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Storia in Rete n. 136, febbraio 2017

Il 10 febbraio, giorno del Ricordo delle stragi delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata è sotto attacco. L’ultimo colpo di coda di una narrazione politicamente distorta e incapace di fare i conti col passato è in una lettera aperta a “Internazionale” a cui “Storia in Rete” ha deciso di rispondere con gli strumenti della storiografia scientifica esposti da Lorenzo Salimbeni.
Ma questo numero ha una “doppia” copertina, dedicata alla sconsolata riflessione di Marco Cimmino su come l’Italia stia malamente sprecando anche il centenario della Grande Guerra, non solo nel suo immenso patrimonio spirituale e morale – così tanto importante in una patria senza timone com’è l’Italia di oggi – ma perfino nei suoi aspetti più pratici, ovvero lo sfruttamento del “turismo storico” che invece va alla grande in tutto il resto d’Europa.
Poi, dalla Prima alla Seconda guerra mondiale: il tentativo di “spostamento verso il rosso” del Nazionalsocialismo a cavallo dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944. Una tesi che emerge dai rapporti dell’ambasciatore della RSI a Berlino, Anfuso analizzati da Paolo Simoncelli. E ancora, un ritratto di Rolandi Ricci, giornalista e avvocato, inascoltato consigliere di Mussolini durante i 20 mesi della guerra civile.
Dall’Europa all’estremo oriente, la parabola di Rodzaevskij, il fondatore del Partito fascista russo in Manciuria, velleitario emulo di Mussolini divenuto in extremis ammiratore di Stalin; la genesi dell’idea del “complotto ultramassonico” dietro la Rivoluzione Francese a partire dagli scritti di un gesuita, ricostruita da Aldo A. Mola; Shivaji, il re dei Maratti che verrà eternato in una colossale statua di bronzo a Mumbay e che qualcuno vuole vedere come un condottiero “anti-islam”.
Tre anticipazioni da altrettante nuove uscite in libreria ci portano quindi nell’Antica Roma, con gli eccessi della tavola dei Quiriti e la maniera migliore per rievocarla oggi; alla scoperta della… scoperta del clitoride, perché fino al 1500 la scienza medica occidentale aveva pressoché ignorato questo piccolo e prezioso organo del corpo femminile; nel fondo più nero della repubblica di Weimar, dove si consumarono i delitti a sfondo omoerotico di Fritz Haarmann, il “macellaio di Hannover” che seduceva “ragazzi di vita” per poi assassinarli e rivenderne le carni al mercato…
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11 Commenti

  1. Il negazionismo-riduzionismo-denigrazionismo sulla tragedia dei connazionali Istriani Fiumani e Dalmati fa un tutt’uno con quello sul Risorgimento e la Grande Guerra.
    L’errore delle varie associazioni sparse degli esuli è stato quello di sganciare quella tragedia dalla sua matrice originale, cioè dal Risorgimento.Le violenze degli slavi-austriaci infatti iniziarono allora, dopo la caduta di Venezia, ma siccome nessuno lo dice, la Kersevan e compagni hanno buon gioco nell’andare in giro per l’Italia a raccontare agli ingenui che sono stati i crimini commessi dal Fascismo la colpa delle foibe e dell’esodo. Il teatro Verdi di Spalato fu incendiato molti anni prima dell’avvento del Fascismo. Una serie innumerevoli di delitti, di aggressioni e violenze di tutti tipi “deliziò” i nostri connazionali del confine orientale per tutto il XIX° secolo, e le foibe e l’esodo del 1943-’45 non sono che l’anello finale di una lunga catena che ha origini lontane. Altro che Fascismo.
    Ma i frutti avvelenati dell’antiRisorgimento, com’era da prevedersi, si riverberano adesso sulla tragedia degli Istriani, Fiumani e Dalmati. Gente che visse la sua passione patriottica per lo più nella legalità, raramente reagendo con la violenza alle continue violenze subite.

  2. Comprendo l’odio atavico verso Cecco Beppe e la Cacania, così come l’insofferenza nell’ascoltare la Messa Glagolitica, ma non è che per caso la signora Cipriano volesse riferirsi all’incendio del Teatro Nuovo di Zara (dal 1901 Teatro Verdi) del 1870 e all’incendio del Teatro Bajamonti di Spalato del 1887?
    Già, Antonio Bajamonti: Carneade, chi era costui? Certamente non fu una “o o O di Landau”!

