Home Risorgimento Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Napoli espelle Enrico Cialdini. Il consiglio comunale, come riporta il Corriere del Mezzogiorno, ha approvato all’unanimità la mozione che dispone l’immediata rimozione dal palazzo della Camera di Commercio del busto dedicato alla memoria del generale piemontese. L’iniziativa, firmata dal consigliere comunale di Napoli Capitale che ha recentemente aderito a Fratelli d’Italia, Andrea Santoro, coinvolgeva pure la statua dedicata a Camillo Benso conte di Cavour ma, per il momento, l’assise cittadina ha preferito glissare sulla damnatio memoriae dello statista piemontese sotto cui si completò la conquista del Regno delle Due Sicilie all’Italia sabauda.
di Alemao dal Barbadillo del 29 dicembre 2016
Quella di Enrico Cialdini, modenese, è figura tra le più controverse (e più vituperate) del più recente dibattito storico sull’Unità d’Italia. Non a caso, se si immette il suo nome su Google, il motore di ricerca consiglia di completare la stringa con “criminale di guerra”.
A capo di un nutrito corpo d’armata, forte di 22mila prima e 50mila uomini poi fino ad arrivare all’impiego di quasi 150mila soldati, represse i moti legati alla reazione lealista del Sud fedele alla causa di Francesco II di Borbone con l’appoggio dello Stato Vaticano.
Sul suo capo pende l’accusa di essere stato un “massacratore” e l’episodio storico che gli viene contestato con maggiore virulenza riguarda l’eccidio di Pontelandolfo, avvenuto nell’agosto del 1861 in cui, secondo le più recenti ricerche di stampo “revisionista”, persero la vita tra i 100 e i mille “cafoni”, contadini passati per le armi perché accusati di connivenza coi briganti e coi borbonici.
Mentre il consiglio comunale decreteva la rimozione di Cialdini, sono scese in piazza alcune associazioni neoborboniche che hanno chiesto a gran voce all’amministrazione comunale di rimettere mano alla toponomastica cittadina. Via le strade intitolate ai protagonisti del Risorgimento e più attenzione ai personaggi locali, agli eroi scordati, alle figure cadute nel dimenticatoio dove giacciono tutti i vinti della storia.
La “cancellazione” di Enrico Cialdini dal Pantheon – anche se, come sottolineato dai promotori del provvedimento “non mette in discussione l’unità nazionale” – è fatto politico che testimonia, una volta di più, la volontà del Sud di riprendersi un’identità forte. Che è passata per numerosi interventi, anche politici, legati a provvedimenti formali e simbolici, come la revoca dell’intitolazione di piazze, strade, cittadinanze onorarie. Volontà che, negli ultimi vent’anni, è passata dalla rielaborazione di fonti e ritratti storici e non ha salvato dalla sua scure nemmeno i personaggi che parevano intoccabili, su tutti Giuseppe Garibaldi.
@barbadilloit
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26 Commenti

  1. Sig.ra Cipriano, l’antipatica presunzione di conoscere tutto, l’infantile arroganza di credere di avere sempre ragione, l’insolenza nei giudizi e la protervia nel trarre conclusioni suscitano più compassione che fastidio. Lei non sa chi sono eppure afferma di conoscere i miei “beniamini”, di non credere al mio amor patrio e mi definisce filo borbonico. Parla di “contraddizione in termini” basandosi sul nulla, convinta della mia stupidaggine. Così come sui fatti storici ancora una volta l’eccesso di tracotanza le impedisce di vedere la verità.
    Non ho mai negato che “L’Unità l’ha fatta il Risorgimento”, (anche se detta così è molto riduttivo) ho invece sempre e solo contestato il modo come si è realizzata e soprattutto come è stata raccontata.

