fuoco dell’esplosione, poi provocò le tempeste di fuoco, ravvivando gli incendi e provocando la famigerata nube a forma di fungo. Moltissimi furono coloro che vennero quindi bruciati vivi o soffocarono a causa degli incendi. Le decine di migliaia di feriti subirono inoltre l’effetto della radioattività, sia quella immediata causata dal lampo (composto da radiazioni elettromagnetiche e neutroni) che quella successiva provocata dagli isotopi radioattivi sparsi dall’esplosione e dalla seguente ricaduta, la “pioggia nera”. Anche i soccorritori, del tutto ignari della natura dell’arma impiegata, vennero esposti alla radioattività e molti si ammalarono nei giorni e negli anni seguenti. La distruzione degli ospedali e il sovraffollamento di quelli rimasti o creati dai soccorritori fece poi il resto, poiché non vi erano sufficienti medici, bende e medicinali per l’immane massa di feriti, e il Giappone non conosceva ancora gli antibiotici con cui combattere le infezioni che inevitabilmente colpivano i superstiti per le ferite sporche di polvere e detriti.
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9) “Io sono la morte, il distruttore di mondi”
Una delle più famose leggende urbane sulla bomba atomica è la frase che il fisico Julius Robert Oppenheimer (1904-1967) avrebbe pronunciato durante il test Trinity, il 16 luglio 1945. Secondo la vulgata, di fronte allo scatenarsi della potenza nucleare di The Gadget, lo scienziato avrebbe sussurrato una frase dal poema sacro induista “Bhagavadgita”: “Ora sono diventato Morte, il distruttore di mondi”. In realtà la citazione sarebbe apocrifa, ripresa poi dallo stesso Oppenheimer in un’intervista successiva rimasta celebre (vedi il videoclip dei Nadja sotto) mentre molto meno poeticamente, ma sicuramente con più realismo, Kenneth Bainbridge, direttore del Progetto Trinity, disse: “Ora siamo tutti figli di puttana”.
10) Non c’era alternativa alla Bomba?
Molto spesso la vulgata rappresenta gli attacchi nucleari come “l’unica maniera” (frase tanto cara agli sceneggiatori di Hollywood) per evitare l’invasione del territorio metropolitano giapponese. L’operazione Downfall – pianificata per la fine del 1945 – avrebbe causato milioni di morti, in gran parte civili giapponesi, e le due bombe avrebbero risparmiato questo ulteriore bagno di sangue.
In realtà questo rappresenta il punto di vista americano, che tende a sottostimare, o a dimenticare completamente, che l’invasione del territorio metropolitano giapponese era già a portata di mano dei sovietici, ai quali era stato richiesto di entrare in guerra entro 3 mesi dalla caduta della Germania.
Inoltre era stato suggerito ai comandi statunitensi di impiegare l’arma in una azione dimostrativa, un’ipotesi che tuttavia venne scartata: se la bomba avesse fatto cilecca l’America avrebbe subito un colpo diplomatico molto rude e se anche gli Stati Uniti avrebbero certamente disposto di molte bombe fra agosto e settembre 1945, di sicuro avrebbero perduto l’effetto sorpresa annunciandone l’impiego ai giapponesi e al mondo.
In realtà i comandi angloamericani speravano che l’impiego di quest’arma avrebbe terrorizzato tanto i sovietici quanto i giapponesi e avrebbe condotto alla fine del conflitto prima che Stalin riuscisse a fagocitare l’Asia orientale. Il risultato fu esattamente l’opposto.
..francamente si ricordano a ragione i morti nei forni tedeschi, non si ricordano abbastanza i morti nei giganteschi forni all’ aperto americani…