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La storia d’Italia come “terra di frontiera”

Marco Valle non è uno storico professionista e questo lo differenzia da alcuni “professori di storia”, sacerdoti del mainstream, officianti del «politicamente corretto» che hanno fatto del loro «mestiere» un esercizio stanco e ripetitivo, simile a tanti altri lavori soffocati dalla monotonia della routine impiegatizia. Marco Valle non è neppure un amateur, un semplice dilettante, un orecchiante dell’analisi del passato che usurpa, come sempre più spesso accade nei talk shows e sulle pagine dei giornali, il titolo di storico. Marco Valle è invece un amante esigente e vigoroso ma insieme devoto e rispettoso della storia indagata nella sua lunga, complessa, accidentata, mai rettilinea continuità temporale, nella quale ogni evento del passato si fa stimolo e opportunità per pensare la dinamica del presente.

di Eugenio Di Rienzo dal Lanostrastoria del 3 dicembre 2014 

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Marco Valle è soprattutto un «uomo di frontiera (triestino di origine istriana, italiano e croato per sangue e cultura), che, come altri suoi illustri conterranei, Biagio Marin, Claudio Magris e il meno noto Franco Vegliani, conosce, per esperienza biografica e memoria familiare, la ricchezza e la miseria, i rischi e i vantaggi, i lutti e le occasioni vitali delle «terre di confine». Luoghi dell’anima e dello spirito, e non mere espressioni geografiche, che, smarrendo ciclicamente la loro natura di ponte inter-etnico e inter-culturale, si trasformano in «terre di sangue», in teatro d’inestinguibili conflitti razziali e religiosi. In quelle regioni, infatti, come ha scritto un altro «man on the border», il bosniaco Ivo Andrić, «la progressione del tempo lineare non riesce a comprimere quell’oscuro fondo della coscienza, dove vivono e fermentano i sentimenti fondamentali e le indistruttibili persuasioni delle singole razze, fedi, caste; sentimenti e persuasioni che, apparentemente morti e seppelliti, preparano per successivi, lontani tempi, inaudite metamorfosi e catastrofi senza le quali, a quanto pare, non possono esistere i popoli».
Da questo complesso patrimonio esistenziale e culturale è un nato un volume di saggi, che si presenta intrigante e inquietante già dal titolo: “Conflitti e confini. Uomini, Imperi e sovranità nazionale” (Eclettica, 2014, pp. 312, € 18,00). Nel libro, che nonostante il suo apparente carattere frammentario è provvisto di una salda coerenza tematica, Valle indaga il drammatico destino del nostro «confine orientale» negli ultimi anni del secondo conflitto e nel primo decenio del secondo dopoguerra. Non solo gli orrori delle foibe, ma anche il martirio di Zara (così bene rappresentato in un dolente saggio di Paolo Simoncelli) e quello di Trieste, violentata dall’odioso e sanguinario protettorato militare britannico, prolungatosi fino all’ottobre 1954, come dalla breve (maggio-giugno 1945) ma efferata e cruenta occupazione dell’IX Korpus dell’Esercito di liberazione titino. E ancora Valle ci rammenta l’oscuro fato dei territori giuliani, dove nel febbraio 1945 i gappisti comunisti, trasformandosi in «volonterosi carnefici» al servizio della politica di potenza della nuova Iugoslavia comunista, trucidarono un reparto di partigiani cattolici e nazionalisti della Brigata Osoppo che, dopo essersi battuti contro le forze d’occupazione germaniche e le milizie della Repubblica Sociale Italiana, si opponevano alla slavizzazione forzata della regione.

Ma Valle non dimentica di mostrarci anche il rovescio di queste funeste vicende, quando ci parla della stolta e gratuita intolleranza del regime fascista verso le popolazioni slave dell’Istria e della Dalmazia, e quando ricorda l’esistenza delle «foibe degli altri» ricostruendo la mattanza delle “milizie bianche” slovene, cattoliche e anticomuniste (i Domobranci) e dei loro congiunti (donne, anziani, bambini) avvenuta nel maggio del 1945 per mano del terrorismo di Stato titoista che poi eresse un vero e proprio «monumento all’infamia» con la costruzione del gulag di Goli Otok. Il campo di sterminio, ubicato in un isolotto posto a breve distanza dalla costa croata, dove dal 1949 al 1955, trovarono la morte, per fame, malattie, maltrattamenti, migliaia di dissidenti al regime di Belgrado, tra i quali molti comunisti italiani di fede stalinista che sconsideratamente avevano oltrepassato il valico di Opicina alla ricerca del «paradiso socialista».

La ricerca di Valle non si limita in ogni modo alla guerreggiata area di confine del litorale adriatico. Per Valle è l’Italia intera, grande piattaforma al centro dell’antico Mare nostrum latino e poi pisano, genovese, veneziano, a essere «terra di frontiera». L’eccezionale posizione geopolitica del nostro Paese gli consentì, infatti, di essere il principale avamposto della Cristianità nella lotta contro l’Islam, il grande emporio degli scambi commerciali tra Europa, Africa settentrionale, Levante, il fecondo laboratorio d’ibridazione di popoli, religioni e culture. Questa stessa posizione lo condannò, tuttavia, ultimata la conquista francese della Corsica (1768), a divenire una volta per sempre la semplice pedina del «Grande Gioco mediterraneo» che, con la decadenza della Spagna dal rango di Big Power, ebbe come uniche protagoniste Parigi e Londra.

