Che il sesso abbia a che fare col corpo (quasi sempre) e con l’amore (il più delle volte, almeno nella migliore delle ipotesi) è questione già diffusamente appurata; tuttavia, a leggere I balsami di Venere di Piero Camporesi (1926-97), riproposto mirabilmente dal Saggiatore, scopriamo che nell’eros si compenetrano letteralmente anche cucina e morte, la prima come farmakon dell’altra.
di Angelo Molica Franco per Il Fatto Quotidiano del 30 luglio 2019
Non è un caso che già all’altezza del Medioevo uno dei più vitali filosofi, mistici e poeti arabi Ibn ‘Arabi (1165-1240), mentre sosteneva quanto la massima aspirazione dell’ uomo fosse l’amore (tanto divino quanto umano), lo definiva saggiamente “piccola morte”, e ciò perché da sempre al coitus è legata l’ idea di estasi, svenimento, vertigine. La riuscita felicità di tale definizione è commisurata anche nel ripetuto uso all’interno del linguaggio popolare: a partire dal Settecento, nel francese colloquiale l’ orgasmo – e la perdita di sensi a esso correlata – è definito “la petite mort”.
La letteratura ci mostra come siano molti i volti che Thanatos sa assumere per impedire che Eros si compia: può strappare uno dei due amanti alla vita – come capita a Romeo e Giulietta -, può essere una separazione – Lea e Chéri del fortunato romanzo di Colette -, una scelta di castità – come in La Principessa di Clèves di Madame de la Fayette -; e ancora un rifiuto, un impotenza virile o il suo rovescio, una frigidità.
Ed è qui che Camporesi fa intervenire la cucina in cui si è molto cercato, nel periodo che intercorre tra Medioevo e Settecento – quando cioè la farmacologia non esisteva -, di trovare una soluzione a queste sfaccettature della morte. Con bibliofila argomentazione, l’ autore ricupera trattati, epistolari, memorie fino a disseppellire rimedi casalinghi, unguenti rinvigorenti degni delle televendite notturne nelle emittenti locali: in poche parole, il viagra degli antichi.
Al servizio di Papa Gregorio XIII (1502-85) – che oltre a occuparsi del calendario era un salutista -, l’ archiatra Alessandro Petronio consigliava a quegli uomini in età da matrimonio e procreazione che “hanno bisogno di maggior quantità di seme” di bere al mattino e alla sera per qualche giorno prima dei pasti una sbobba “di pan fresco e di chiari d’ ovi mal cotti, ridotta a forma di latte”.
Dal Medioevo al Barocco godette di ottima fama “il diasatirone di Mesue” (o diasatiron), confezionato con dosi massicce di testicoli di volpe cotte in brodo di ceci e poi amalgamate con “latte vaccino o pecorino, oglio e butiro vaccino”, ottimo per eccitare gli appetiti di Venere. Anche le carni del piccione, soprattutto se cotte nel vino rosso, “aumentano l’ appetito del coito” secondo Michele Savonarola (1385-1468, nonno di Giacomo), che nel Trattato utilissimo di molte regole per conservare la sanità consiglia anche “le tartufole” (tuberi simili alle patate) per “movere la lussuria”.
E poi ancora fave, melanzane e castagne ad accompagnare e insaporire code di volpi e di lucertole, testicoli di cervi, di tori, di galli “ch’ ancora non calcano le galline” e grasso di vipera. Si nota come la questione ruoti prevalentemente attorno al conforto da prestare all’ organo maschile (attaccato dall’ insaziabile femmina) su cui si avviluppa l’ intero tema dell’ eros. E ciò perché in quegli anni sono gli uomini a pontificare sul sesso, e a vedere la donna “sempre vogliosa, sempre lasciva”, una creatura in perenne attesa della “benedizione del membro eretto”, commenta nella sua introduzione Elisabetta Rasy.
A levare timidamente la voce per porre l’ attenzione sulla questione muliebre sarà Caterina Sforza, signora di Forlì (1463-1509). Nei suoi Experimenti, un ricettario medico-cosmetico, oltre a prodursi in ricette afrodisiache per “fare stare duro el membro tutta la notte”, consiglia alle donne unguenti, acque riparatrici, lozioni, polveri e profumi per conservare la linea, levigare, rassodare, schiarire, depilare.
Le sue “acqua de iovinezza” e “acqua mirabile e divina” aiutano a restare belle e giovani, ma anche a “far le mammelle piccole e dure”. In più, sapeva anche come trasformare una “donna corrupta” (non più vergine) in “naturalissima vergine”. I balsami di Venere è un pastiche godibilissimo, divertente ma anche terapeutico. Perché mentre oggi l’ imperitura ossessione per la camera da letto – a cui dopo il Medioevo venne affiancata con l’ Illuminismo il salotto e la conversazione – si declina in strumento di controllo politico-religioso (come farlo, con chi è giusto farlo, quando farlo) o nello scambiarsi o rubare sextape in chat, Camporesi ci ricorda quando il sesso era una cosa seria.