  2. Sì, dottor De Felice, lei ha ragione, anch’io lamento questo vuoto di reattività storico-analitica da parte dei restanti Savoia, tanto più che una Unione Monarchica in Italia c’è, presieduta dal brillante avvocato napoletano Alessandro Sacchi, ma credo che la loro inerzia sia in gran parte spiegabile. Sono usciti di scena, sono vissuti sempre all’estero, il Re a suo tempo svincolò addirittura gli ufficiali dal giuramento di fedeltà, si piegò per non far scoppiare una guerra civile che proprio a Napoli stava principiando, il referendum probabilmente era truccato, e comunque quando un regnante esce di scena dopo una sconfitta mondiale è praticamente impossibile ci possa rientrare. Fino a ieri non potevano nemmeno aprir bocca. Adesso stanno attenti a non urtare la suscettibilità dei nostri governanti (Vittorio Emanuele IV fu incarcerato nel 2006 come un volgare delinquente per fatti poi risultati del tutto infondati) che ci hanno regalato la penosa corte dei miracoli che ci attornia. Ma il vero problema è che la maggioranza di italiani è addormentata come in un limbo e praticamente non mostra reazioni, anche se di cose per cui mettersi in trincea ce ne sarebbero a non finire, e difendere il Risorgimento è solo una delle tante, e comunque il minimo che si possa fare per l’Italia.

  3. A proposito dell’insurrezione antiborbonica di Messina che nel 1848 resistette eroicamente otto mesi sotto bombe e proiettili di tutti i tipi (furono usati anche degli speciali preparati al fosforo), sono le fonti borboniche che parlano di un “numero incalcolabile di morti che non si potevano neanche contare”, “di morti in cui s’inciampava a ogni passo per oltre due miglia”, e della città ridotta al centro come il “cratere di un vulcano”, avvolta in nere nuvole di fumo e cosparsa d’incendi, effetto collaterale dei bombardamenti. Del resto, se la Statistica non è un’opinione, dal momento che il bombardamento su Livorno effettuato dagli austriaci con 50 cannoni per soli 2 giorni, fece qualche centinaio di morti, non è difficile dedurne un calcolo conseguente.
    Mi complimento poi con il commentatore che è salito fino al rifugio dell’eroico generale Achille Papa a vedere il “di qui non si passa” e toccare con mano le batoste prese dall’Austria durante la Grande Guerra per mano dei nostri uomini che erano grandi come montagne, mentre adesso in molti sono al livello del mare.
    Circa la sconfitta di Adua del 1896, purtroppo non c’erano i tanti esperti militari da tastiera a suggerire al generale Baratieri come tener testa a 100.000 etiopi arrabbiati quando si è in meno della metà. Certo Giulio Cesare ci sarebbe riuscito, ma cosa si vuole pretendere dai poveri generali piemontesi…..
    Io parlerei anche di Caporetto, di Custoza, di Novara, etc., ma a casa mia quelli che amano aggirarsi attorno alle carcasse delle patrie sconfitte dimenticandosi delle vittorie, li chiamo sciacalli.

