Home Risorgimento Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Napoli espelle Enrico Cialdini. Il consiglio comunale, come riporta il Corriere del Mezzogiorno, ha approvato all’unanimità la mozione che dispone l’immediata rimozione dal palazzo della Camera di Commercio del busto dedicato alla memoria del generale piemontese. L’iniziativa, firmata dal consigliere comunale di Napoli Capitale che ha recentemente aderito a Fratelli d’Italia, Andrea Santoro, coinvolgeva pure la statua dedicata a Camillo Benso conte di Cavour ma, per il momento, l’assise cittadina ha preferito glissare sulla damnatio memoriae dello statista piemontese sotto cui si completò la conquista del Regno delle Due Sicilie all’Italia sabauda.
di Alemao dal Barbadillo del 29 dicembre 2016
Quella di Enrico Cialdini, modenese, è figura tra le più controverse (e più vituperate) del più recente dibattito storico sull’Unità d’Italia. Non a caso, se si immette il suo nome su Google, il motore di ricerca consiglia di completare la stringa con “criminale di guerra”.
A capo di un nutrito corpo d’armata, forte di 22mila prima e 50mila uomini poi fino ad arrivare all’impiego di quasi 150mila soldati, represse i moti legati alla reazione lealista del Sud fedele alla causa di Francesco II di Borbone con l’appoggio dello Stato Vaticano.
Sul suo capo pende l’accusa di essere stato un “massacratore” e l’episodio storico che gli viene contestato con maggiore virulenza riguarda l’eccidio di Pontelandolfo, avvenuto nell’agosto del 1861 in cui, secondo le più recenti ricerche di stampo “revisionista”, persero la vita tra i 100 e i mille “cafoni”, contadini passati per le armi perché accusati di connivenza coi briganti e coi borbonici.
Mentre il consiglio comunale decreteva la rimozione di Cialdini, sono scese in piazza alcune associazioni neoborboniche che hanno chiesto a gran voce all’amministrazione comunale di rimettere mano alla toponomastica cittadina. Via le strade intitolate ai protagonisti del Risorgimento e più attenzione ai personaggi locali, agli eroi scordati, alle figure cadute nel dimenticatoio dove giacciono tutti i vinti della storia.
La “cancellazione” di Enrico Cialdini dal Pantheon – anche se, come sottolineato dai promotori del provvedimento “non mette in discussione l’unità nazionale” – è fatto politico che testimonia, una volta di più, la volontà del Sud di riprendersi un’identità forte. Che è passata per numerosi interventi, anche politici, legati a provvedimenti formali e simbolici, come la revoca dell’intitolazione di piazze, strade, cittadinanze onorarie. Volontà che, negli ultimi vent’anni, è passata dalla rielaborazione di fonti e ritratti storici e non ha salvato dalla sua scure nemmeno i personaggi che parevano intoccabili, su tutti Giuseppe Garibaldi.
@barbadilloit
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26 Commenti

  1. Dottor De Felice, la sua esposizione in merito ai fatti del 25 luglio (e dell’8 settembre) non mi dice tanto di nuovo di quel che già avevo letto, in passato, su questi spinosi argomenti: sono osservazioni ribadite in modo chiaro da lei, e che dal punto di vista strettamente giuridico sollevano certamente questioni di legittimità costituzionale.
    Però veniamo al dunque: dobbiamo dedurre da tutto ciò che il Re Vittorio, pur di liberarsi di un Mussolini divenuto ingombrante, pur di uscire da una guerra persa, pur di liquidare il Fascismo, pur di conservare la Corona (che non conservò affatto, come sappiamo), si sia acconciato a trasgredire in tal modo lo Statuto e a compiere quella serie di gravi atti (culminati nel rovesciamento del fronte e nell’arresto del Duce sulla soglia di casa) che lei mette in luce, grazie ai quali “salire finalmente sul desiato carro del vincitore?”