E’ soprattutto la più ingombrante presenza inglese nel Mediterraneo che desta l’interesse dell’autore di “Conflitti e confini”. La contesa anglo-francese per l’egemonia sul «grande lago salato», apertasi fin da quando con la pace di Utrecht del 1714 la Gran Bretagna si aggiudicò il controllo di Minorca e Gibilterra e acuitasi prima ancora della spedizione di Bonaparte in Egitto del 1798, fu di fondamentale importanza nell’imprimere una svolta sabauda e unitaria al nostro Risorgimento. Qui Valle sposa senza esitazioni la prospettiva, sviluppatasi in questi ultimi anni, che individua nel sistema delle relazioni internazionali, nella debolezza diplomatica e militare del Regno delle Due Sicilie e nell’azione di Londra i fattori decisivi del crollo del regime borbonico.

Si tratta di una prospettiva coraggiosa, innovativa e indispensabile se si vuole davvero delineare una nuova storia politica del Mediterraneo e della “Guerra Fredda”, ingaggiata, tra metà e fine del XIX secolo, dalle due principali Potenze marittime europee per affermare la loro supremazia sul «Grande Spazio» marittimo che, grazie al Canale di Suez (edificato tra 1859 e 1869), uscì dalla subordinazione nella quale lo aveva rinchiuso, fin dal Cinquecento, lo sviluppo delle rotte oceaniche. Grazie al taglio dell’istmo, che separava Porto Said da Suez, il Mediterraneo riacquistò allora una piena centralità economica, politica e strategica come «passaggio a sud-est» tra Atlantico e Oceano Indiano e quindi come «vena iugulare» dell’Impero britannico, offrendo la possibilità di consentire la navigazione dall’Europa all’Asia senza circumnavigare l’Africa lungo la rotta del Capo di Buona Speranza.

Dal 1859 il Regno Unito, già padrone di Gibilterra e di Malta, non poté quindi tollerare la presenza di una Potenza ostile o semplicemente estranea alla sua sfera egemonica (come il Regno di Napoli o un’Italia infeudata alla politica di Parigi) che, posta al centro del Mediterraneo, fosse stata in grado di minacciare dalle coste siciliane la principale linea di comunicazione commerciale e militare tra la madrepatria l’India britannica. Dopo aver smaccatamente appoggiato la spedizione di Garibaldi, prima consentendo lo sbarco degli insurgents in camicia rossa a Marsala poi permettendo il loro passaggio in Calabria, nonostante la decisa opposizione di Napoleone III, Londra riconobbe immediatamente, sempre in un’ottica antifrancese, il Regno d’Italia, nel tentativo di porre una forte ipoteca sulla politica estera della nuova organizzazione statale. Come osservò Federico Chabod in un breve, lucido saggio del 1940 si trattò di un grave errore di valutazione. Le bronzee leggi della Geopolitica costringevano, infatti, il giovane Stato a esercitare una politica navale e internazionale attiva e autonoma. Per riprendere una frase di Fernand Braudel, ricordata da Valle, «l’Italia ha sempre trovato nel Mediterraneo il segno del proprio destino poiché essa ne costituisce l’asse mediano e le è dunque naturale il sogno e la possibilità di dominare quel mare in tutta la sua estensione».

Giustamente Valle sostiene che fu proprio il maggior artefice dell’unità italiana a essere pervaso da questa «passione mediterranea» che la vulgata storiografica ha erroneamente attribuito al solo Francesco Crispi e poi Mussolini. Nella nota preliminare al bilancio del ministero della Marina, per l’anno 1861, Cavour, primo Presidente del Consiglio italiano, che cumulava anche l’interim di quel dicastero, affermò, infatti, che «colui che è preposto all’amministrazione delle cose di mare di uno Stato collocato in mezzo al Mediterraneo, ricco di invidiabile estensione di coste e di una numerosa popolazione marinara, deve sentire il dovere di dare il più ampio sviluppo alle risorse navali della Nazione, valendosi degli elementi di forza che ha trovato nella nuove province». Era un progetto che, collegato a quello di un’organizzazione federalistica del nuovo Regno in senso fiscale e amministrativo anch’essa ideata da Cavour, avrebbe forse impedito e almeno contenuto in limiti sopportabili la nascita del divario economico Nord-Sud-Est. Un divario che lo sviluppo del processo unitario dopo il 1861, principalmente seppur non esclusivamente incentrato sulla promozione delle potenzialità del futuro «triangolo industriale», provocò col risultato di mettere a repentaglio, ieri come oggi, la stessa coesione nazionale.

Se veramente voleva esistere come Stato pienamente sovrano e poi resistere alle sfide lanciate da una situazione internazionale in rapida via di trasformazione, la Nuova Italia, ormai affacciata su tre teatri marittimi, come lo era stata la media Potenza napoletana, doveva, secondo Cavour, cessare di privilegiare a senso unico la «tensione lotaringica» del Piemonte principalmente rivolta verso Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi. Il nostro Paese non poteva, infatti, non puntare anche su una coraggiosa e intraprendente politica mediterranea in grado di consolidarne la precaria indipendenza e di offrire nuove occasioni di sviluppo alle regioni meridionali e orientali storicamente orientate verso la Penisola balcanica, l’Africa settentrionale e l’immenso litorale islamico esteso dall’Anatolia alla Tunisia.

Per portare a compimento questo programma, Cavour reputava indispensabile creare un grande marina mercantile che avrebbe consentito al Regno di Vittorio Emanuele II di non dipendere dalle flotte di altri Paesi per i suoi scambi economici. Occorreva poi sostenere con sovvenzioni statali le Società di navigazione nazionali disposte ad assicurare collegamenti regolari tra l’Italia e le Americhe e infine favorire il rapido passaggio dalla propulsione velica a quella a motore. Non minore attenzione doveva essere riservata anche alla marina militare. In caso di guerra o di crisi internazionali, le rotte marittime, solcate dal nostro naviglio, richiedevano di essere difese da un dispositivo bellico adeguato perché, come la Gran Bretagna aveva insegnato, commercio e guerra navale erano due facce della stessa medaglia.