  4. Egr. Sig.ra Cipriano, concordo e quoto e sottoscrivo i Suoi ultimi 2 commenti precedenti. Ma osservo, in relazione a quanto e quando Lei scrive: “quando un regnante esce di scena dopo una sconfitta mondiale è praticamente impossibile ci possa rientrare”, che per il Giappone di Hiroito la serietà del popolo nipponico è stata l’opposto del comportamento italiano (ed avevano subìto 2 bombe atomiche) che ci ha “regalato” la vergogna di Piazzale Loreto il 29 aprile 1945. Quello del referendum truccato, perché che sia stato truccato è ormai la scoperta dell’acqua calda, è, a mio modesto avviso, un falso problema. La Repubblica è illegittima anche perché il sedicente Regno del Sud era giuridicamente inesistente in quanto governo di fatto e Stato fantoccio obbediente alla forza di occupazione militare nemica rappresentata dalla Commissione Alleata di Controllo. Il re Vittorio Emanuele III attua un colpo di Stato con la nomina di Badoglio alla carica di Primo Ministro il 25 luglio 1943, Segretario di Stato e Capo del governo in violazione della procedura prevista dalla Costituzione vigente (Statuto Albertino del 1848), cioè senza consultare, e neppure chiedere, al Gran Consiglio del Fascismo (organo costituzionale) la lista dei nomi dei candidati alla nomina. L’omessa presentazione da parte del Gran Consiglio della lista al Sovrano ha invalidato il decreto reale di nomina di Badoglio, reso senza che si fosse verificata la ricezione di una qualsiasi proposta dal Gran Consiglio. Il decreto di nomina di Badoglio a Capo del Governo all’indomani del 25 luglio 1943 era invalido. Il Governo Badoglio fu un governo illegittimo, illegittimamente nominato, e dunque un semplice “governo di fattto” giuridicamente inesistente. Noto inoltre che secondo il parere di Santi Romano (1933) sull’esistenza di “un ufficio unico, quello di Capo del Governo e Capo del Partito”, cioè di Duce del Fascismo, se la nomina di Badoglio fosse avvenuta nei limiti della Costituzione allora vigente, egli con l’investitura a Capo del Governo, avrebbe ricevuto, automaticamente, anche quella a “Duce del Fascismo”. Governo di fatto non di diritto perché Corona e Gabinetto avevano riassunto tutti i poteri, contro la solenne promessa dello Statuto. Il re Vittorio Emanuele III, nell’attuare il colpo di Stato del 25 luglio 1943, procedette in senso contrario al voto emesso dal Gran Consiglio che si era espresso, come organo costituzionale, contemporaneamente alla sfiducia verso Mussolini anche verso la richiesta di potenziamento degli organi costituzionali propri del regime fascista, che furono invece soppressi con semplici regi decreti, totalmente privi di efficacia sul piano giuridico. La legge 24 dicembre 1925, n. 2263, stabiliva fra l’altro nell’art. 2: “Il decreto di nomina del Capo del Governo, Primo Ministro, è controfirmato da lui, quello di revoca dal suo successore”. E’ noto, poi, che nessuna legge o decreto del Capo dello Stato (il re) può entrare in vigore se non sia stata inserita nella “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti” e pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale”. Orbene, nessuna traccia reca la “Gazzetta Ufficiale” della esistenza del decreto di revoca di Benito Mussolini dalla carica di Capo del Governo e di quello di nomina di Pietro Badoglio, mentre i successivi decreti di nomina di ministri e di sottosegretari furono tutti pubblicati dalla “Gazzetta Ufficiale”. Altre furono le violazioni dello Statuto Albertino da parte di Vittorio Emanuele III dopo il 25 luglio ’43 che elencherò di seguito. Egli non poteva più essere considerato re d’Italia e del pari illegittima fu, di conseguenza, l’assunzione al trono di Umberto II poiché decretata da un re non più re. Per cui, l’unico aspirante legittimo sarebbe stato l’infante Vittorio Emanuele IV, posti fuori carica sia Vittorio Emanuele III che il figlio Umberto II, sedicente re di maggio, regno questo di Umberto II anch’esso illegittimo perché filiazione decretata da un Ex-re (Vittorio Emanuele III) impossibilitato, per violazione della costituzione sabauda ed italiana, dall’esercitare la carica di capo di Stato (così come illegittima e giuridicamente inesistente è stata la repubblica nata dal referendum del 1946 poiché il referendum fu proposto dopo tutte le violazioni giuridiche e costituzionali avvenute con e dopo il 25 luglio 1943 e fu promosso sotto la reggenza fasulla di Umberto II non avente titolo a discesa da ciò di cui sopra detto). Ovviamente non era possibile sopprimere legittimamente un organo come il Gran Consiglio del Fascismo (o la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, o il Senato etc.) con un decreto; anzi, non sarebbe stata sufficiente neppure una legge ordinaria. Per la modifica, e tanto più per la creazione o la