    Io non lo credo. Iniziammo tempo fa, se lei ricorda, in questa stessa sede, una specie di dibattito su questo tema rovente, e io le accennai già allora la mia adesione a quella corrente storiografica minoritaria secondo la quale il Re e il Duce si misero d’accordo. Inutile precisare che il “mettersi d’accordo” del Duce e del Re prevedeva esiti ben diversi da quelli che poi si sono verificati. Le indicai anche un libro, scritto da un reduce della RSI, il quale, appunto, sosteneva precisamente questa tesi. Una tesi che ai più appare fantastoria, ma certe volte la realtà supera la fantasia.
    Il Re Vittorio Emanuele III era un uomo onesto, ligio alle leggi e rigoroso, non era un imbroglione, non era un “maneggione”. Se ha compiuto quei gravi atti doveva esserci un motivo altrettanto grave. Non mi chieda quale. Io posso solo mettere in luce le stranezze che accompagnarono quelle vicende, stranezze che si rilevano anche nel comportamento del Duce, per esempio durante la seduta del Gran Consiglio, di cui peraltro non ci fu nessun resoconto stenografico. In realtà noi non sappiamo cos’accadde veramente. E non sappiamo neanche cosa il Re e il Duce si dissero in quella mezz’ora di colloquio prima del famoso “arresto” di Mussolini. Il segretario personale del Duce restò nell’atrio, non udì nulla, rivelò anzi che i due uscirono con i volti normali e distesi, e il Re sorridendo gli venne incontro, gli strinse la mano e lo ringraziò. La buona regina Elena dunque mentì quando raccontò a quel giornalista di Storia illustrata andato a intervistarla in Francia dopo la guerra, che la sua dama di compagnia, inviata da lei, era scesa a origliare. Ma le pare?
    Questo tema scottante che ancora angustia la nazione e riemerge periodicamente, quasi che gli italiani, dentro sè stessi, non trovassero pace in quella sconfitta, non rientra nel mio campo specifico di studi. Però, solo quando avrò trovato risposte convincenti, non dettate da un facile disprezzo nei confronti del Re o da altre ragioni emotive, potrò dedurre quel che tutti, fascisti e antifascisti, hanno dedotto, e cioè che fu commessa quella serie di atti, deleteri per i primi, provvidenziali per i secondi, che hanno condizionato il nostro futuro, anche se sarebbe ora di finirla di piangerci e ripiangerci sopra e alzare piuttosto la testa in faccia al mondo.
    Lei sarebbe disposto a mettere la mano sul fuoco che il Re abbia compiuto quegli atti intenzionalmente, e che veramente abbia voluto andare beatamente incontro agli anglo-americani che poi lo raggiunsero a Brindisi il 14 settembre, e l’incontro coi quali fu gelido? Era tutto predisposto, naturalmente. Ma non credo proprio fosse predisposto dal Re, ma dai congiurati: figure ricorrenti nella storia di tutte le monarchie. E che di solito hanno un capo, un organizzatore astuto, che non credo proprio fosse Badoglio, che anzi cercò di stare vicino al Re fino all’ultimo. Fu lui a subire l’umiliazione di salire sulla corazzata Nelson il 29 settembre a firmare la resa incondizionata con le sue famigerate 44 clausole, ma nessuno l’ha mai fotografato, il che è molto molto strano, conoscendo gli anglo-americani.

  2. Admiral Canoga, non mi faccia perdere tempo con le sue sterili questioni, tratte per lo più dall’armamentario del duo Del Boca, io c’ho da fare.
    Lei, diciamo la verità, del Risorgimento sa molto poco (e si vede), e anche della Grande Guerra, dal momento che la posizione degli austriaci era notoriamente avvantaggiata, e non a caso se le sentirono cantare per mesi e mesi dai tedeschi ai quali promettevano e ripromettevano lo sfacelo dell’Italia che mai avvenne.