La prematura scomparsa di Cavour impedì disgraziatamente che questo ambizioso piano fosse gestito dal suo creatore, il quale sicuramente avrebbe inserito l’Italia, a migliori condizioni, nel nuovo grande e promettente ciclo storico che l’apertura dell’arteria di Suez consegnava alle Talassocrazie europee. Valle non manca comunque di evidenziare che il più stretto nucleo dei collaboratori dello statista piemontese, che gli subentrarono alla guida del Paese, fu sostanzialmente in grado di seguire l’itinerario tracciato dal loro predecessore. Sfidando il malcontento e l’irritazione di Parigi, Vienna e Londra, questi uomini, superata la grave crisi di Lissa, provvidero alla costruzione di una potente Armata di mare, di un’eccellente flotta commerciale e di un’industria siderurgica e cantieristica di alto livello (non tributaria di quella inglese), rendendo possibile una futura espansione della Penisola nell’oltremare. Grazie agli sforzi e alle competenze di tre ottimi ministri della Marina (Augusto Riboty, Benedetto Brin, Simone de Saint Bon), nell’ultimo trentennio del XIX secolo i vascelli della «Terza Roma», per usare l’espressione coniata da Mazzini, assicurarono una stabile presenza italiana nel Levante, nel Mar Mero, nel Mar Rosso, sulle sponde africane e si spinsero fino al Rio de la Plata per assicurare la protezione dei nostri emigranti.

Al netto di queste importanti realizzazioni, i successori di Cavour, condizionati dalle debolezze strutturali di un Paese ancora disunito di fatto, arretrato nel Settentrione come nel Meridione e parossisticamente impegnato in una sfibrante opera di Nation-building e di modernizzazione, non furono in grado di mettere a fuoco con la stessa lucidità il grande disegno mediterraneo del loro precursore. Come Valle ci ricorda, Ricasoli, Rattazzi, Menabrea, Lanza, Minghetti, Depretis, di Rudinì, Crispi, Giolitti si affacciarono sulla scena internazionale privi di una proposta politica globale che forse necessariamente, vista la difficile situazione dell’Italia, ma certo troppo spesso li fece oscillare tra spericolato avventurismo e rivendicazione di un’orgogliosa volontà di potenza (entrambi incompatibili con le ridotte risorse disponibili), opportunismo, eccessiva prudenza, acquiescenza verso l’agenda dettata da più vigorosi partners europei, esclusivo interesse per i problemi della politica interna. Alla ricerca di un equilibrio marittimo e continentale, che avrebbe dovuto tutelare la media Potenza italiana dalla minaccia di avversari storici e di nuovi potenziali nemici, sicuramente a noi superiori per forza e determinazione, la strategia dei nostri governanti si sviluppò di necessità, fino al 1914, nel tentativo di tessere una sottile e a volte ambigua opera di mediazione tra Germania e Francia e in seguito tra Triplice Alleanza e Regno Unito.

Con sperimentato realismo, annota Valle, il Foreign Office tentò di gestire a suo vantaggio il moderato protagonismo delle cancellerie di Firenze e Roma – non pregiudizialmente avverse ma neppure supinamente subalterne alla dominante Albione – e di anestetizzare le nostre pulsioni espansionistiche e coloniali. Se dal 1861 fino ai primi del Novecento. Londra continuò a valutare il Regno d’Italia come un necessario contrappeso alla presenza francese nel Mediterraneo, pure essa ci rifiutò nel 1863 l’acquisto delle Isole Ionie e dall’anno successivo scoraggiò sistematicamente le nostre ambizioni sulla Tunisia che nel 1881 fu infine sottoposta al protettorato di Parigi. Anche la modesta presenza italiana nel Mar Rosso e in Africa Orientale fu guardata con malcelato sospetto dall’Inghilterra che ci concesse graziosamente il benestare a una limitata espansione in quell’area solo dopo il successo della sanguinosa rivolta islamista contro la dominazione anglo-egiziana del Sudan che iniziata nel 1881 terminò, come guerra guerregiata, nell’aprile 1896 con la vittoriosa difesa di Cassala da parte delle nostre truppe.

Infine, se il consenso di Withehall si rivelò determinate, sul piano diplomatico, per consentire a Giolitti la conquista della Libia nel 1911, la coeva occupazione italiana del Dodecaneso fu giudicata invece dall’Inghilterra come un’indebita intrusione nell’Egeo e come una virtuale minaccia alle basi cipriote della Mediterranean Fleet e alla sicurezza di Suez. Questi malumori e questi sospetti riaffiorarono con forza, già nel periodo immediatamente precedente la fine del primo conflitto mondiale, nel primissimo dopoguerra e fino al 1920. Allora Francia e Regno Unito, i nostri maggiori alleati nella sanguinosa contesa contro gli Imperi centrali, sostennero e fomentarono le rivendicazioni anti-italiane di Atene e Belgrado, tentarono di escludere Roma dalla spartizione dell’Impero ottomano e manovrarono con grande attivismo e spregiudicatezza per impedire o limitare drasticamente un possibile incremento della nostra presenza militare e della nostra influenza politica nello Ionio, nei Balcani e nel Levante.