soppressione di organi costituzionali sarebbe stato necessario invece adottare quelle che le norme allora vigenti indicavano come “leggi costituzionali”, per l’approvazione delle quali occorreva il parere del Gran Consiglio e la votazione della Camera e del Senato in assemblea plenaria. Viceversa, con Regio decreto legge 2 agosto 1943, n. 705, fu soppressa la Camera e fu pertanto automaticamente messo nell’impossibilità giuridica di operare, ed anche semplicemente di riunirsi, anche il Senato, per l’art. 48 dello Statuto, il quale – come già detto – stabiliva: “Ogni riunione di una Camera fuori del tempo della sessione dell’altra è illegale, e gli atti ne sono interamente nulli”. Furono cioè rispettivamente o soppressi (Camera) o messi nell’impossibilità giuridica di funzionare (Senato) i due rami del Parlamento, di cui il voto del Gran Consiglio aveva chiesto il rafforzamento. E’ appena il caso di ricordare, a questo proposito, come quando era stata soppressa, nel 1939, la precedente Camera dei deputati ed era stata istituita in luogo di essa la Camera dei fasci e delle corporazioni, la norma era stata adottata con tutte le forme costituzionali prescritte, ivi compresa la approvazione della stessa sopprimendo Camera dei deputati, cessata con la fine della XXIX legislatura. Con Regio decreto legge 2 agosto 1943, n. 704, fu soppresso il Partito Nazionale Fascista e con Regio decreto legge 2 agosto 1943, n. 706, fu soppresso il Gran Consiglio del Fascismo, di cui l’ordine del giorno adottato il 25 luglio 1943 dallo stesso organo costituzionale chiedeva, al contrario, il potenziamento. A questi atti gravissimi Vittorio Emanuele III ne fece seguire altri ancora più gravi e lesivi di qualsiasi diritto e civiltà giuridica. Con il colpo di Stato del 25 luglio 1943, completato dai regi decreti dell’agosto 1943 e successivi, Vittorio Emanuele III venne altresì meno al giuramento prestato al momento di salire al trono, l’11 aprile 1900, di “osservare lo Statuto, di esercitare l’Autorità Reale in virtù delle leggi e conformemente alle medesime” (“Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia”, 11 agosto 1900, n. 186), venne cioè meno a quella che era stata definita “non solo un dovere giuridico, ma altresì la condizione per la sua assunzione all’ufficio supremo dello Stato, onde la necessità che il Sovrano non venga mai meno alla sua osservanza” (E. Bonaudi, Principii di diritto pubblico, Torino, 1936, p. 185).
    L’armistizio, anzi il capovolgimento di fronte (con conseguente guerra civile) ed abbandono di migliaia di militi italiani allo sbando dopo l’8 settembre 1943, è alla base di qualsiasi negatività della nostra II guerra mondiale. In storia delle relazioni internazionali dopo un armistizio, che significa tregua sospesa, (e dopo un colpo di Stato di palazzo che trasformò la monarchia costituzionale fascista in una dittatura militare antifascista e badogliana) si hanno due alternative: 1) o si riprende la guerra contro i nemici contro cui si era iniziata; 2) oppure si stipula subito un trattato di pace con essi. Né l’una né l’altra fattispecie seguirono la scellerata condotta Vittorio Emanuele III e Badoglio. Vittorio Emanuele III non era più Re d’Italia perché aveva violato lo Statuto Albertino del 1848 non consultando (ma addirittura sopprimendolo) il Gran Consiglio, organo Costituzionale il cui parere era necessario ed obbligatorio per la sottoposizione della lista da cui sarebbe dovuto essere scelto il Primo Ministro, Segretario di Stato e Capo del Governo. E tale figura, spettava, per diritto costituzionale a colui che presiedeva il Gran Consiglio in sostituzione del Duce, ossia al Segretario del Partito Nazionale Fascista che Badoglio ed il Re, altro stravolgimento costituzionale, soppressero immediatamente. Il Governo Badoglio fu illegittimo e di fatto, e tale è ancora oggi la repubblica italiana sua erede. In questa ottica, unico vero Savoia titolato sin dal 1943, benché infante, alla carica di Re d’Italia era ed è Vittorio Emanuele IV (anche per il principio maschile della legge salica vigente nel Regno Sabaudo a differenza delle monarchie femminili britanniche, olandesi e danesi). Stupisce la assenza di ricostruzioni storiche serie, costituzionalmente e storico-politicamente, da parte dell’intera intellettualità post-bellica se si escludono Elio Lodolini, Francesco Cossiga e Renzo De Felice. Già un personaggio discusso e discutibile come Carlo Sforza, nel 1943 aveva correttamente attribuito data la illegittimità e la gravità degli atti di Vittorio Emanuele III e del passivamente ignavo Umberto II, la legittimità al titolo di Re d’Italia al solo infante Vittorio Emanuele IV. Ed in termini costituzionali, se il diritto pubblico non è una farsa da 70 anni ad oggi, ciò è vero ancora oggi.

