Home Risorgimento Ripensare il Risorgimento. Senza retorica, senza nostalgie

Ripensare il Risorgimento. Senza retorica, senza nostalgie

Il libro di Vito Tanzi, “Italica. Costi e conseguenze dell’unificazione d’Italia”, Grantorinolibri (2012) oltre ai temi economici e finanziari della conquista del Regno delle Due Sicilie, racconta anche come è stata conquistato e poi annesso. Con la caduta del Muro e delle ideologie, c’è stata una ventata di sano revisionismo che ha toccato anche gli anni e il periodo dell’unificazione del nostro Paese. Così a partire dagli anni 90 sono stati pubblicati ottimi e ben documentati testi che finalmente hanno scritto la verità su come è stata fatta l’unificazione del Paese. Poi è arrivato il 150° anniversario dell’unità d’Italia, ci si aspettava che finalmente non si raccantasse più la solita vulgata risorgimentista, invece la cultura e la storiografia ufficiale, ha continuato a narrare edulcurando i fatti e i personaggi del cosiddetto Risorgimento.
di Domenico Bonvegna da del 12 marzo 2016
Ci ha pensato Alleanza Cattolica, organizzando una serie di convegni in Italia, dal titolo significativo: “Unità si, Risorgimento no”, per raccontare la Verità, senza inseguire sterili nostalgie di epoche passate. Da questi incontri poi è scaturito e pubblicato un volume:“1861-2011. A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia. Quale identità?”. E’ utile ribadire che nessuno vuole incensare il passato borbonico e tantomeno restaurarlo. Come ogni epoca storica, va criticata calandosi in quella realtà, ormai i documenti e le numerose fonti hanno evidenziato lo stato di salute di cui godeva il Regno borbonico nel 1860, ma non tutto era rose e fiori, certamente c’erano anche tante cose che non funzionavano, soprattutto al tempo del giovane Francesco II. Del resto come si fa a conquistare in poco tempo un Regno senza quasi mai combattere, tranne l’ultimo sussulto di Gaeta? I tradimenti dei generali borbonici che si sono venduti a Vittorio Emanuele, la corruzione della burocrazia e della nobiltà, i vari galantuomini latifondisti soprattutto in Sicilia, tutti tramavano e hanno contribuito a mandare via il giovane re napoletano.
Alcuni libri che hanno smascherata la vulgata risorgimentale.
A questo punto è opportuno fare qualche nome degli storici, scrittori, giornalisti, che hanno avuto il merito di rompere quel muro ideologico, di omertà e di silenzio sulla conquista del Sud. Uno dei primi è stato negli anni 70, Carlo Alianello, con il suo “La Conquista del Sud”, io possiedo l’edizione del 1970, pubblicata dal coraggioso editore Rusconi. Poi ci sono stati altri libri, alcuni di questi dopo averli letti, li ho presentatati nelle mie collaborazioni.
Tra questi, l’ottimo testo di Patrick Keyes O’ Clery, La Rivoluzione Italiana”, ristampato nel 2000, dalla battagliera Edizioni Ares. Forse è il testo più completo che conosco sul tema. Angela Pellicciari, con“Risorgimento da riscrivere”. Lorenzo Del Boca, con i suoi “Maledetti Savoia”, e “Indietro Savoia”; Fulvio Izzo,“I Lager dei Savoia”; Giordano Bruno Guerri, con “Il sangue del Sud”; Arrigo Petacco, “La Regina del sud”, e poi Silvio Vitale, con la sua mitica rivista de “l’Alfiere” di Napoli, il prof. Tommaso Romano, direttore della gloriosa Edizioni Thule, ricordo i suoi ottimi testi di sano revisonismo:“Sicilia 1860-1870. Una storia da riscrivere”, e “Contro la Rivoluzione la fedeltà”, opera omnia sul marchese Vincenzo Mortillaro. Nonché l’agile volumetto su “La beata Maria Cristina di Savoia, Regina delle Due Sicilie (1812-1836).