Partendo da queste premesse, osserva ancora Valle, è agevole comprendere la durissima reazione di Londra contro l’invasione dell’Etiopia del 1935 che rischiava d’infrangere il secolare equilibrio mediterraneo favorevole al Regno Unito. Con la decisione di Mussolini di chiudere l’annosa partita del Corno d’Africa, l’Italia fascista portava a compimento le ambizioni coloniali del Risorgimento liberale e democratico (si pensi a Mazzini) ma indirettamente minacciava la stessa tenuta dell’Impero britannico, già resa precaria dai movimenti nazionalisti indiani e arabi, dall’espansionismo russo in Afghanistan, da quello giapponese in Oriente e dall’insidiosa penetrazione economica statunitense nella Penisola arabica, in Iran, in Iraq. L’incapacità di Roma di non prevedere il livello della risposta britannica a quella sfida e quella di Londra di non aver saputo valutare nella loro esatta e in fondo limitata dimensione gli obiettivi dell’imperialismo littorio furono entrambe uno sbaglio fatale. La crisi anglo-italiana del 1935-1936, che rischiò di provocare un vero conflitto nella fluida frontiera del Mediterraneo, distrusse i promettenti presupposti della «Grande alleanza» antinazista, in grado di raggruppare i vincitori del 1918 e in prospettiva la stessa Unione Sovietica, e costituì una delle cause non occasionali della dinamica che, di lì a pochi anni, contribuirono a spalancare le porte del Tempio di Giano di quasi tutte le capitali europee.

29 Commenti

  1. Signor Croce i fatti da Lei citati sull’Ammiraglio Maugeri sono cose note da tempo: anche sul web si discute sull’argomento già da anni. Tenga presente che l’ultima volta che ho letto i libri di Trizzino, i tanto celebrati “Navi e Poltrone” e “Settembre Nero”, erano gli anni ’80, e il Professor Alberto Santoni aveva da poco rivelato agli italiani l’esistenza di ULTRA: per intenderci, all’epoca il Dottor Enrico Cernuschi non aveva ancora iniziato i suoi studi sulle decrittazioni inglesi e italiane della Guerra in Mediterraneo.
    Le ricordo anche che l’ottimo “Uomini sul fondo” del Dottor Giorgio Giorgerini, ove vengono chiarite molte vicende relative ai sommergibili della Regia Marina e vengono smontate alcune tesi che stanno alla base di “Settembre Nero” del Trizzino, è uscito nel 1994.
    Riassumendo, non vi è alcun dubbio che l’Ammiraglio Maugeri fosse un anti-fascista o più esattamente un anti-mussoliniano e che dopo l’8 settembre 1943 abbia collaborato attivamente e indefessamente con gli alleati, così come è indiscutibile che egli abbia avuto un ruolo importante nella costituzione della Marina Militare Italiana e nell’inserimento della stessa tra le Marine della NATO. E’ altrettanto vero che il Maugeri, come tanti altri ufficiali della Regia Marina, nutrisse “da sempre” sentimenti filo-britannici / filo-atlantici: Le ricordo anche che alcuni ufficiali di Marina avevano mogli americane/inglesi/francesi e/o parenti che erano emigrati negli USA, in Gran Bretagna e in Francia. D’altra parte tale sentimento era comune a quello di alcuni membri di Casa Savoia (nobile dinastia francofona, ricordiamocelo), di Italo Balbo (Le ricordo che quando Balbo arrivò a Chicago venne accolto nientemeno che da Patrick Bellinger, Naval Aviator N. 4, nonchè comandante degli “atlantici” dell’US Naval Aviation nel 1919) e di Galeazzo Ciano. Non è però mai stato dimostrato che il Maugeri prima del 25 luglio o dell’8 settembre 1943 fosse una spia al soldo degli alleati.
    Le vicende che riguardano l’ammiraglio Girosi sono invece molto più oscure. Benchè non si possa affermare con assoluta certezza che fosse una spia alleata, è lecito supporre che egli stesso e/o i suoi uomini fossero in stretto contatto con ambienti atlantici e filo-atlantici. Ma Le ripeto, anche in questo caso non sono ancora emersi documenti ufficiali che possano “incriminare” l’operato del Girosi in quanto “spia al servizio del nemico” prima del 25 luglio 1943.
    Tenga però presente che buona parte delle tesi avanzate da Antonino Trizzino sono state smontate completamente da quanto emerso a partire dagli anni ’70.
    In generale possiamo dire che chi era al governo in quegli anni non aveva il polso della situazione, aveva sottovalutato i sentimenti del popolo italiano, indotto da oltre cinquant’anni di propaganda nazionalistica a covare odio anti-austriaco e, di riflesso, anche anti-tedesco, aveva dimenticato che la lobby degli industriali e le caste militari italiane si erano formate/evolute all’ombra della Francia e della Gran Bretagna (pensi alle navi della Regia Marina dal 1890 al 1915, o ai cannoni e agli aerei del Regio Esercito nella I GM – che aerei pilotava Francesco Baracca? -, agli interessi di Vickers, Armstrong o Standard Oil in Italia).
    La Regia Marina degli anni ’20 era sì “in competizione” con la Royale francese ma si ispirava fortemente alla Royal Navy e contava sulla presenza della Mediterranean Fleet per controbilanciare le ambizioni francesi. Come ben saprà, lo stesso Churchill negli anni ’20 era un sostenitore del Fascismo Italiano e di Mussolini. Ciò che portò ad una crisi insanabile tra Regno Unito e Regno d’Italia fu l’invasione dell’Etiopia.
    La domanda è: come mai nelle Regie Forze Armate fecero carriera tanti personaggi che alla prova dei fatti si dimostrarono assolutamente incapaci mentre certi ufficiali assai in gamba, che c’erano eccome, vennero quasi sempre ostacolati, umiliati e puniti?
    Certo che tra l’operato di Bruno Brivonesi e quello di Tanaka Raizo c’è qualche differenza, o no?
    Non sarà stato abile quanto Yamashita o Homma, ma che fine ha fatto Giovanni Messe? Perchè si inviò in Russia Italo Gariboldi a rompergli le scatole?
    Sia ben chiaro, non si può far di tutta l’erba un fascio: personaggi come Carlo Fecia di Cossato meritano il massimo rispetto, così come Teseo Tesei ed è altrettanto vero che troppo spesso i vari storici da tavolino e i diversi intellettuali cibernetici dimenticano il grande sacrificio di “quei fessi dei CT”, come ad esempio il coraggioso ma sfortunato Capitano Aldo Cocchia e lo sventurato equipaggio del “suo” Da Recco.
    Dunque signor Croce, se da un lato è doveroso manifestare dubbi su diversi personaggi che si occuparono di “intelligence” fino al fatidico 8 settembre, bisogna anche ricordare che “il pesce puzza dalla testa” e che certe gravissime lacune strutturali delle Regie Forze Armate, lacune di cui anche chi all’epoca esercitava il potere in Italia era responsabile, non avrebbero mai e poi mai consentito di confrontarsi vittoriosamente con potenze quali la Russia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Al massimo con quelle “zucche dal carattere bellicoso” si poteva silurare a tradimento un vecchio incrociatore greco!

