«L’Italia è l’obiettivo primario delle nostre nuove strategie propagandistiche». Quanto mai perentoria la direttiva fornita all’inizio del 1948 dall’Information Reserach Department, l’ente britannico che sovraintende alle tattiche di guerra psicologica. Da poco fondato,l’istituto con sede nei pressi di Trafalgar Square avverte l’esigenza di intervenire direttamente nella politica della penisola. L’obiettivo è di salvaguardare gli interessi di Sua Maestà nel Mediterraneo, spazio vitale per i traffici che passano da Suez.
di Simone Paliaga per “Libero Quotidiano” del 29 ottobre 2015
Proprio dell’ingerenza britannica sulla politica italiana tratta il saggio Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, da oggi in libreria per Chiarelettere (pp. 484,euro 18,60). Per il secondo capitolo dell’inchiesta storica cominciata con il Golpe inglese, pubblicato sempre dalla stesso editore quattro anni fa, gli autori ricavano la gran parte delle informazioni dagli scaffali del Public Record Office di Kew Garden che raccolgono documenti desecretati di recente dall’amministrazione inglese.
Le carte consultate gettano una luce sinistra sulle vicende italiane a partire dalla sua unificazione. Da questo dittico viene fuori uno scenario inquietante che dovrebbe far riflettere non poco gli storici accademici: sembra che l’Italia del secondo Dopoguerra combatta non solo sul fronte della Guerra fredda. Suo malgrado, infatti, si trova coinvolta in un conflitto, talvolta anche caldo e con strascichi di sangue, contro un suo alleato da cui è considerata una nazione a sovranità limitata.
Acquistano peso così le parole di Francesco Cossiga, riportate in esergo al volume, per cui non sarebbe improbabile che «spezzoni dei servizi dei paesi alleati abbiano potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia per tenere basso il profilo geopolitico del nostro paese».
Al centro di Colonia Italia si trovano gli sforzi del soft power della Corona per orientare l’opinione pubblica italiana e poi la classe dirigente in direzioni a loro favorevoli. E per farlo il mezzo migliore è agire su intellettuali e giornalisti anche di grande statura intellettuale e di specchiata moralità, forse «nemmeno al corrente della fonte dei materiali che ricevevano».
Da Benedetto Croce a Indro Montanelli, nemico giurato di Enrico Mattei, è lunga la lista di intellettuali che l’Inghilterra considera amici. A testimoniarlo bastano queste righe di un dispaccio inedito di sir Ashley Clarke: «Se al dipartimento informativo dell’ambasciata viene chiesto di dare ampio risalto a un determinato argomento, è consuetudine stabilire un contatto con giornalisti amici per enfatizzarne i punti più importanti».
Al setaccio di Cereghino e Fasanella passano tutti gli scandali dell’Italia repubblicana. Dall’attacco di Guareschi contro De Gasperi al caso Montesi, che porta alla crisi delle Dc di De Gasperi e Piccioni, fino all’affaire Enrico Mattei e giù giù lungo tutta la strategia della tensione per arrivare ad Aldo Moro, si passa in rassegna tutta la storia italiana dal 1945 in poi. Solo che invece di complotti Cereghino e Fasanella portano alla luce la Realpolitik dei funzionari di Sua Maestà. La posta in gioco, secondo i documenti di Kew Garden, è il tentativo di indebolire tramite i media tutti gli uomini politici che non smarriscono ogni nozione di interesse nazionale.
Corriere della Sera, La Stampa, l’agenzia Kronos erano gli organi di informazione più sensibili ad adottare prese di posizioni non invise agli inglesi. E lo si vede su una delle questioni di maggior attrito tra Roma e Londra, dal 1969 al 2011: la Libia. Quando nel settembre del 1969 Gheddafi con un colpo di stato depone l’erede filoinglese di re Idris Senussi, come conferma Giovanni Pellegrino a lungo presidente della Commissione stragi, lo fa probabilmente col sostegno dell’Italia. In gioco c’è ovviamente il petrolio libico.
E quanto accade il 12 dicembre dello stesso anno, giorno della bomba di Piazza Fontana ma anche della chiusura delle basi aeree inglesi in Cirenaica, è forse anche un avvertimento lanciato al ministro degli Esteri Moro ben favorevole insieme a Fanfani alla politica mediterranea tricolore.
Nel 1975 poi, quando Tripoli e Eni siglano un ulteriore accordo petrolifero, la situazione precipita e Londra decide di intensificare, come riporta un altro documento, «i contatti personali con giornalisti, funzionari della radio e della televisione, agenzie di stampa, esponenti del governo e via dicendo per assicurarci il sostegno dei media nel momento del bisogno».
Forse forse De Gasperi, Fanfani e Moro avevano visto giusto. Meglio un grande amico lontano come gli Usa che un piccolo e rancoroso amico vicino con i nostri stessi interessi geopolitici.
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