    I reduci del ’15-’18 (gli ultimi due sono morti non moltissimo tempo fa) nei loro famosi raduni erano tutti orgogliosi di aver combattuto la Grande Guerra, tutti orgogliosi dei loro eroici ufficiali che li guidavano agli assalti (o crede che i fanti ci andassero da soli?), e se permette credo a loro e non a lei e a suo nonno, vero o finto che sia.
    Prenda atto e si rassegni al fatto che le “immmmperiali” forze armate austriache con tutta la loro boria fecero una ben misera fine, e che il piccolo esercito piemontese, poi Regio Esercito italiano, godeva comunque di una lunga tradizione di rispetto da parte di tutta europa. In breve tempo l’aeronautica italiana superò quella austriaca, il che fu un vero miracolo di corale impegno e abnegazione ideale, altro che puntiglio e avidità di pochi! La Marina invece, al contrario di quel che lei dice, non fece molto semplicemente perchè si trattò soprattutto di una guerra di terraferma, non ci furono battaglie navali in Adriatico.
    Dove ha letto poi che la Regia Aeronautica si sarebbe vantata di aver affondato la Mediterranean Fleet durante l’ultima guerra, quando la memorialistica di quel periodo è per lo più una lamentela e una recriminazione, proprio non lo so, ma evidentemente ci riforniamo da librai diversi.
    Mi scusi ma soprassiedo per stanchezza su tutti gli altri punti su cui proprio non vale la pena, compreso il misero Nitti che arrivò a proibire ai reduci del ’15-’18 di fare le commemorazioni dei commilitoni morti per non urtare i socialisti.
    Buonanotte
    PS.: il nobile medico borbonico da lei citato rischiò la fucilazione e comunque fu un caso isolato. Se non ci fossero state le imbarcazioni straniere, altre migliaia di persone sarebbero morte. Le indignate proteste di Francia, Inghilterra, Danimarca, Paesi bassi, Russia, Grecia, Belgio, Norvegia, Svezia, non valsero a fermare i famigerati e continui bombardamenti che pur mai fiaccarono la popolazione che commosse mezzo mondo.
    Alla eroica città di Messina non a caso fu conferita dal Re Umberto I la medaglia d’oro di Benemerita del Risorgimento nazionale.

  3. Signora Cipriano non si offenda, capisco che il Suo tempo è preziosissimo e che è un sacrilegio abusarne, mi rendo conto che al Suo cospetto sono un volgarissimo iconoclasta, ma con tutto il dovuto rispetto è più che evidente che Lei non è uno storico / una storica militare, si percepisce immediatamente da ciò che scrive: non ha la più pallida idea di cosa fossero e cosa potessero fare e non fare i cannoni e le armi da fuoco dell’epoca, molto evidentemente.
    Mi scusi ma ha mai impegnato parte delle Sue preziosissime giornate per dare una sbirciata al “sacro testo” di Piero Pieri sul Risorgimento? O ai 2 volumi di Raimondo Luraghi sulla Guerra Civile Americana e sulla Marina Confederata?
    Come fa a dire che il ruolo della Regia Marina nella I GM fu trascurabile? Mai sentito parlare dell’Ammiraglio Vittorio Tur e di “Plancia Ammiraglio”, e del II Volume in particolare?
    E dei pontoni armati Alfredo Cappellini e Faà di Bruno?
    E guardi che no erano certo gli unici! E che dire degli idrovolanti Macchi della Regia Marina?
    Su Caporetto si è mai presa la briga di spulciare ciò che ha scritto Mario Silvestri? Le dovesse succedere, non trascuri l’ultimo capitolo: “l’Italia Caporetta”. Ebbene, qualora non lo sapesse, il Silvestri, che non era uno storico di professione ma che scrisse con l’apporto di evidenti prove documentali ciò che gli storici main-stream si ostinano ad ignorare, scrisse anche un libro sulle tristi vicende dell’Isonzo. Ricordiamo però che Silvestri era un ingegnere e quanto a questioni tecniche e militari era di gran lunga più competente della stragrande maggioranza degli “storici non militari”.