  2. Gentile sig.Admiral Canoga,
    grazie per la Sua risposta. Con rispetto parlando Le devo dire che il Suo articolo assomiglia un po’ a quel bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Mi spiego meglio:se non si capisce ( e purtroppo molti chi in buona fede e chi in mala fede continuano a ciurlare nel manico)che l’Italia è un paese sempre in vendita,non ne veniamo mai a capo del perchè e del per come certe cose sono andate come sono andate e perchè oggi siamo quel che siamo.Questo deve essere un punto fermo.Altrimenti ci inganniamo l’un l’altro.Purtroppo, il problema,il dilemma è cornuto.In poche parole,ancor prima che Sua Eccellenza Primo Ministro Benito Mussolini,capo del Regio Governo Italiano,quel stramaledetto 10 giugno 1940 si affaccio’ la noto balcone di Palazzo Venezia sull’anonima piazza e pronunciasse la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna i giochi erono già fatti.Tutto era già stato ben preparato fin nei minimi dettagli. Tutto era già stato venduto.E non da pochi mesi,ma da anni.Almeno dopo i fatti di Corfu’ dell’agosto 1923.Il primo campanello d’allarme avvenne quando Mussolini autorizzo’ il siluramento del Generale Di Giorgio ( che era uno dei pochi seri innovatori delle Regie Forze Armate e aveva un piano di ristrutturazione molto efficiente e quindi fu fatto fuori…Purtroppo in Italia ancora si usa far cosi…). L’altro campanello d’allarme ( assolutamente fatale) fu quando nel 1925 avallo’ al nomina a capo di Stato Maggiore delle Regie Forze Armate Pietro Badoglio ( l’essere piu’ infame e vile che mai sia nato in Italia).Proprio su questo punto anche tra i deputati del Regio Parlamento,ci fu un’avvocato di Livorno che scrisse una lettera a Mussolini e lo avviso’ di stare molto attento ad avallare Badoglio. Nonostante queste avvisaglie,Badoglio fu nominato capo di Stato Maggiore del R.E.I.E questa fu la disgrazia primaria. Il resto non fu che la conseguenza non solo di questa nomina,ma anche ( e soprattutto)di chi stava veramente dietro a questa nomina.Lei,cita anche lo storico,si fa per dire..della Marina Alberto Santoni e la sua ( di Santoni) fissa della macchina decrittatrice britannica Ultra. Purtroppo questa favoletta,propagata in Italia quando Trizzino era già ( se non quasi) passato a “miglior vita” è stata scientificamente e letteralmente smontata in un tribunale USA nel 1985.Infatti,quell’anno fu scoperto (siamo nel 1985,quarant’anni anni dopo la fine della II Guerra Mondiale,non lo si dimentichi…)fu fatto un processo contro un sergente della US Navy,adetto cifra,che fu corrotto dai servizi sovietici e vendette loro i codici segreti di comunicazione della US navy.Non solo. Una parte dei matematici decrittatori inglesi che lavoravano a Bletchley Park erono monitorati dall’NKVD e alcuni di loro,subito dopo la fine del conflitto se ne scapparono nell’URSS. In sostanza,come mi spiego’ bene uno che se ne intendeva eccome di queste cose,il dott.Franco Bandini,in un’incotro che ebbi con lui il 2 gennaio 2004,la macchina ULTRA è stata unicamente una lepre meccanica per i gonzi che ancora dormono sulla neve e sognano che i porci volano. Su questo caso,ho avuto,circa 20 anni fa,un durissimo scontro,nel tribunale di Roma con Alberto Santoni e gli ho fatto fare una bruttissima figura ( per informazioni puo’ chiedere al mio avvocato di allora,dott. Daniele Fabrizi che sta a Roma).L’unico serio libro in merito che fece Santoni fu “Da Lissa alle falkland”. Poi,quando ebbe la cattedra di storia all’Accademia Navale di Livorno cambio’ registro….e comincio’ a mistificare ( per non dir di peggio).Ma andiamo avanti. Nel settembre 1988,lo storico Piero Baroni,fece un’interessantissima intervista al fu Ammiraglio Luigi Donini ( già Capo di Stato Maggiore della Marina negli anni 70). L’Ammiraglio Luigi Donnini durante la II Guerra Mondiale era Tenente di Vascello adetto cifra ed esperto decrittatore.In quell’intervista,smonto’tecnicamente,in maniera chiarissima tutte le favole santoniane ultriste.L’intervista in questione il dott.Piero Baroni ( già giornalista Rai-Radio 2,corrispondente estero,attualmente in pensione,vive a Roma)l’ha riportata in due suoi ben documentati libri: 1) I condottieri della disfatta; 2) La vittoria tradita ( libri pubblicati verso la fine degli anni 90 e inizio anni 2000).E se le interessa ( e non vale solo per lei) il dott.Baroni ha pubblicato anche ( tra il 1996 e il 2012 se non erro) anche i seguenti lavori sull’argomento in questione: 1) Una Patria venduta; 2) La guerra del Radar 3) l’8 settembre 