Home Risorgimento Ritorna “Rassegna storica del Risorgimento”. Una buona notizia

Ritorna “Rassegna storica del Risorgimento”. Una buona notizia

Dopo complesse dispute, affrontati e vinti gli intralci burocratici, è riapparsa, dopo alcuni anni, per la soddisfazione degli studiosi la “Rassegna storica del Risorgimento”, pubblicazione periodica dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano. Il numero speciale per il Centenario (il primo numero apparve nel 1914) consta di ben 480 pagine con articoli dedicati alla Grande Guerra ed ai rapporti internazionali con Francia ed Austria.
di Vincenzo Pacifici da Destra.it del 28 dicembre 2016
Elio Lodolini ha curato un ampio e dettagliato saggio al “contributo degli archivisti di Stato alla Rassegna storica del Risorgimento” significativo ed eloquente del rapporto o meglio ancora della connessione fondamentale tra gli archivi e l’indagine storica, che in essi e su di essi è fondata.
Il presidente dell’Istituto e direttore della pubblicazione, professor Romano Ugolini, ha intitolato il suo editoriale Chi ha paura del Risorgimento? Cento anni di “libero studio” e “fedeltà al culto del vero”. Ugolini attribuisce “all’uscita […] il senso di una ripresa piena dell’attività dell’Istituto, e quindi di un’iniziativa editoriale che si rilancia in una prospettiva di continuità futura”. Senza esagerazione e con assoluto rispetto della verità Ugolini sottolinea che “ la Rassegna sia di gran lunga la rivista storica più diffusa in Italia, proprio grazie all’elevato numero di Soci che la ricevono, e che sia presente da anni in tutte le principali biblioteche mondiali”.
Dopo aver parlato delle motivazioni “interne” Ugolini si dedica alla spiegazione e all’illustrazione della vita della rivista, che “ha attraversato senza subire eccessive scosse” i momenti cruciali, amari, drammatici e poi nuovi del XX secolo , momenti in cui i valori espressi dal Risorgimento “erano ben presenti e individuabili chiaramente”. Lo studioso, già ordinario nelle Università di Palermo e per lunghi anni di Perugia, rileva – e l’osservazione è ricca di implicazioni – che i docenti, che a partire dai primi del Novecento impartirono la disciplina di “Storia del Risorgimento”, “appartenevano ai più diversi ai più diversi orientamenti politici ed ideologici”.
Affronta poi Ugolini un passaggio delicato, quello del progressivo accantonamento della materia, assorbita fino ad essere cancellata nella “generale definizione di Storia contemporanea”, sancita dalla legge 19 novembre 1990. Il culmine è comunque raggiunto con gli interventi legislativi del ministro Luigi Berlinguer del novembre 1996, che sancivano nei programmi scolastici dell’ultimo anno delle superiori lo studio del solo Novecento. Ugolini non si poteva far sfuggire l’occasione per un commento severo ed equilibrato, provato da allora in mille occasioni della vita quotidiana: “E così, progressivamente è aumentato il numero dei giovani, universitari e non, che ignorano quando è nato il nostro Stato nazionale o che si smarriscono di fronte alla denominazione “XX settembre” attribuita a strade presenti in quasi tutte le città italiane”.
“L’attacco all’età del Risorgimento – continua Ugolini – pianificato nell’ambito legislativo, si estese ben presto al piano ideologico – politico: il Risorgimento era “lo slogan di un movimento politico” che era bene eliminare, dimenticando che la parola, usata in italiano in tutto il mondo, indicava il percorso di una comunità per divenire Nazione e poi Stato nazionale, per farsi poi, successivamente, modello da seguire e da prendere ad esempio nel percorso di diversi Paesi verso la libertà e l’indipendenza”. E pensare che in questi anni, in cui veniva compiuta questa manovra culturalmente involutiva, il governo era nelle mani di una maggioranza, che non sapeva o non meglio non poteva comprendere i momenti della storia nazionale da conservare e da salvaguardare, minata, come era, da una componente secessionista, ancora oggi presente con inalterata arroganza ed insuperabile inconsistenza.
Ugolini conclude con un’osservazione consolante e assolutamente condivisibile: “Un Paese non può distruggere le proprie origini senza perdere identità ed ideali: lo possono fare alcuni professori, ma non la società civile che, come viene ogni giorno dimostrato, è ben legata ai valori e alle eredità della propria storia, anche di quella precedente al 1861”.