    E’ del tutto evidente che Lei ignora completamente quello che combinarono gli austriaci sul Fronte Russo prima dell’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. E’ altrettanto evidente che ignora l’importanza che ebbe il blocco dell’Adriatico da parte della Regia Marina o l’arrivo a Istanbul della piccola formazione navale dell’Ammiraglio Wilhelm Souchon.
    Quanto alla Regia Aeronautica, che se vogliamo essere precisi nella Prima Guerra Mondiale ancora non esisteva e che venne creata dal Fascismo – i velivoli italiani nella I GM erano in dotazione alla Regia Marina e al Regio Esercito – , ha mai sentito parlare dei trionfalistici rapporti su Punta Stilo?
    Quanto ai Del Boca, mentre non mi piace per nulla quanto scrive il signor Lorenzo, ma è la mia modestissima opinione personale, non vedo proprio come nel 2017 si possa ancora sterilmente accusare il signor Angelo. Persino Indro Montanelli, ovvero un reduce, si scusò con Lui sulla questione dei gas impiegati in Etiopia nel 1935. Ricordiamo che le vicende etiopi per quanto riguarda l’aspetto militare sono state affrontate piuttosto approfonditamente da alcuni articoli di diversi autori apparsi sulla rivista Storia Militare e su alcune monografie edite dalla gloriosa Albertelli, autori che guarda caso sono/erano storici militari e hanno anche fornito documentazione fotografica dei mezzi impiegati in Etiopia dai “plotoni chimici”.
    Mi pare che quanto scritto questi signori sostanzialmente confermi quanto scritto in tempi non sospetti dal Del Boca.
    Poi certo, se la vita di un abitante di Addis Abeba rimasto ucciso dalle rappresaglie successive all’attentato a Graziani vale molto meno di quella di un messinese ucciso dagli svizzeri al soldo del borbone perchè lo dice Lei, allora mi taccio.
    Sui fatti di Livorno signora Cipriano cerchi di essere più precisa e di non fare mera propaganda pasticciando i dati: le fonti, assai contrastanti le une con le altre, parlano di un numero di morti compreso tra gli 80 e gli 800. Evidentemente 800 non furono le vittime dei soli bombardamenti d’artiglieria o cannoneggiamenti che dir si voglia: si arriva a quel totale mettendo insieme le vittime dei colpi di cannone, le vittime degli scambi di fucilate (e anche quanto a fucili gli austriaci erano avvantaggiati), le vittime dei corpo a corpo e degli assalti alla baionetta e delle rappresaglie e fucilazioni successive alla caduta della città in mano austriaca.
    E’ vero che va preso con tutte le dovute precauzioni, ma vogliamo proprio ignorare del tutto quanto scrisse Diomira Cartoni sull’11 maggio 1849?
    “Fu aperta una breccia tra Porta S. Marco e Porta Fiorentina (attuale Barriera Garibaldi, ndr), furono forzate tutte le porte e barriere; da ogni lato, alle ore 10 e mezza l’armata (austriaca) entrava in città. La resistenza, fatta dalle case che avvicinavano le porte o barriere e dalle muraglie delle ville, fece sì che i soldati austriaci, da dove veniva tale resistenza, entravano uccidendo e saccheggiando. Il danno fu forte. La mortalità, sia seguita nella difesa, sia per quelli che, presi con l’arma alla mano erano stati fucilati, si dice ammontasse circa 800 persone, ma la maggior parte dei capi rivoluzionari fuggirono per via di mare. Sembra che la truppa si acquietasse, che la popolazione dimostrasse agli austriaci non voler essergli tanto avversa, tolti i peggiori soggetti, e già le truppe erano in Piazza grande abbivaccate quando a ore 12 circa dal Duomo ed altre case di piazza fu tirato sulla truppa. Questa circostanza poteva essere fatale al nostro Livorno. Infatti cominciarono i soldati, entrando per le casa per avere i briganti che avevano fatto fuoco, a derubarle; ma i generali e ufficiali fecero tornare tutto all’ordine: meno che arresti e fucilazioni che si eseguivano al momento che prendevano uomini armati o indicanti che avessero preso parte alla difesa. Fra le persone più diffamate fu fucilato il Cartelloni”.”