Inoltre il sacerdote don Bruno Lima, con “Due Sicilie. 1860.L’invasione”, Massimo Viglione con “Le Due Italie”. Infine Francesco Pappalardo, con “Il mito di Garibaldi” e “Dal banditismo al brigantaggio”, pubblicato da D’Ettoris Editori di Crotone. Per ultimo, Pino Aprile con il suo “Terroni”, che forse ha avuto il merito di divulgare e rendere più “attuale”, la brutalità e l’aggressione al Regno napoletano. Naturalmente si potrebbe continuare e fare altri nomi, magari quelli che il professor Tanzi cita nel suo libro.
“Italica”, sgretola alcuni luoghi comuni del Risorgimento.

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Ritornando a “Italica”, anche Tanzi sgretola alcuni luoghi comuni sul Risorgimento, sulla cosidetta “Italia morale”e “Italia reale”, l’idea di una nazione italiana era esistita, ma nelle menti di pochi “patrioti”,“sarebbe difficile definire il Risorgimento come un movimento popolare o di massa. Era e rimase un movimento di èlite…”. Tanzi fa notare che i cosiddetti “quattro giganti del processo risorgimentale”, cioè Cavour, Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele,“forse non a caso, nacquero in un angolo relativamente piccolo del vecchio territorio della penisola italiana, il triangolo di Torino, Genova, e Nizza”. Forse solo Napoleone III conosceva il Sud dell’Italia meglio dei quattro giganti”. Cavour non era mai stato a Sud di Pisa, e non aveva mai espresso particolare interesse a visitare o anche conoscere il Mezzogiorno.“Quella parte dell’Italia semplicemente non lo interessava,– scrive Tanzi – forse perchè non era un’area che lui associava con il futuro e con l’idea di progresso, sia economico che politico e sociale, come lo erano Francia ed Inghilterra”. A questo punto non si comprende perchè ancora bisogna tenersi vie e piazze per ricordarlo e venerarlo come un santo.
Peraltro questa elite risorgimentista, rimase tra loro divisa, tra repubblicani e monarchici. Per il popolo comune, l’idea di una nazione italiana, e di un governo nazionale italiano, era, e rimase per molto tempo, un concetto astratto. Gli italiani conoscevano ed avevano come loro punto di riferimento i loro re, specialmente, gli abitanti del regno più grande di allora, quello di Napoli. “La nazione creata nel 1861, era una nazione la cui amministrazione statale…sarebbe stata presto aspramente criticata da buona parte delle proprie stesse elite politiche, a causa del suo centralismo”.
Una Confederazione di Stati, la soluzione migliore.
Nel libro Tanzi critica, l’unità forzata del popolo italiano, bisognava rispettare, almeno nella fase iniziale,“le grandi differenze culturali, economiche, e storiche che esistevano nelle varie regioni, e specialmente tra il Regno di Napoli e delle Due Sicilie, da un lato, ed il regno di Sardegna, dall’altro”. Lo aveva scritto nel 1848, il siciliano Francesco Ferrara, il più importante economista italiano di quel periodo. “Ferrara avvertiva anche sul pericolo che la libertà sarebbe stata perduta se il disegno piemontese di unificare l’Italia fosse andato a termine”.
L’indipendenza dallo straniero si sarebbe potuto ottenere anche senza l’unificazione. Con una “confederazione” degli stati esistenti, come aveva immaginato Metternich e perfino lo stesso Cavour. C’era l’esempio tedesco, e della vicina Svizzera.
Comunque sia anche Tanzi ci tiene a dire che ama l’Italia ed è orgoglioso di essere italiano e non intende mettere“in questione il merito della creazione di una nazione italiana e di uno stato chiamato Italia, ma il modo in cui quel progetto fu portato a termine. C’erano altre strade, oltre a quella che fu presa, che, forse con più tempo, potevano portare ad una simile destinazione, ed ad un costo più basso, in termini sociali ed economici. Sapendo ciò che sappiamo ora, è possibile sostenere che alcuni errori, con enormi consequenze future, furono fatti e che almeno alcuni di questi errori potevano essere stati evitati”.
Annessione del Mezzogiorno, Unificazione, Brigantaggio.