  5. Mi perdonino Franco Battiato, Carl Palmer e, dall’aldilà Keith Emerson, Greg Lake, mio nonno e Hatsuyuki e speriamo di non turbare troppo Amaterasu, uscita di recente dalla caverna e impegnata in cose ben più serie!
    “Strano come il rombo degli aerei
    da caccia un tempo,
    stonasse con il ritmo delle piante
    al sole sui balconi…
    e poi silenzio… e poi, lontano
    il tuono dei cannoni; a freddo…
    e dalle radio dei segnali in codice.
    Un giorno in cielo, fuochi di Bengala…”
    “Ho sentito urla di furore di generazioni,
    senza più passato,
    di neo-primitivi rozzi cibernetici signori degli anelli orgoglio dei manicomi…”
    “He went to fight wars
    For his country and his king
    Of his honor and his glory
    The people would sing
    Ooh, what a lucky man he was
    Ooh, what a lucky man he was
    A bullet had found him
    His blood ran as he cried
    No money could save him
    So he laid down and he died
    Ooh, what a lucky man he was
    Ooh, what a lucky man he was”
    Naturalmente: Trionfa Italia su Trento, Trieste e Zara; trionfa Italia nei nuovi confini; trionfa Italia, sui fiumi, su l’Alpi, sui mari!
    Signora Cipriano valuti attentamente quanto scritto e non si faccia prendere da irrazionale foga nazionalistica, visto che come diceva Francesco Saverio Nitti “il nazionalismo è alla nazione ciò che il bigottismo è alla religione”.
    D’altra parte il Nitti, che certamente non era filo-borbonico e che certamente detestava le bande di Carmine Crocco almeno quanto Pellegrino Artusi odiava la banda di Stefano Pelloni, su Ferdinando II scriveva che “pochi principi italiani fecero tra il ’30 e il ’48 il bene che egli fece. Mandò via dalla corte una turba infinita di parassiti e di intriganti: richiamò i generali migliori, anche di parte liberale, e licenziò gli inetti; ordinò le leve militari; fece costruire, primo in Italia, una strada ferrata, istituì il telegrafo, fece sorgere molte industrie, soprattutto quelle di rifornimento dell’esercito, che era numerosissimo; ridusse notevolmente la lista civile; mitigò le imposte più gravi. Giovane, forte, scaltro, voleva fare da sé, ed era di una attività meravigliosa. Educato da preti e cattolicissimo egli stesso, osò, con grande ammirazione degli intelletti più liberi, resistere alle pretese del papato e abolire antichi usi, umilianti per la monarchia napoletana. È passato alla storia come “Re bomba” e non si ricordano di lui che il tradimento della Costituzione, le persecuzioni dei liberali, le repressioni di Sicilia, e le terribili lettere di Gladstone. Abbiamo troppo presto dimenticato che, durante quasi due terzi del suo regno, i liberali stessi lo chiamarono Tito e lo lodarono e lo esaltarono per le sue virtù e per il desiderio suo di riforme. Abbiamo troppo presto dimenticato il sollievo che le sue riforme finanziarie produssero nel popolo, e l’ardimento che egli dimostrò nel sopprimere vecchi abusi.”