1943,il tradimento, 4) Come e perché si perde una guerra; 5) 1935-1943,la fabbrica della sconfitta.Specialmente di questi due ultimi libri che le ho citato,nel caso non l’avesse già fatto Le consiglio caldamente la lettura. Qui di seguito le mando un link di un’intervista fatta al dott. Baroni lo scorso mese di dicembre 2016. https://www.youtube.com/watch?v=CaNhmrxNRCU&t=597s Per quanto riguarda Trizzino ( che non era l’ultimo arrivato…) non è stata smontata nessuna tesi. Neanche a pagamento.Se le dovesse capitare di leggere la sentenza fatta al processo Trizzino dal Tribunale di Milano se ne renderà conto.Non solo. Un’agente inglese,tale Bennet Lawrence ,in un suo libro di memorie,tradotto anche in italiano ( seppur edulcorato,perchè la verità fa male,come cantava una certa Caterina Caselli)afferma testualmente che fu il materiale umano,le informazioni che questi fornivano a dare agli alleati enormi vantaggi tattico strategici e non la macchina Ultra, Che poi la vera macchina da scoprire non era l’Ultra,ma l’ENIGMA,su cui c’è tutta una storia veramente interessante da sapere.E qui si dovrebbe tirare in ballo anche l’ammiraglio Canaris,il maugeri tedesco ( lo fa chiaramente capire nelle sue memorie il generale Cesare Amè, generale dei servizi durante la II Guerra Mondiale).Purtroppo,come lei conclude,il pesce puzza dalla testa ed è vero.Infatti,la cosa che vorrei veramente capire,che quando ci penso non ne riesco a venire a capo è questo:come mai Mussolini durante l’impresa Etiopica del 1935-36 era attentissimo,concentrato e determinato a far si che tutte si concludesse bene ( come avvenne)e poi,dove ci giocammo tutto,ma proprio tutto dal 10 giugno 1940,fu quasi assente,apatico,floscio,il fantasma di sè stesso o quasi. Un comportamento veramente su cui nessuno,assolutamente nessuno ha indagato bene.Questi dubbi mi hanno assalito esattamente dall’8 settembre 1993 ( 50° anniversario della schifezza) quando RAI 2,fece una trasmissione al riguardo.Nello studio di Roma vi erono : lo storico Renzo De Felice,Giulio Andreotti,Lucio e da Villari e da Milano Indro Montanelli. Conduceva quella trasmissione il figlio di Massimo Caprara(che fu segretario di Togliatti), Maurizio Caprara. Quando si passo’ ad intervistare Montanelli,Montanelli racconto’ che quando fu mandato dal Corriere della Sera sul fronte greco-albanese,si incontro’ coi gerarchi fascisti ( Bottai,De Vecchi Val Cismon,Grandi etc.)i quali anzichè dare l’esempio ( come Mussolini desiderava)e galvanizzare le nostre truppe su quel fronte giocavano a fare i disfattisti e desideravano la fine del Regime Fascista. E Mussolini ne venne informato e NON fece nulla…E se penso a Bottai che era li anche lui a fare il disfattista e poi,dopo il 25 luglio 1943,scappa dall’Italia e si va ad arruolare nella Legione francese,in cui si dimostra un bravissimo sotto ufficiale e viene pure decorato per un’azione eroica contro i tedeschi in Francia ( quando sul fronte greco-albanese faceva lo gnorri nella primavera del 1941 e l partita era tutta da giocare) mi fa girare i cosidetti ancor di piu’.Non so se mi son spiegato.Infine vengo a Maugeri.Maugeri fu a capo del SIM dal 1940 fino all’8 settembre 1943 ed era un’agente degli Alleati.Su questo non ci piove.Negarlo non è corretto. Mugeri oltre ad aver scritto un libro in inglese,in cui ha chiaramente fatto capire che tradiva da sempre,è stato pure premiato,con una cerimonia segreta,al largo di Genova nel mese di maggio del 1946,con la medaglia del Congresso ( massima onoreficenza usa) per gli alti servigi resi alle Marine Alleate ( anglo americane). Nel 1954 ci fu un clamoroso processo che fu fatto dalla Redazione del periodico “Asso di bastoni”,cappeggiato dal giornalista ( e già inviato di guerra) Pietro Caporilli. In quel processo,che fu fatto tra mille difficoltà,alla fine venne ammesso ( dato i fatti denunciati e non chiacchiere) che Maugeri se la intendeva col nemico. Maugeri era allora Ammiraglio Comandante della nuova Marina ( non piu’ Regia..) per il basso Tirreno. Dopo quel processo,visto i fatti che saltarono fuori,Maugeri fu costretto a dimettersi,ricattando certi suoi colleghi…e grazie a questo mantenne il grado e fu mandato a svolgere altri compiti in Marina.Mi sono spiegato? Spero di si.Infine paragonare l’ammiraglio della Marina Imperiale Giapponese Tanaka Raizo ,con i nostrani Girosi e Brinovesi si rischia la querela da parte di Tanaka. Paragone ,seppur comparativo ( conoscendo i veri giapponesi,quelli non americanizzati)impossibile a farsi.
    Cordiali saluti.