  3. Mi riferivo al teatro costruito da Bajamonti a Spalato, incendiato dolosamente nel 1887, che gli italiani volevano intitolare a Verdi, ma era proibito, così com’era proibito studiare la storia di Trieste, dell’Istria e della Dalmazia, ritenuta troppo italiana.
    E adesso se mi vuole scusare, sono in treno e sto conversando con persone più interessanti di lei. Si tenga il suo austriacantismo per cuscino e lo vada a condividere con chi ha le sue stesse pulsioni.

  4. Signora Cipriano, se ciò giova alla Sua salute, quando non ha proprio nulla di meglio da fare, mi accusi pure di essere un commensale di Bruno Franceschini… ma se ha la pretesa di essere una storica è bene che eviti di inventarle di sana pianta, altrimenti corre il rischio di mettersi sullo stesso piano di quella storica friulana che Lei detesta tanto e che per la verità, anche al sottoscritto non piace per nulla. Dovrebbe sapere molto bene che, eccezion fatta per Busseto e qualche altro isolato caso, i teatri italiani e austriaci cominciarono ad essere intitolati a Giuseppe Verdi subito dopo la morte del grande compositore , avvenuta il 27 gennaio 1901: a Trieste e a Zara le autorità kakane non ebbero nulla in contrario…. e nel 1867 pare proprio che quel tal Francesco Giuseppe abbia assistito alla rappresentazione dell’opera “Un Ballo in Maschera” di Giuseppe Verdi.
    A Spalato al teatro Bajamonti venivano abitualmente rappresentate / eseguite / messe in scena le opere di Verdi e quelle di aaltri compositori italiani e non. Da nessuna parte risulta ufficialmente che gli spalatini prima dell’incendio del 1887 avessero intenzione di dedicare il teatro a Giuseppe Verdi. Naturalmente, non è da escludere che in qualche osteria / birreria di Spalato, dopo abbondanti bevute di maraschino, qualche esagitato abbia proposto quel nuovo nome per il teatro cittadino… ma vede, all’epoca tra la comunità di lingua italiana di Spalato vi erano anche gli estimatori del papalino / reazionario / eretico antipiemontese / venduto ai francesi / amico di Wagner (lascio al Suo illuminato giudizio la facoltà di etichettare quello che per il modestissimo sottoscritto, ma non solo, è banalmente il “genio del crescendo, allegro, brioso, autoironico e amante della buona tavola”) Gioacchino Rossini.
    Quanto all’incendio del Teatro Bajamonti dovremmo avere l’onestà intellettuale di ricordare che i principali indiziati vanno sì ricercati tra i seguaci del Narodna Stranka, il Partito Popolare croato, ma dovremmo ricordare che nelle file del suddetto partito militavano numerose personalità di origine e/o espressione linguistica italiana, come Gajo Bulat, Vid Morpurgo (principali avversari politici del Bajamonti a Spalato, entrambi “italo-croati”), Nakto Nodilo e Lovro Monti: ovvero la comunità di lingua italiana in Istria e Dalmazia non era affatto monolitica o guidata dal monopensiero filosabaudo, anzi è vero il contrario.
    D’altra parte dobbiamo pur ammettere che lo stesso Bajamonti, mazziniano convinto, simpatizzante garibaldino, non era esattamente un entusiasta filosabaudo, pur essendo assai felice per l’unificazione della penisola.
    Mi sovviene un dubbio amletico: in quale masnada di iconoclasti e infedeli colloca l’irriducibile “patriota” antisabaudo Niccolò Tommaseo, quello del Tommaseo-Bellini, famoso Dizionario della Lingua Italiana?

  5. Pardon, questa frase “e nel 1867 pare proprio che quel tal Francesco Giuseppe abbia assistito alla rappresentazione dell’opera “Un Ballo in Maschera” di Giuseppe Verdi” è da leggersi “e nel 1867 pare proprio che quel tal Francesco Giuseppe abbia assistito alla rappresentazione dell’opera “Un Ballo in Maschera” di Giuseppe Verdi al Teatro Nuovo di Zara”.

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