    L’Italia è stata fatta, siamo contenti, ci mancherebbe, non sono certo un secessionista e mal sopporto padani, serenissimi, neo-briganti e nostalgici vari, ma è ugualmente insopportabile la retorica nazionalista con i vaniloqui sulle presunte impareggiabili virtù guerriere degli italiani.
    L’unificazione della penisola è stata un autentico miracolo e Vittorio Emanuele II si trovò ad essere re d’Italia grazie a un solenne calcio nel sedere ben assestato in cotal nobil posteriore da Giuseppe Garibaldi, unico autentico “uomo d’azione” / “ariete” / “uragano” del Risorgimento, che conquistò mezza penisola con i suoi metodi non convenzionali, militari e non, e con il beneplacito della Gran Bretagna e della Francia Imperiale e non certo grazie allo strepitoso genio militare di generali e ammiragli piemontesi.
    Detto questo, le vittime messinesi/siciliane dei colpi dell’artiglieria borbonica non furono migliaia e migliaia, ma diverse centinaia. Vi furono poi tantissime vittime cadute nei corpo a corpo che si verificarono con l’entrata in città delle truppe borboniche e con i combattimenti casa per casa. Dopo la caduta di Messina, vi furono poi le vittime della rappresaglia borbonica. Si badi bene che durante gli attacchi alle fortificazioni nelle mani della guarnigione borbonica le perdite messinesi non furono dovute soltanto alle artiglierie ma anche alle armi individuali in dotazione ai “soldati lealisti”.
    Si badi bene che il bombardamento di Messina non fu assolutamente incessante per gli oltre 8 mesi del così detto assedio e le unità maggiori della flotta borbonica non furono sempre presenti, anzi è vero il contrario.
    Si noti anche che alcuni soldati borbonici catturati dagli insorti furono trucidati e si ricordi che il capitano medico dottor Ferdinando Palasciano, al seguito del contingente del Filangeri, prestò soccorso e cure a diversi insorti messinesi e che per questo motivo fu processato e condannato.
    Ergo il bene e il male, il bianco e il nero stanno da entrambe le parti, come nel simbolo del Tao.
    Visto che ha citato Novara, come mai ben pochi storici del Risorgimento si soffermano su quello che combinarono ai danni della popolazione civile di Novara e dintorni i soldati sbandati dell’esercito di Carlo Alberto?
    E cosa vogliamo dire dei fatti di Genova? Coma mai si ricordano tanti patrioti e ci si dimentica quasi sempre di Alessandro De Stephanis?
    Raccontare la storia mettendo tutto il bene da una parte e tutto il male dall’altra, continuando a raccontare i Garibaldi bravo buono e bello e dei Savoia predestinati benefattori dal sangue blu e dall’animo intrinsecamente nobile e descrivere austriaci e tedeschi sempre e solo come feroci nazisti anti-italiani sin dalla notte dei tempi significa fare cronachetta di mediocre qualità, indegna persino di essere raccontata da Radio Hanoi.
    Aggiungiamo che di solito le fonti del tempo di guerra sono da vagliare attentamente e spesso se non sempre è necessario farne la radice cubica: se dovessimo prendere alla lettera quanto retoricamente proclamato e scritto a suo tempo dalla Regia Aeronautica, la Mediterranean Fleet sarebbe stata interamente affondata almeno 4 o 5 volte, cosa evidentemente mai avvenuta.
    Purtroppo la storia militare italiana dall’età napoleonica al 1946 ha ben poche luci e moltissime ombre, piaccia o non piaccia. Visto che ha citato Adua e quel grande genio militare del Baratieri, tralasciando il contesto geopolitico che vedeva russi e francesi appoggiare gli abissini, perchè mai dovremmo scusare un simile quadrupede in divisa coloniale? Lo svantaggio numerico non è una scusa: cosa mai combinarono gli inglesi a Rorke’s Drift? Non Le viene qualche dubbio?
