Home Risorgimento Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Via il busto del “massacratore”, Napoli espelle il generale Cialdini

Napoli espelle Enrico Cialdini. Il consiglio comunale, come riporta il Corriere del Mezzogiorno, ha approvato all’unanimità la mozione che dispone l’immediata rimozione dal palazzo della Camera di Commercio del busto dedicato alla memoria del generale piemontese. L’iniziativa, firmata dal consigliere comunale di Napoli Capitale che ha recentemente aderito a Fratelli d’Italia, Andrea Santoro, coinvolgeva pure la statua dedicata a Camillo Benso conte di Cavour ma, per il momento, l’assise cittadina ha preferito glissare sulla damnatio memoriae dello statista piemontese sotto cui si completò la conquista del Regno delle Due Sicilie all’Italia sabauda.
di Alemao dal Barbadillo del 29 dicembre 2016
Quella di Enrico Cialdini, modenese, è figura tra le più controverse (e più vituperate) del più recente dibattito storico sull’Unità d’Italia. Non a caso, se si immette il suo nome su Google, il motore di ricerca consiglia di completare la stringa con “criminale di guerra”.
A capo di un nutrito corpo d’armata, forte di 22mila prima e 50mila uomini poi fino ad arrivare all’impiego di quasi 150mila soldati, represse i moti legati alla reazione lealista del Sud fedele alla causa di Francesco II di Borbone con l’appoggio dello Stato Vaticano.
Sul suo capo pende l’accusa di essere stato un “massacratore” e l’episodio storico che gli viene contestato con maggiore virulenza riguarda l’eccidio di Pontelandolfo, avvenuto nell’agosto del 1861 in cui, secondo le più recenti ricerche di stampo “revisionista”, persero la vita tra i 100 e i mille “cafoni”, contadini passati per le armi perché accusati di connivenza coi briganti e coi borbonici.
Mentre il consiglio comunale decreteva la rimozione di Cialdini, sono scese in piazza alcune associazioni neoborboniche che hanno chiesto a gran voce all’amministrazione comunale di rimettere mano alla toponomastica cittadina. Via le strade intitolate ai protagonisti del Risorgimento e più attenzione ai personaggi locali, agli eroi scordati, alle figure cadute nel dimenticatoio dove giacciono tutti i vinti della storia.
La “cancellazione” di Enrico Cialdini dal Pantheon – anche se, come sottolineato dai promotori del provvedimento “non mette in discussione l’unità nazionale” – è fatto politico che testimonia, una volta di più, la volontà del Sud di riprendersi un’identità forte. Che è passata per numerosi interventi, anche politici, legati a provvedimenti formali e simbolici, come la revoca dell’intitolazione di piazze, strade, cittadinanze onorarie. Volontà che, negli ultimi vent’anni, è passata dalla rielaborazione di fonti e ritratti storici e non ha salvato dalla sua scure nemmeno i personaggi che parevano intoccabili, su tutti Giuseppe Garibaldi.
@barbadilloit
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26 Commenti

  1. Interessante, utile a smuovere le coscienze sopite di molti e la mala fede di troppi. Un piccolo passo in avanti verso la verità storica.

  2. Mentre in pieno centro di Napoli i camorristi sparano anche sui bambini, il consiglio comunale cittadino affronta a brutto muso Cialdini e lo caccia dalla Camera di Commercio. Questa sì che è gente di coraggio.

  3. I “camorristi” di Cialdini sparavano ai bambini, alle donne e ai patrioti siciliani, calabresi, pugliesi e campani da molto più tempo, mentre la “gente di coraggio” piemontese si mangiava un Regno alla faccia dei fessi!

  4. Socrate, si ripari dal freddo, la morsa del gelo che attanaglia il meridione fa male alla testa! Si copra, dia a retta a me, si copra!
    I fanatici borbonici erano intenzionati a distruggere Palermo senza riguardo per nessuno, e poi anche Messina, che già aveva assaggiato, anni prima, le bombe di Ferdinando II che causarono la morte di migliaia di persone. Cialdini fece sapere all’esaltato generale Fergola asserragliato nella piazzaforte, che, per ogni messinese morto avrebbe fucilato un borbonico prigioniero. Quando poi Fergola si arrese (dopo 8 mesi di follia), il generale Cialdini fu anche troppo cavaliere nel trattarlo come non meritava. La folla inferocita, infatti, voleva linciare lui e tutti i suoi compari.
    Ma, essendo lei fermo alla beata epoca dell’infanzia, ha abboccato alle belle favole al cloroformio narrate da Alianello, consolanti come la ninna nanna e sciocche quanto basta per piacere a quella parte d’Italia del dopoguerra che era animata dalla ben nota autodistruzione identitaria che ci ha portati dove siamo.
    Maria Cipriano
    Ah, dimenticavo. Un bel busto di Barbadillo -il celebre calciatore sudamericano- starebbe proprio bene al posto di Cialdini. Mica si vorrà lasciare un posto vuoto nella Camera di Commercio di Napoli, sarebbe antiestetico….

  5. Consiglierei ai neoborbonici anti-italiani di vedere le cose in grigio invece che in bianco o nero. Carlo Filangieri, principe di Satriano, duca di Cardinale e di Taormina, barone di Davoli e di Sansoste, noto anche come principe di Satriano o Satriano (Cava de’ Tirreni, 10 maggio 1784 – San Giorgio a Cremano, 9 ottobre 1867), è figura centrale nel chiaroscuro pre-1860, come generale e politico italiano, del Regno delle Due Sicilie.
    Figlio di Gaetano Filangieri, partecipa alle guerre napoleoniche nell’esercito francese: prende parte alla battaglia di Austerlitz e alla Campagna di Spagna. Trasferito nel Regno di Napoli per aver ucciso in duello un generale italo-francese, è aiutante di campo di re Gioacchino Murat che lo nomina generale nel 1813.
    Dopo la restaurazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie, viene reintegrato ed ha vari incarichi comandando con successo la Campagna per la riconquista della Sicilia (1848-1849). Rimane nell’isola come luogotenente fino al 1855. Consiglierei, onde placare gli animi italiani di neoborbonici e filosabaudi (che ritengo più vicini di quanto essi possano credere gli uni degli/agli altri) di leggersi un volume del 1906 (edito da Francesco Battiato editore che nulla ha a che vedere col cantautorato putrescente pseudo-intellettuale contemporaneo ed omonimo) pubblicato dal Dott. Vincenzo Finocchiaro (che ho tratto dalla biblioteca del mio bisnonno avvocato Ugo De Felice, con dedica personale dell’autore al mio ascendente) intitolato “La rivoluzione siciliana del 1848-49 e la spedizione del general Filangieri” con appendice sui reggimenti svizzeri nella spedizione di Catania, per vedere la complessa dinamica pre-1860 della strategia politica di casa Borbone. Il volume di più di 460 pagine, corredato di piantine delle battaglie, è un raro esempio di storia non propagandistica pur essendo stato pubblicato ad unità Savoia avvenuta (1906). La sua lettura smorzerebbe molte polemiche e raffredderebbe asti ingiustificati tra le due parti. La storia è scacchiera complessa se si vuole comprenderla in profondità ed anche in inaspettate sfaccettature. E chi vuole ricostruirla non deve giocare a dama, ma, appunto, a scacchi.

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