Oggi Brindisi è una città fantasma. Dei suoi 88mila abitanti, ne restano a casa appena 34mila. Tutti gli altri, cioè la stragrande maggioranza, cioè ben 54mila persone, sono stati fatti evacuare. Azzerato il traffico, bloccata pure la superstrada per Bari. Stop totale delle ferrovie, dell’ aeroporto manco a parlarne. Sgomberati anche 217 detenuti e un numero imprecisato di pazienti in degenza in due cliniche diverse.
di Claudia Osmetti del 15 dicembre 2019
A Brindisi, dall’ alba di questo 15 dicembre fino a che serve, gli unici uomini che circolano per le strade del centro sono gli artificieri del primo reggimento Genio guastatori di Foggia: e hanno le mani occupate su un ordigno bellico della seconda guerra mondiale. Devono mettere in sicurezza una bomba inesplosa, qualcosa tipo cento chili di esplosivo da disinnescare prima che venga giù mezzo Municipio.
Non è mica uno scherzo. Al contrario, è «un’ operazione senza precedenti per garantire l’ incolumità di tutti». Parola di Riccardo Rossi, il sindaco.
È che a Brindisi è sbucata fuori una delle 25mila bombe che teniamo (senza saperlo) sotto il materasso, ed è sbucata fuori quasi per caso.
Come sempre. Succede che il cinema Andromeda, a due passi dalla questura, deve essere ampliato e succede che, mentre sta manovrando la sua pala meccanica, un operaio che esegue i lavori cozza con qualcosa di duro. Si affaccia e strabuzza gli occhi: non è un sasso, è un ordigno della Raf (l’aviazione britannica), sganciato in Italia nel 1941 e sepolto per 78 anni sotto le strade della Puglia. Ci vogliono cinque settimane per organizzare il disinnesco: nel recuperarla, la bomba è danneggiata in uno dei due congegni di attivazione. Basta un piccolo errore per farla detonare. E allora la zona rossa, la zona a rischio, a Brindisi, è di quelle imponenti: ha un raggio di oltre un chilometro e mezzo (1.617 metri, per essere precisi), coinvolge il 60% delle abitazioni (e della popolazione) e l’ ordine è tassativo, tocca chiudere anche il gas di casa. Non si sa mai.
TORINO E FIRENZE Un dispiegamento di misure cautelari mai visto (ma utilissimo) per un problema che (invece) si è visto fin troppo.
Ché qui di ordigni bellici dormienti ne siamo pieni. Letteralmente. Il primo dicembre è toccato a Torino: «solita» bomba della Raf rinvenuta con gli scavi per il teleriscaldamento del centro, 10mila evacuati.
Poi è toccato a San Casciano, nell’area metropolitana di Firenze: venti bombe, 60 famiglie evacuate. Prima però c’ è stato Bolzano, 4mila evacuati. A maggio è stata la volta di Adro (Brescia), 1.600 evacuati.
A gennaio di Ancona, 12mila evacuati. L’ anno scorso lo stesso copione a Fano (23mila evacuati) e a Terni (9mila evacuati). E per il febbraio del 2020 gli artificieri hanno già un appuntamento in Trentino, a Romagnano: per ora si parla di 1.800 persone da spostare, ma il numero potrebbe salire.
L’ agenda degli addetti ai lavori è fitta di impegni. Il fatto è che siamo seduti sopra un’immane Santa Barbara e non ci facciamo neanche caso. Lo insegnano alla Scuola nazionale dell’Amministrazione, quella che forma i prefetti dello Stivale: le dispense del corso «La bonifica da ordigni bellici» si trovano anche on-line.
E dicono che in Italia ci sono circa 25mila bombe inesplose, che l’esercito ne fa brillare otto ogni giorno. Vivaiddio ci sono loro. Di questo passo significa che ci vorranno ancora circa dieci anni per smaltirle tutte. Ammesso e non concesso che vengano recuperate, perché molte sono finite chissà dove.
La guerra al nazifascismo ha sganciato sul nostro Paese qualcosa come un milione di ordigni per un totale di oltre 378mila tonnellate di tritolo: non proprio una robetta. E però il 10% di questo arsenale (nel vero senso della parola) non è mai scoppiato. Vuoi a causa di qualche difetto di fabbricazione o per via di condizioni ambientali non favorevoli (al momento).
Lazio, Abruzzo, Molise, Friuli, Lombardia: è tutto una gran polveriera. Una bomba su quattro degli alleati è da recuperare. Senza contare le granate, quelle a mano e le mine che si rinvengono ogni giorno. Tante mine Nel 2014 l’associazione nazionale Vittime civili di guerra ha provato a tirare le somme e ha scoperto che ogni anno le nostre forze dell’ordine mettono in sicurezza circa 60mila ordigni di varia grandezza e potenza (non solo bombe dunque ma anche mine e le più pericolose, come quelle di Brindisi, non sono la maggioranza). Qualcuno si fa pure male.
L’ultimo bilancio disponibile è targato 2013: quell’anno ci sono stati undici feriti gravi, tra cui due ragazzini (sono spesso i bambini a farne le spese) che hanno perso la vista e un agricoltore che si è ritrovato la faccia ustionata dall’esplosione di un ordigno azionato mentre stava zappando la sua terra. Il rapporto bombe – popolazione è di uno a 2.400, lo Stivale non è proprio un campo minato ma non è nemmeno una prateria vergine. Siamo onesti.
Per cui ben vengano tutte le misure di prevenzione, a Brindisi fan bene. Che poi non si salvano nemmeno i mari: a giugno i palombari del gruppo operativo subacquei del comando Incursori della Marina militare hanno perlustrato palmo a palmo le acque lungo la costa di Siracusa. In undici giorni hanno neutralizzato 396 ordigni esplosivi e 4mila munizioni. Tra di loro c’era anche una mina inglese.