di Rino Cammilleri da Il Giornale del 23 marzo 2016
La Legge giudaica vietava i processi notturni e nelle vigilie delle feste, e tra le sedute doveva correre almeno un giorno. Invece, Gesù è processato di notte davanti all’ex sommo sacerdote Anna, poi di nuovo all’alba da Caifa e alla vigilia di Pasqua. A casa di Caifa viene condannato a morte, sebbene tali condanne, rigorosissimamente, non potessero essere pronunciate che nella Sala delle Pietre Squadrate (detta Gazith) dentro al Tempio. Ogni testimone doveva essere ascoltato da solo, invece nel caso di Gesù finì a gazzarra. I membri del Sinedrio, settantuno, dovevano votare solennemente uno per uno, ma nel caso di Gesù si misero a urlare in coro «a morte!».Andiamo avanti. Il processo doveva iniziare con la comunicazione dei capi d’accusa all’imputato. Caifa, al contrario, interroga Gesù sulla di lui dottrina. Doveva essere giudice, invece si improvvisa pubblico ministero e pretende, per giunta, che l’imputato si accusi da solo. Gesù, infatti, gli fa presente che, secondo le regole, dovrebbe rivolgersi a chi ha ascoltato i suoi discorsi pubblici, non a lui. Per tutta risposta si becca una bastonata in faccia (come si vede dal naso rotto della Sindone) da parte di un lacchè ruffiano. Gesù sa bene che i sinedriti non hanno nulla in mano, per questo cercano di strappargli un’ammissione di colpa. Ridicolo, perché in un processo appena decente nessuno può essere obbligato a testimoniare contro se stesso. È per questo che, dal quel momento, Gesù si tappa la bocca. La apre col Sommo Sacerdote solo per ammettere che il Messia è lui, cosa sulla quale non può tacere e che non è certo un reato. Ma Caifa lo dichiara subito bestemmiatore e si straccia pure le vesti, fregandosene della Legge che vieta al Sommo Sacerdote anche solo di sporcarle.
Gesù insomma è condannato a morte con sentenza abborracciata, in dispregio di ogni procedura e con un capo d’accusa grottesco. Già: se uno afferma di essere il Messia che si deve fare? Si va a scrutare le Scritture per vedere se il soi disant ha tutte le caratteristiche predette riguardo a tempi, luoghi e operato (Gesù le ha tutte e al millimetro, tra parentesi). Se non le ha, si tratta di un fanfarone megalomane, e va additato come tale al popolo. Ma fanfaronaggine e megalomania non sono reati capitali, specie se il Sedicente non ha mai fatto del male a nessuno. Gesù ha perfettamente capito che quel processo-farsa è stato imbastito da tempo e che serve solo a far fare il lavoro sporco a Pilato. Il quale verrà incastrato dai Sinedriti con la minaccia di un ricorso all’imperatore Tiberio se non li accontenta. Tiberio si è appena sbarazzato del suo primo ministro Seiano e sta eliminando tutti quelli che a costui devono il posto. Pilato è uno di questi e sa che Cesare sta solo aspettando un suo passo falso. E il passo lo fa, anche perché i furbi sinedriti gli hanno messo sotto al piede una saponetta di quelle che qualunque cosa fai sbagli. Gesù sta zitto anche con Pilato. Parla solo quando quello gli chiede se davvero è Re, e domanda che cosa intende: se vuol sapere se lui è un capo politico come dicono i sinedriti, la riposta è no; se la sua richiesta è invece sincera la riposta è sì, ma non «di questo mondo». E poi tace per sempre, perché vede che a Pilato la «verità» non interessa.