Anche se il libro di Tanzi non intende sviluppare e descrivere gli aspetti e le azioni più o meno eroici del periodo risorgimentale, lui scrive che lo hanno fatto benissimo altri libri e non sarebbe utile ripetere quello che già si sa. Aggiungo, c’è un altro aspetto che non viene toccato, è la guerra che la rivoluzione risorgimentista ha scatenato alla Chiesa e alla comune identità cattolica del Paese. Tuttavia il libro di Tanzi offre interessanti spunti per la discussione, in particolare, sugli errori commessi e sulle enormi conseguenze future che hanno avuto soprattutto per il Mezzogiorno d’Italia. Dopo l’invasione del Regno di Napoli e delle Due Sicilie nel 1860 da Garibaldi prima, e dalle forze piemontesi dopo, si scatenò il cosiddetto “brigantaggio”, una “opposizione di massa, che sorprese i ‘liberatori’ del Nord che avevano pensato di essere ricevuti come eroi liberatori,solleva molte questioni scomode sulla legittimità della conquista del Regno di Napoli…”. L’invasione fu un vero atto di pirateria, anche perchè il Piemonte aveva avuto relazioni diplomatiche con il Regno di Napoli; i due sovrani erano perfino cugini. Tra l’altro l’atto di conquista del Regno dei piemontesi non era stato gradito da molti stati europei. Per questo motivo, diventò politicamente corretto, per le autorità del nuovo Regno d’Italia, definire “brigantaggio” qualunque opposizione armata contro il nuovo regno e la nuova “patria” italiana, e considerare tutti i meridionali dei comuni criminali, dei “briganti”. Infatti a Torino, avevano appreso la lezione dai cugini francesi della Rivoluzione giacobina del 1789, che considerava “cittadini” i rivoluzionari, mentre chi si opponeva come i vandeani, dei “briganti” da eliminare in tutti i modi.
Certo i fenomeni criminali erano sempre esistiti al Sud, ma adesso, con l’occupazione militare piemontese, assunsero dimensioni straordinarie, causati, secondo Tanzi, da diversi fattori. Certamente per motivi politici contro le nuove autorità, che avevano sostituito spesso in maniera arbitrario e violento, le istituzioni del governo borbonico. Un altro motivo, è stato quello delle promesse non mantenute, in particolare, la non distribuzione delle terre ai contadini. Infine per le forti tasse introdotte che colpirono in particolare il Sud che non era abituato rispetto al Nord.
Soprattutto nel V° capitolo (Annessione del Mezzogiorno, Unificazione, e Brigantaggio) il professor Tanzi racconta tutto con obiettività, per esempio, sulla famiglia borbonica, il giovane re “Francischiello”, figlio di Maria Cristina di Savoia, “la Santa”. L’impresa dei mille di Garibaldi, finanziata da massoni italiani e stranieri (principalmente inglesi) non aveva nessuna legittimità legale o politica, assomigliava molto a un atto di banditismo, favorito naturalmente dai tradimenti degli alti ufficiali borbonici. Praticamente la fine del Regno di Napoli per Tanzi assomiglia molto al crollo dell’Unione Sovietica, un impero che si sfasciò quasi all’improvviso e quasi per miracolo. Infine anche per Tanzi, il nuovo Regno Italico, ha combattuto una vera guerra con un esercito di ben 120 mila uomini che contro i cosiddetti “briganti” del Sud. Paolo Mieli, storico e giornalista, con obiettività, poteva scrivere: “il fenomeno ricordato nei nostri manuali come brigantaggio in realtà fu una guerra civile che sconvolse l’intero Sud. Gli sconfitti lasciarono le loro terre e alimentarono la gigantesca emigrazione verso l’America”. Anche per il professor Tanzi si trattò di una guerra civile, peraltro simile a quella americana. Potremmo continuare, lo faremo, studiare la nostra Storia ci aiuterà a capire anche il nostro presente.