    Ubaldo Croce

  3. Su Bari comunque si è andati avanti rispetto all’ottimo libro di Glenn Infield che però fu scritto nel 1971, cioè prima che venissero declassificati i documenti fondamentali sulla vicenda.
    Segnalo nel 2002 “Poisonous Inferno” di George Southern, un ex cannoniere dello HMS Zetland che si trovava a Bari e che ricostruisce le vicende attraverso nuove testimonianze e documenti inediti ritrovati ai National Archives di Londra.
    E poi nel 2014 il mio “Top secret Bari – 2 dicembre 1943” (Castelvecchi Editore), approfondimento storiografico delle ricerche da me svolte per il documentario andato in onda su La Grande Storia.
    In particolare si riporta il Bari Report, i risultati della commissione d’inchiesta voluta da Eisenhower, che dimostra come le massime autorità del porto fossero perfettamente a conoscenza della presenza dell’iprite nella stiva della Harvey tanto che si pensò di affondare la nave, prima che esplodesse per conto proprio alle 21.25. E come si decise l’apposizione del segreto, presa non dalle autorità portuali, ma dall’HQ2 di Bari in una riunione tenuta il 3 dicembre alle ore 14.25. E di come le autorità italiane siano venute a conoscenze del carico di iprite sulla nave con info giunte al Maresciallo Messe e la tragedia dei marinai del Barletta che morirono a causa dei gas poichè la nave era in rada di traverso alla Harvey.

  4. Essendo stato chiamato in causa dal signor Ubaldo Croce, non posso, a parte qualche errore ortografico, che sottoscrivere in toto il Suo intervento legato alla indecente figura della Marina (Regia) o che dir si voglia, italiana prima e dopo l’8 settembre 1943, su cui brilla, in solitaria controtendenza ed assoluta grandezza, la luminosa e prometeica figura dell’Ammiraglio Carlo Bergamini che il signor Admiral Canoga, che farebbe bene a firmarsi con nome e cognome, non conosce o, sarebbe più grave, evita di citarlo dati i nodi che dovrebbero venire al pettine. “Quando c’è il pettine”, direbbe Leonardo Sciascia. La si finisca di citare il signor Alberto Santoni come autorità indiscussa sulla storia navale della II guerra mondiale. Questo signore, citato di continuo da Admiral Canoga, in fatto di storia navale tedesca ed internazionale, il meno che si può dire è che non ha capito niente. Santoni ha una visione provinciale degli sviluppi politici mondiali, al pari di tutti (o quasi, escluderei Carlo Jean e pochi altri) i docenti delle accademie militari italiane asserviti/e ai comandi NATO dal 1949, ai quali – docenti totalmente ignoranti (“ignorante” è colui che ignora) di storia politica e diplomazia d’intelligence del periodo 1939-1945 e non propaganda antifascista politicamente corretta – è totalmente delegato il compito di formare “culturalmente” le nuove leve militari della attuale repubblica italiana, ha (hanno) una visione gretta e provinciale del ruolo dell’Italia negli scacchieri politico-militari ormai da 70 anni. Il discorso ci porterebbe lontano, perché la censura, il controllo censorio globale (su una nazione sconfitta) esercitato dalle autorità anglo-statunitensi sulla formazione della intelligenza italiana si fa sentire in ambito soprattutto militare, prima che mediatico, giornalistico, scolastico ed universitario ancora adesso dopo 72 anni. Ed il deficit impressionante manifestato da Admiral Canoga ne è marchiana attestazione. Il quale cita, mettendo assieme cose assolutamente fuori contesto e fuori argomento (col solito vizio di sproloquiare dilatando ad episodi non pertinenti trattazioni su cui viene chiamato in causa), Italo Balbo e Casa Savoia. Sappia, egregio Admiral Canoga alias non so chi, che i filmati della crociera del decennale americana (1933) e di quella in Brasile nel 1931 sono tuttora attentamente censurati dalla attuale aeronautica italiana (dato il trionfale seguito al fascismo visibile in essi (invito a Balbo di Rockefeller e FDRoosevelt inclusi) che non vuole che siano visti dal pubblico italiano (chissà per quali oscuri motivi di becero antifascismo), e di essi non bisogna fare divulgazione (esistono i filmati con sottotitoli in inglese-americano, ciò significa che in quei Paesi possono liberamente vedersi, in Italia No!). Su ordine di chi? E perché? La voce che li commenta è quella del compianto Claudio Capone. Io li ho visionati. La RAI non li ha mai trasmessi integralmente coi sottotitoli in lingua inglese. Perché?
    Balbo non fu esente da fesserie, avallate da Mussolini, vedi siluramento di De Pinedo. Si oppose alla concessione di bombardieri alla Regia Marina e alla realizzazione di navi portaerei che riteneva avrebbero sottratto fondi e materiale alla Regia Aeronautica riducendo anche l’indipendenza della neonata arma aerea. La mancata realizzazione di portaerei influirà negativamente sulle operazioni della Regia Marina nel secondo conflitto mondiale (vedasi battaglia di Capo Matapan), ma sarebbe un errore attribuirne la responsabilità alla sola opposizione di Balbo, vista la posizione conservatrice dei vertici della Regia Marina prima del 10 giugno 1940.
    Mi chiedo se la sudditanza vergognosa dell’Italia agli occupanti-invasori anglo-americani ed alla NATO, tuttora in vigore dal 1943, tuttora all’opera, strage di USTICA inclusa (col relativo codazzo di familiari interessati non a fare la luce, ma a fare sfruttamento politico come per la strage straniera di Bologna, vergognosamente e menzogneramente definita ancora “fascista”), non debba una volta per tutte finire. E che ben vengano personaggi come Vladimir Putin a seminare dubbi anti-atlantici in terra nostra. Se ciò avverrà, anche la casta militare italiota antifascista ed i docenti delle accademie militari, nelle mani di signorine-dottoresse radicalchic o “comuniste” che la fanno da padrone negli archivi storici degli Stati Maggiori del Ministero della Difesa (col cui placet organizzano convegni partigiano-antifascisti coi soldi del contribuente italiano), dovranno adeguarsi. Chiedete notizie al riguardo all’avvocato Massimo Filippini, uomo di verità, che da 40 anni lotta perché venga messa a nudo la infamia antiscientifica della falsa ricostruzione pseudo storica della tragedia di Cefalonia, in cui lo stesso Filippini, per nulla filo-tedesco, perse il padre, per mano germanica. Ma per colpa di un manipolo di militari italiani, vigliacchi ed antifascisti.
    Quanto al Trizzino, se non sia simpatico al signor Admiral Canoga è un problema suo. Ma nessuno La autorizza a deformarne caricaturalmente il ruolo, negli anni bui della sconfitta italiana e della prostituzione intellettuale filo-Usa e filo-britannica delle pecore dell’antifascismo conformista.

