E’ andata molto meglio a Clinton, che con la Lewinsky ci ha rimediato solo uno scandalo. Al presidente francese Félix Faure, invece, una relazione orale con la bella Madame Steinheil è costata la pelle, forse per l’eccessiva bravura di lei e per la non più verde età del suo cuore… lo racconta Giuseppe Scaraffia in “Femme Fatale” (Vallecchi, 180 pp. € 15,00).
Il 16 febbraio 1889, verso le sette, il capogabinetto del presidente della repubblica, il galante Félix Faure, sentì delle strane grida provenienti dal salotto azzurro in cui era entrata un’ora prima la provocante Madame Steinheil, da due anni sua amante. L’uomo sfondò la porta. Dentro, davanti a Faure, semisvestito, era inginocchiata, nuda, Marguerite in preda a una crisi di nervi.
Per liberarla, dovettero tagliarle alcune ciocche di capelli, che il moribondo stringeva ancora nelle mani contratte dagli spasimi dell’agonia. Appena si fu calmata venne fatta uscire da una porta secondaria. Nella fretta aveva dimenticato il corsetto, ma avrebbe sempre conservato la pelliccia che le avevano dato per coprirsi.
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Prima di diventare agli occhi dei contemporanei la tipica donna-vampiro, Marguerite Steinheil (1869-1954), detta Meg, era solo una piccante trentenne bruna, piena d’energia con grandi occhi blu e una voce affascinante, uscita da una famiglia di industriali di provincia. Da due anni Meg era notoriamente amante del “presidente Sole”, come veniva chiamato per la sua vanità Félix Faure, un bell’uomo noto per la sua vanità che lo faceva girare in redingote e cilindro fin dal mattino.
Approfittando del suo legame con lui, Madame Steinheil, aveva aperto un salotto in cui passavano gli artisti più noti, da Loti a Zola, da Massenet a Gounod. All’Eliseo, molte feste venivano organizzate segretamente in suo onore. Una volta, a Cherbourg, il presidente le aveva offerto addirittura una rivista navale.”
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Dopo una serie di ipotesi poco credibili su fantasiosi complotti, i pettegolezzi dilagarono. Clémeanceau commentò cinicamente: “Faure è tornato al niente, deve essersi sentito a casa” e aggiunse, con un pesante gioco d’allusioni: “Ha voluto vivere da Cesare, ed è morto da Pompeo”.
Il presidente della Camera, nel tentativo di arginare i clamori fece una dichiarazione: Faure soffriva di cuore e alle venti era stato trovato semisvestito in preda a un attacco. Ma un deputato ribatté: “Sapete che Madame Steinheil era andata da lui in quello stesso giorno, alle sei?”
Tutta Parigi sorrideva di quella “morte profumata” e Meg venne soprannominata la “Pompa funebre”. Poco a poco quasi tutto venne alla luce. Dal campanello speciale che annunciava le visite delle amanti al fatto che quel giorno Faure aveva preso due pillole di
afrodisiaco, ma la visita inattesa dell’arcivescovo di Parigi lo aveva costretto a rimandare l’incontro.
Poi era sopraggiunto, anche lui inaspettato, il principe di Monaco e il presidente, svanito
l’effetto delle prime due, era stato costretto a prenderne altre due. L’unica a non capire fu la vedova. Anni dopo, furibonda perché la figlia voleva sposare un erudito povero, ripeteva tra le lacrime: “Io che ho avuto un marito così bello e così fedele!”
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Ma Marguerite ebbe di nuovo l’attenzione di tutti il 31 maggio 1908, quando la polizia trovò in casa sua i corpi del marito, un noto ritrattista pompier, e quello della madre di lei. Lui era stato strangolato, la donna era morta per un collasso. Meg era legata e imbavagliata. Appena liberata, dichiarò che gli autori del delitto erano tre uomini e una donna vestiti di nero.
All’inizio si pensò che gli sconosciuti volessero impadronirsi di documenti segreti lasciati da Faure all’amata. Poi quest’ipotesi cadde e i sospetti si concentrarono su madame Steinheil. Iniziò un lungo itinerario legale, ravvivato dalle denunce lanciate di tanto in tanto dall’ancora avvenente Marguerite, presto avviluppata da un intrico di menzogne.
Le indagini non approdarono a nulla, ma rivelarono l’assenza di segni d’effrazione e la mole di debiti della coppia. Il marito che l’adorava, era la sua vittima e veniva spesso sgridato e accusato di essere un incapace. Allora si chiudeva nello studio a piangere.
Il processo si tenne con una restrizione particolare: le donne non potevano assistere alle sedute. Madame Steinheil riuscì facilmente a manipolare il pubblico e la giuria. “Carina, minuta, sembra ancora così giovane”, registrarono i cronisti dei giornali di tutto il mondo
che l’avevano ribattezzata la “Sarah Bernhardt della corte dell’Assise”.
Niente, neanche il minimo gesto, un’inflessione della voce, un fremito delle narici passava inosservato ai loro occhi. Come non passarono inosservati i suoi molti amanti, ministri,
aristocratici e viveurs, non ultimo il re di Cambogia.
Il suo primo amore testimoniò in suo favore: “Madame Steinheil non può avere commesso un omicidio. Era una fanciulla deliziosa, modesta, amante dell’arte”. Accusata di mentire, non negò: “Ho mentito per nascondere la mia vita di donna. Qualsiasi donna avrebbe fatto la stessa cosa. Qualsiasi donna mi capirebbe. Perché? Perché avevo una figlia”.
La figlia, intervistata, rispose: “Credo all’innocenza della mamma, ma, se sarà assolta, non la vedrò mai più.” Aureolata da un’assoluzione, Meg si trasferì in Inghilterrà dove scrisse delle memorie difensive. Nel 1917 sposò un barone. Visse a lungo nel suo castello del Lancashire, ma non disse mai a nessuno cos’era veramente successo quel giorno.
Inserito su www.storiainrete.com il 22 maggio 2009