    Sulla gloriosa tradizione militare dello Stato Maggiore del Regio Esercito è sempre illuminante il libro di Carlo
    de Biase “L’Aquila d’oro”.
    Se si vuole riflettere amaramente sugli italiani è sempre attuale l’Antistoria d’Italia di Fabio Cusin, illustre triestino e certamente lontano da certe puerili e anacronistiche visioni nazionalistiche.
    Perchè mai ce l’ha tanto col povero Nitti, forse perchè scrisse a Vittorio Emanuele III di tirar fuori gli attributi e stroncare sul nascere le straordinarie azioni di Benito Mussolini, cosa che il re naturalmente non fece?
    Ah, il mito intramontabile e inarrivabile della romanità: che sventura non poter replicare l’apoteosi d’Augusto!
    Ha mai letto “la rivoluzione romana” di Ronald Syme?

  4. Admiral Canoga non “perda tempo” con la garibaldina Cipriano, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Comunque grazie per i sui interventi, puntuali ed illuminanti.

  5. Egr. Sig.ra Cipriano, riscontro quanto Lei scrive: “Non è questione di fare la propaganda al Risorgimento o di essere filo-sabaudi (io poi sono garibaldina, più precisamente), ma si tratta di confutare le balle di chi sappiamo, le quali circolano pressoché indisturbate, attirano la gente frustrata e invelenita del nostro tempo, e per alcuni costituiscono addirittura un passatempo provocatorio, anche se dietro a queste balle c’è una progettualità politica ben precisa, un’aggressione mirata all’Italia e agli italiani”. E non posso non essere d’accordo con il Suo sopra riportato punto di vista. Ma il mio contributo alla discussione storica è un altro e non legato alla polemica tra neo-borbonici ed unitari che pure deve avere entità “indefinite” dietro le quinte a manovrare. Non credo alle storie apologetiche anche se la propaganda a volte è indispensabile a cementare le nuove strutture istituzionali. Ciò che in effetti stupisce e va sottolineato è la mancanza di reazione e reattività storico-analitica nonché di strutturazione di un team culturale (extra od anti)accademico da parte di Casa Savoia che possa fungere da volano dialettico e propositivo ad una difesa e ridiscussione sull”800 ed, in misura minore (perché più problematica) il ‘900 ufficiali. Proprio per contestare, documenti alla mano, determinati cliché o stereotipi contingenti cui Lei si riferisce, e riproporre questioni dirimenti e dirompenti per il confronto dell’intelligenza italiana. Confronto che manca del tutto. Silenzio di Casa Savoia che stupisce ancor di più se si considera la serietà e la preparazione culturale della principessa Maria Gabriella e se si considera, senza pregiudizi e deformazioni caricaturali giornalistico-radicalchic, la non banale personalità di Vittorio Emanuele (IV).