  5. Signor De Felice Lei ma con tutto il dovuto rispetto Lei ha una pallida idea di chi fosse Patrick Bellinger e di quale oggetto Italo Balbo gli abbia portato dall’Italia o lo ignora, così come ignora, nel senso che non conosce tanti mezzi militari che spesso nei Suoi interventi cita a sproposito?
    Le rendo noto che a pagina 180 del volume di Paolo E. Coletta “Patrick N.L.Bellinger and U.S.Naval Aviation” è riprodotta una foto di Italo Balbo e Patrick Bellinger la cui didascalia recita “Bellinger served as escort officer for Italo Balbo, in whites, during the latter’s visit to Washington in 1934” (io ho il sospetto che la foto sia del 1933, ma questa è solo la mia banale e forse errata convinzione). A pagina 179 il Coletta riporta le disposizioni che un tal personaggio di nome Ernest King diede a Bellinger riguardo al ricevimento di Balbo del 1933. Ora, si ricorda per caso che relazioni ci fossero tra tale FDR, Bellinger, gli “altri atlantici americani” e King? Per quale motivo Balbo andò ad omaggiare Bellinger e non Read, Mitscher o Towers?
    Se Le cito Aldo Cocchia secondo Lei non so chi fosse Carlo Bergamini? Se Le sta antipatico il Santoni, francamente sono fatti Suoi. Pur non condividendo sempre quanto scrisse, mi pare decisamente provinciale dire che non abbia capito nulla della II GM. Forse La urta quello che, senza troppa reverenza per la Patria, scrisse col Mattesini sulla partecipazione tedesca alla guerra aeronavale in Mediterraneo? Dovrebbe sapere che tra i due il più cattivello al riguardo è il Mattesini! E dovrebbe anche sapere che furono proprio questi due signori, e in particolare il Mattesini, a scrivere nero su bianco che la principale colpevole del mancato sviluppo della nave portaerei in Italia fu la Regia Marina.
    Francamente se devo parlare o scrivere seriamente e con cognizione di causa di Regia Marina vado a tirar fuori libri e articoli di Fraccaroli, Bargoni, Gay, Rastelli, Andò, Arra, Accorsi, Santoni, Galuppini, Mattesini, De Toro, Bagnasco, Brescia, Cosentino, Ramoino, Brescia, Bagnasco …. o a cercare nella mia collezione le foto degli archivi Barilli, Occhini, Pucci, Fraccaroli o Marius Bar… piuttosto che contemplare i volumi di Rocca, Bandini, Trizzino.. e questo nonostante sia un grande estimatore di Fabio Cusin!
    Non lo sapremo mai, ma probabilmente il Professor Santoni se potesse leggere quanto Lei signor De Felice continua periodicamente a scrivere sull’ambasciatore Hidaka Shinrokuro si metterebbe a ridere come un matto, ricordandoci che “Shikishima no Yamato-gokoro wo hito towaba, asahi ni niou yamazakura bana” e invitandoLa ad andarsi a studiare il viaggio verso l’Europa dell’Asaka Maru e quello che combinarono in Germania e in Italia le delegazioni dell’Esercito Imperiale e della Marina Imperiale (già, a che cosa si mostrarono interessati gli ufficili giapponesi circa le vicende di Taranto?). Ovvero, gli ultimi al mondo ad essere interessati alla cessazione delle ostilità tra Germania e Unione Sovietica nel 1943 erano proprio i giapponesi, i quali già dalla primavera 1941, al di là dei convenevoli, avevano (giustamente) una pessima opinione circa le reali capacità belliche delle Regie Forze Armate Italiane.
    Del Suo papello contro l’americanismo francamente non so che farmene, visto che da tempo, su un altro sito web mi firmo così “Mr President, I feel that I must tell you that the senior officers of the Navy do not have the trust and confidence in the civilian leadership of this country that is essential for the successful prosecution of a war in the Pacific – James Otto Richardson CinC U.S. Fleet (06 01 1940 – 01 02 1941) to FDR” e ricordo spesso i libri di Skipper Steely, cito Harry Yarnell e Thomas Hart o “la crociera dell’USS Lanikai” e i volumi di William Bartsch!
    Già, mai sentito parlare di Sandro Sandri, dell’US Panay, dell’Ammiraglio Yarnell, di quel tale Ammiraglio Hasegawa?
    Se Lei preferisce la dietrologia, i complotti e i what if, faccia pure: io preferisco occuparmi di cannonate, di bombe sganciate, di siluri lanciati e di documenti che attestino quanto avvenuto, dei rapoporti sulle operazioni piuttosto che delle testimonianze sui sentito dire. Questione di gusti! Ma francamente ritenere che in Italia vi fossero degli alti ufficiali delle forze armate che prima del 25 luglio 1943 collaborassero di propria iniziativa con gli alleati, senza previo consenso di Casa Savoia, è come credere alle basi di dischi volanti nazisti in Antardide!
    L’avvocato Filippini ha il mio massimo rispetto e condivido totalmente la sua lotta contro l’insopportabile retorica ufficiale sugli eventi di Cefalonia.

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