di Adriano Scianca dal Primato Nazionale del 9 marzo 2015
Lo scrittore ha quindi deciso di inviare una lettera aperta al Comitato, in definisce “inconcepibile” il fatto “che si prevedano e si finanzino centinaia di manifestazioni e pubblicazioni per il settantennale della Liberazione, lasciando in sordina il centenario della prima guerra mondiale, che mi pare invece l’evento centrale del quadriennio ’14/’18. C’è uno squilibrio, una sproporzione evidente, anche nel tono e nel taglio. Capirei se quest’anno fosse il centenario della Resistenza, e non ricordo del resto che si sia ricordato il novantennale o il settantennale della Prima guerra mondiale”.
Per una certa Italia, insomma, tutta la storia patria inizia e finisce con la guerra partigiana, letta peraltro con le lenti agiografiche che la più attuale storiografia dovrebbe aver reso desuete da un pezzo.
Continua Veneziani: “L’impossibilità di pensare alla nostra storia e alla nostra identità nazionale se non a partire (e a finire) dalla guerra civile di liberazione indica un forte limite culturale e civile del nostro orizzonte storico e istituzionale. Non possiamo ridurre la storia millenaria di una civiltà e la storia secolare di una Nazione e poi di uno Stato agli ultimi settant’anni. Senza dire che nessuno o quasi degli eventi indicati e promossi esplora in modo problematico le pagine controverse di storia e di popolo emerse nella storiografia e nella pubblicistica degli ultimi trent’anni (eccidi partigiani di civili e religiosi, processi sommari, triangolo rosso, foibe)”.
Di Prima guerra mondiale non si parla, invece, e quando lo si fa si adotta sistematicamente la versione disfattista e lacrimevole della “inutile strage”: “Ricostruendo la prima guerra mondiale – spiega ancora Veneziani – anche in film come quello di Ermanno Olmi, patrocinato dal comitato e dalle istituzioni, si abbraccia una lettura esclusivamente tragica e critica di quel conflitto, priva di ogni connotato celebrativo, epico ed eroico, che invece resta intatto nella ricostruzione storica della Resistenza. Francamente provo disagio a condividere questa impostazione che celebra la Resistenza e a malapena commemora la Prima Guerra Mondiale e della prima nasconde ogni lato in ombra e della seconda occulta ogni lato luminoso. Ferisce la memoria storica, la verità degli eventi e l’amor patrio”.
Marcello Veneziani ed Adriano Scianca hanno ragione da vendere. La Resistenza luogocomunista antifascista, colla sua retorica piagnucolona e melensamente mielosa, è e rimane una vergogna nazionale. L’Italia è finita il 25 luglio 1943, l’idea d’Italia è invece finita nel 1954 quando entità sovranazionali ed istituzionali hanno deciso di occultare le verità indicibili del carteggio Mussolini-Churchill contenute nei dossier di Enrico De Toma e Tommaso David a costo di mandare in galera dei galantuomini come Giovanni Guareschi. I morti ammazzati a Dongo e dintorni, le lupare bianche mafiose ed omertose del partigianato lariano, emiliano e piemontese ci dicono che gli assassini, dopo il 25 aprile 1945, sono diventati senatori, parlamentari e Presidenti della Repubblica con tanto di aureola di santità fabbricata dalla propaganda lecchina contemporanea del “notabilato” (si fa per dire “notabilato”) universitario e liceale azionista e paracomunista perbenista. Ma Napoleone Bonaparte ci insegna che “la storia ufficiale è un insieme di menzogne su cui ci si è messi d’accordo”. Oggi più che mai, quindi, Resistenza fa rima con Reticenza.