    Mi consenta Sig.ra Cipriano, ma non ha colto l’essenza del mio precedente intervento, o forse ha equivocato il senso del mio ragionamento che non è meramente accusatorio verso Vittorio Emanuele III (sinceramente indifendibile anche per la inconsapevole mole di assurdità costituzionali, diplomatiche – come le due, peraltro ridicole e giuridicamente nulle, dichiarazioni di guerra del 13 ottobre 1943 alla Germania a Madrid tramite Paolucci de Calboli e del luglio 1945 contro il Giappone durante il governo Parri, e militari). Non sono qui a condannare Vittorio Emanuele III vittima e complice “inconsapevole” di personalità ambigue ancorché non stupide quali Carboni, Roatta, Zanussi, Acquarone, Guariglia, Castellano, Ambrosio, Grandi, Galeazzo Ciano e Federzoni. Riguardo alla Sua osservazione che “il Re Vittorio Emanuele III era un uomo onesto, ligio alle leggi e rigoroso, non era un imbroglione, non era un “maneggione. Se ha compiuto quei gravi atti doveva esserci un motivo altrettanto grave. Non mi chieda quale. Io posso solo mettere in luce le stranezze che accompagnarono quelle vicende, stranezze che si rilevano anche nel comportamento del Duce, per esempio durante la seduta del Gran Consiglio, di cui peraltro non ci fu nessun resoconto stenografico. In realtà noi non sappiamo cos’accadde veramente. E non sappiamo neanche cosa il Re e il Duce si dissero in quella mezz’ora di colloquio prima del famoso “arresto” di Mussolini”, su tutto ciò non è mio interesse aprire una polemica con Lei, Sig.ra Cipriano che è persona seria. Ma devo, però, ricordarLe che la regina Elena redarguì pesantemente il consorte Vittorio Emanuele III per aver permesso che l’arresto del Duce da parte del Capitano dei Carabinieri Vigneri fosse avvenuto all’interno di Villa Savoia (residenza Reale) il pomeriggio del 25 luglio 1943, un affronto disonorevole per tutta Casa Savoia e per la storia della dinastia. Devo poi ricordarLe inoltre, ad attestare la infida ambiguità reciproca della relazione Badoglio-Vittorio Emanuele III, che su consiglio del Conte Carlo Sforza, rientrato, lui antifascista, da poco in Italia, Pietro Badoglio, a sua volta, il 24 ottobre 1943 invia una lettera al Sovrano per indurlo ad abdicare, a convincere il Principe di Piemonte (Umberto II), erede al trono, a rinunciare alla successione ed a creare una reggenza con l’infante Principe di Napoli (Vittorio Emanuele IV). In seguito ad accordi con Sforza, Badoglio stesso sarebbe divenuto Reggente. Si parlò allora di tradimento di Badoglio nei confronti del Re Vittorio Emanuele III, e – mi sembra – a ragion veduta. Vittorio Emanuele III avvertì Badoglio che quest’ultimo non avrebbe mai potuto conseguire la carica cui aspirava, in quanto, secondo lo Statuto, reggente doveva essere un Principe della Casa Reale, poi, come scrisse Attilio Tamaro, “per parecchio tempo il Sovrano evitò di rivolgergli la parola”. Quindi non mi sento di condividere la Sua affermazione circa la fedeltà ed armonia di Badoglio verso il Re allorquando Lei scrive: “credo proprio fosse Badoglio, che anzi cercò di stare vicino al Re fino all’ultimo. Fu lui a subire l’umiliazione di salire sulla corazzata Nelson il 29 settembre a firmare la resa incondizionata con le sue famigerate 44 clausole, ma nessuno l’ha mai fotografato, il che è molto molto strano, conoscendo gli anglo-americani”.