21 Commenti

  1. In sintesi, da una parte c’è la comunità scientifica formata da migliaia di storici di varie scuole e tendenze, dall’altra c’è “Socrate” che parla di storici “prezzolati” e prende sul serio le macabre battute di spirito “revisioniste” di Pino Aprile e soci (Il regno borbonico era la terza potenza economica del mondo! Vendeva locomotive agli altri stati italiani! Tra i garibaldini c’erano i criminali della Legione Straniera Ungherese! Nel Sud ci fu un genocidio con centinaia di migliaia di morti, forse un milione! Si ammazzavano i preti e le suore!). Credo che i lettori ormai sappiano bene da che parte stare.

  2. Marinelli continua a non capire o peggio a far finta di non capire. La sua “sintesi” infatti tradisce il nervosismo tipico degli arroganti.
    La “comunità scientifica” a lei tanto cara è una entità talmente astratta che chiunque può metterci dentro quello che vuole. E poi, quant’anche fosse uno e solo uno contro tutti, meriterebbe comunque ascolto e rispetto. Ma capisco che far accettare questo semplice concetto è chiedere troppo a chi è abituato ai luoghi comuni, al pensiero unico e al politicamente corretto!
    Le “macabre battute di spirito” volutamente esasperate per metterle in ridicolo, nascondono delle verità spesso nascoste o travisate.
    Il Regno borbonico non era il terzo mondo da salvare o liberare ma un regno ricco e potente da depredare. Al franco savoiardo Benso non interessava nulla del “grido di dolore” ambiva solo al potere a e ai soldi. Gli eroici garibaldini, almeno all’inizio, erano in piccola parte mercenari anche stranieri, tutti gli altri erano effettivi di due battaglioni dei cacciatori delle Alpi smobilitati e in borghese, veterani che avevano combattuto nel 1859 dotati di ottimi fucili moderni ed efficienti di fabbricazione austriaca, prussiana, e francese, forniti sotto banco a caro prezzo da una società del “patriota” Farina. I morti ammazzati del Sud ben più numerosi di tutti i morti delle tre guerre di indipendenza, sono sempre stati etichettati come Briganti al solo scopo di giustificare la mattanza degli eroici piemontesi “liberatori”.
    Attenti l’eccesso di spocchia e supponenza fa male alla Storia ma le persone libere e oneste, quelle si, sanno “bene da che parte stare”.

  3. Solo nel magico mondo neoborbonico un signore dall’attività ignota può pretendere che la sua “opinione” fondata su slogan diffusi da siti propagandistici sia considerata equivalente ai risultati delle ricerche di storici di professione. E di tempo con il sè dicente “Socrate” ne ho perso anche troppo.

  4. Complimenti Marinelli, risposta perfetta. Ben 46 parole per non dire nulla. Esattamente come nelle migliaia di pagine ampollose e vacue di certi scritti retorici tanto care agli “storici di professione”. Soprattutto quando si entra nel merito e si espongono fatti e dati difficili da confutare!
    Quanto al tempo mi spiace deluderla, non è mai perso perché, semplicemente, non esiste…

  5. Anche questa volta i coniglietti risorgimentali, come sempre contrari ad un sano e sacrosanto confronto sui fatti reali e non sulle fantasticherie di pennivendoli partigiani, si sottraggono al confronto e si rinchiudono nei loro spocchiosi silenzi. Capisco che non è facile ammettere le omissioni, gli stravolgimenti e le inesattezze reiterate per 150 anni di scritti faziosi, ma negare il revisionismo per uno storico che si rispetti, è inaccettabile!

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