    Le ricordo che sul fronte italiano le Regie e Imperiali Forze Armate austro-ungheresi subirono complessivamente meno perdite delle Regie Forze armate Italiane e che la guerra finì con gli austriaci in ritirata/rotta ma ancora su suolo italiano e non austriaco. Lo stesso avvenne per i tedeschi in Francia, con la differenza che i tedeschi non erano stati sconfitti sul campo. In entrambi i casi collassò soprattuto il “fronte interno” a causa di tutta una serie di motivi, alcuni dei quali erano dirette conseguenze del blocco navale operato dall’Intesa.
    Senza nulla togliere ai poveri fanti italiani, assai maltrattati dai loro quasi sempre incapaci superiori e vittime di una anacronistica logistica dall’efficienza di un colabrodo (ricordo ancora i pochi discorsi di mio nonno, Cavaliere di Vittorio Veneto che non amava per nulla ricordare quei tragici eventi, sulle carenze di munizioni, sulle mancanze nell’abbigliamento, sulla mancanza di cibo, sul freddo e sulle malattie, sulla caccia ai topi e ai rari piccioni nelle trincee per avere un po’ di carne da metter in pentola visto che le bestie da macello per l’alimentazione dei soldati nel 1917-1918 nella Pianura Padana scarseggiavano), giovani uomini che fecero molto più del loro dovere e che sacrificarono inutilmente anni importanti delle loro giovani vite per colpa di rozze questioni di puntiglio e per la sterile avidità e gli errati calcoli geopolitici di una classe politico-militare composta per lo più da incapaci. “Asino tra asini e sotto un asino” scrisse oltre un secolo prima uno dei più importanti personaggi nella storia della letteratura italiana a proposito dell’Accademia Militare di Torino.
    Eccezioni naturalmente ve ne furono. La Marina di Thaon di Revel costituì un caso a parte e funzionò molto meglio del Regio Esercito: decisamente un netto miglioramento rispetto ai tempi di Lissa, nonostante le perdite della Benedetto Brin, della Leonardo da Vinci e del Giuseppe Garibaldi.
    In un Paese normale dopo Caporetto uno come Badoglio sarebbe stato destituito e congedato senza troppi complimenti: solo in Italia uno così, uno che scriverà con la Campagna di Francia del 1940 in via di conclusione, che si riserverà di valutare i risultati conseguiti dai tedeschi mediante l’impiego dei carri armati dopo la fine della guerra, può diventare Capo di Stato Maggiore Generale.
    In ogni caso, visto che all’epoca si ragionava in termini talassocratici, Le pare che le centinaia di migliaia di italiani morti siano stati il giusto prezzo per il cantuccio in cui l’Italia di allora derelitta, dissanguata e con le pezze al sedere venne relegata dal Trattato Navale di Washington? 5:5:3:1:1 , al pari con la Francia, altra grande vittima del Primo Conflitto Mondiale. 1/5 di quanto avevano gli inglesi, gli eredi / i superstiti dei famosi leoni guidati da agnelli cui si riferiva Max von Gallwitz.
    D’altra parte, possiamo sempre glorificare l’indispensabile contributo apportato alla guerra meccanizzata da parte del generale Gastone Gambara e ignorare completamente quanto fatto da Hans von Seekt e da Heinz Guderian.
    Visto che è stato nominato Hirohito e visto che tra l’Imperatore del Giappone e Vittorio Emanuele III c’è la differenza di nave Baionetta, diciamo pure che aveva maggior regalità Hatsuyuki di quanta ne abbiano avuta tutti i Re d’Italia messi assieme dal 1861 al 1946.
    Hatsuyuki, il celebre cavallo bianco dell’Imperatore, era uno dei simboli del potere imperiale e dell’unità del Giappone.

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