    Il problema non è quello che Badoglio, figura tragica, proterva e patetica di dilettante allo sbaraglio fa il 29 settembre 1943 sulla corazzata Nelson. Il problema è quello che sta a monte: il viaggio del Generale Giuseppe Castellano nel luglio 1943 a Madrid e Lisbona per trattare con USA e Regno Unito non la stipula dell’armistizio, bensì la cobelligeranza con Londra e Washington mentre si è ancora alleati con Berlino. Ho acquisito il Diary Top secret del Generale Castellano negli Usa tempo fa dagli archivi d’intelligence USA. Le ignobili clausole dell’armistizio il popolo italiano non le conosce. Con l’armistizio stipulato dal governo fantoccio guidato da Badoglio, secondo lo stesso Eisenhower non solo chi lo stipulò venne meno alle leggi dell’onore e tradì l’Italia e gli Italiani, ma fece sì che la guerra guerreggiata si spostasse sul suolo italiano, con conseguenti enormi distruzioni di edifici antichi, abitazioni, strade, ferrovie, infrastrutture di ogni genere e morte di migliaia di italiani, civili compresi e che 600mila nostri soldati, lasciati in balìa di sé stessi, senza ordini, fossero catturati dai tedeschi. Ma non è questo il punto. Perché un armistizio si sarebbe potuto ottenere o con gli anglo-americani (senza capovolgimento di fronte e su ciò bastava vedere cosa aveva fatto la Francia coll’Asse dopo il giugno 1940 senza regalare la flotta francese a Hitler o Mussolini) o con i russi (ved. colloquio Mussolini-Hidaka del 25 luglio 1943 mattina, prima dello scellerato arresto del Duce ad opera del complotto badogliano). Il punto è capire perché sia stato assassinato Ettore Muti. Il punto principale è capire come un Re possa aver dato luogo ad una mostruosità giuridica quale fu quella delle leggi penali retroattive. La irretroattività delle leggi penali è un cardine fondamentale ed irrinunciabile di ogni società civile come principio universalmente ammesso. E non esiste violenza spacciata per libertà imposta da invasori anglo-americani a cambiarla. Nell’attuale ordinamento tale principio sacro ed inviolabile è dall’art. 25 della Costituzione della Repubblica Italiana. Le “sanzioni contro il fascismo” furono adottate con una serie di decreti tutti con decorrenza retroattiva dando luogo ad un medioevo della barbarie giuridica e delle tenebre della prepotenza anti-civile. Tale fu il governo Badoglio. Tale fu la “libertà” imposta con la violenza dagli invasori angloamericani con pratiche poi adoperate in Iraq nel 2003 ed in altri contesti dello scorso secolo. La irretroattività delle leggi penali fu una farsa ed una tragedia come una ignominia fu la epurazione antifascista. La invito a riflettere: sia le norme che avevano premiato un determinato comportamento dal 1922 al 1943, sia quelle che, al contrario, punivano retroattivamente lo stesso comportamento, addirittura nei confronti degli stessi cittadini, recavano la firma (dal 1943 al 1944) non solo della stessa istituzione, la Corona, ma addirittura della stessa persona fisica, Vittorio Emanuele III. Ogni commento è superfluo per descrivere la vergogna del passaggio dalla monarchia costituzionale fascista alla dittatura medievale badogliana ed antifascista.
    Ad Umberto II, soggetto anch’egli illegittimo come Luogotente, dobbiamo l’infausta ricorrenza del 25 aprile 1945, giorno in cui fu completata l’occupazione nemica anglo-statunitense, denominata “Liberazione”, dell’intero territorio nazionale e la cessazione del Governo della RSI, unico governo italiano sovrano ed indipendente di quel periodo da un punto di vista costituzionale in primis. La Repubblica Sociale Italiana assicurò, pur tra difficoltà di ogni genere, la continuità, la libertà e l’indipendenza dello Stato Italiano nato nel 1861. Ma il mio ragionamento non è mirato a denigrare la pretendenza di Casa Savoia al titolo di Corona d’Italia. Anzi, la struttura formale della mia argomentazione, il meccanismo logico-deduttivo del mio intervento mira ad attribuire la vera ed unica titolarità di Re d’Italia a Vittorio Emanuele IV (classe 1937) il cui titolo, alla luce delle violazioni di nonno e padre, non è inficiato in alcun modo al proseguimento dell’aspirazione alla carica di re d’Italia, dal momento che, come ho sottolineato sopra e nel mio precedente intervento, la attuale repubblica nata nel 1948 è del tutto illegittima e giuridicamente inesistente, ancorché da più di 70 anni sia stata attore statale italiano primario, stante la incomprensibile passività ed inconsistenza storico-politica di Umberto II.

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