In seguito ad alcune pressanti richieste, Facebook ha infine rimosso alcuni gruppi di sostegno alle tesi negazioniste sull’Olocausto. Il fenomeno però non si arresta e pone nuovi interrogativi sulle politiche adottate dal famoso social network.
Emanuele Menietti su www.webnews.it
È una vittoria a metà quella di Brian Cuban nei confronti di Facebook. Legale di alcune società del fratello miliardario Mark Cuban, Brian Cuban si batte da circa un anno per la rimozione di alcuni gruppi sul famoso social network nati per sostenere le tesi dei negazionisti dell’Olocausto. Grazie a una recente lettera aperta indirizzata direttamente a Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, il legale ha infine ottenuto la rimozione dei gruppi incriminati, ma in poche ore sul famoso social network sono nate nuove iniziative per supportare il negazionismo.
Nella sua lettera [LEGGI], Cuban aveva sottolineato quanto fosse importante rimuovere quei gruppi per dare un segnale esplicito agli utenti di Facebook. Secondo l’autore della missiva per Zuckerberg, il problema non era solamente legato ai numerosi aspetti di rilevanza legale (in molti paesi negare l’olocausto è reato) connessi alla delicata vicenda: «Il movimento di chi nega l’Olocausto non è altro che un pretesto per consentire la predicazione dell’odio nei confronti degli ebrei e per coinvolgere altri individui che la pensano allo stesso modo in azioni simili. Consentire a questi gruppi di proliferare su Facebook per offrire un “discorso aperto” non fa altro che aiutare a diffondere questo messaggio di odio. È questo il genere di discussione aperta che Facebook intende incoraggiare?».
Nel corso di un’intervista realizzata dalla CNN [GUARDA L’INTERVISTA], uno dei responsabili del famoso social network aveva fornito una risposta sull’opportunità di rimuovere i gruppi negazionisti da Facebook. «È una decisione difficile da prendere. Ci stiamo confrontando molto su questo argomento e stiamo portando degli esperti per parlarne. Essere offensivi o discutibili non porta all’esclusione da Facebook. Desideriamo che il portale sia un luogo dove le persone possano discutere tutte le tipologie di idee, anche quelle controverse» ha dichiarato all’emittente televisiva Barry Schnitt, portavoce del famoso social network.
Le parole di Schnitt avevano suscitato una lunga serie di quesiti da parte di Brian Cuban nella sua lettera aperta indirizzata al fondatore di Facebook: «Mark, vorrei sapere chi presso Facebook è stato coinvolto nel “dibattito interno” che ha portato alla conclusione che la negazione dell’Olocausto non costituisce un incitamento all’odio. Eri coinvolto anche tu? Fornisci alcuno spunto in questo tipo di discussioni? […] I legali con competenza in materia sono stati consultati o si è trattato di un consiglio in generale?».
Le questioni sollevate nella lettera di Cuban hanno dato vita a un ampio dibattito online e a un crescente interesse da parte dei media. Per rispondere alle numerose istanze dell’opinione pubblica, i gestori di Facebook hanno infine rimosso i principali gruppi negazionisti dal social network, ma i sostenitori della negazione dell’Olocausto sembrano essersi riorganizzati rapidamente aprendo nuovi account e nuovi gruppi per diffondere le loro idee. Le attuali politiche adottate da Facebook sembrano essere insufficienti per arginare efficacemente il fenomeno, che del resto interessa numerosi siti web anche all’esterno del sempre più utilizzato social network.
L’esistenza di gruppi controversi o pronti a diffondere messaggi di odio e contro la legge ha indotto numerosi esponenti politici a interessarsi del fenomeno, proponendo emendamenti e nuovi disegni di legge per imporre un maggiore controllo sui social network. Il caso legato alle iniziative del senatore D’Alia per l’Italia è in tal senso emblematico e dimostra quanto sia difficile raggiungere il giusto equilibrio tra libertà di espressione e tutela del diritto in alcuni ambiti della Rete in piena evoluzione come i social network.
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Inserito su www.storiainrete.com il 23 maggio 2009