43 Commenti

  1. Gli interventi soprastanti richiedono risposte articolate. Egr. Sig.ra Cipriano, riscontro la Sua replica e concordo quando afferma, dopo mia sollecitazione e sottolineatura, che i nodi irrisolti del 25 luglio 1943 (arresto di Mussolini a Villa Savoia) fanno parte nucleare di “quel passato che non passa, in cui stanno le vere premesse dei guai odierni. Non nel Risorgimento, come scioccamente pensa qualcuno, ma lì, in quelle vicende strane, mai chiarite, della seconda guerra mondiale”. Io non sono di fede monarchica, questo lo avrà capito, (casomai potrei alla lontana definirmi un bonapartista figlio di Gracco Babeuf o Filippo Buonarroti) ed allora Le chiedo: Se la Francia postnapoleonica, leonblumiana, gaullista e neogaullista ed i francesi non hanno mai avuto nulla da ridire sul fatto che lo Stato Francese continui ad omaggiare l’uomo del 5 maggio manzoniano custodendo le sue spoglie all’Hotel des Invalides in Parigi (e parliamo di un uomo che mise a ferro e fuoco l’Europa), perché gli italiani non hanno ancora costruito un mausoleo all’Eur a Benito Mussolini ma gli hanno invece riservato la vergogna di Piazzale Loreto il 29 aprile 1945? E perché i Savoia, escluso Vittorio Emanuele III ed Umberto II sono sepolti al Pantheon in Roma, mentre Mussolini giace in una anonima cripta a Predappio (San Cassiano)? Perché lo Stato turco ha costruito a Mustafa Kemal Ataturk uno spledido mausoleo e noi dobbiamo subire la propaganda e la menzogna 71ennali 24 ore al giorno? Anche Napoleone aveva perduto l’Impero ed era morto a Sant’Elena. Che cosa è il popolo italiano? O che cosa non è? Al netto degli errori, delle ingenuità e della apparente improvvisazione delle scelte mussoliniane, faceva bene il Duce a dire: “Non si può fare una grande nazione con un piccolo popolo”.
    (Benito Mussolini, Discorso alla Mostra d’Arte “Novecento”, Milano, 26 marzo 1923).?
    Aveva ragione Metternich? Non crede che dopo il 25 luglio 1943 l’Italia, per colpa di casa Savoia, l’Italia sia tornata popolino, contrade, davanzali e cortili? Si immagina cosa avverrebbe in questo paesino fu nazione se Qualcuno decidesse, in diretta tv o mondovisione, di trasferire solennemente la salma di Mussolini in un mausoleo di Stato con ovvio codazzo di comunità israelitiche ed Unione Europea che scatenerebbero l’inferno o varie Laure Boldrini dell’ignoranza e della malafede che aizzerebbero le pecore italiote coll’ausilio di mafia giornalistica e pullmann organizzati?
    Fino a quando non vi sarà la riabilitazione universitaria, televisiva, liceale, scolastica e giornalistica, documentazione alla mano, storico-politica di Benito Mussolini (rapportato alla scala di riferimento internazionale, con la ricostruzione fedele ed a 360 gradi della guerra e del Novecento politico nostrano), di questo paese chiamato Italia continuerà a non (ri)vedersi il minimo profilo. Una riabilitazione, in chiave mazziniana e gentiliana, già auspicata da un autore e filosofo oggi dimenticato: Augusto Del Noce.
    Tralasciando il ruolo nefasto di Pietro Badoglio e degli “uomini” del SIM dopo il 25 luglio 1943 (e su Carboni e Roatta si aprirebbero voragini interpretative), la Sua ricostruzione sul fair play tra Savoia e Fascismo cozza ed urta purtroppo con ciò che accadde dopo il 25 luglio 1943 e cozza in primo luogo col ruolo di Raffaele Cadorna e Pier Bellini delle Stelle nella consegna di Mussolini e Clarice Petacci al gruppo di mandanti e sicari britannici e comunisti italiani responsabili dell’assassinio del Duce e della sua amante a Bonzanigo di Mezzegra la mattina del 28 aprile 1945.
    Quanto al sig. Ernesto, che non ha il fegato di firmarsi con nome e cognome (alla stregua dei partigiani che si nascondevano dopo aver sparato a uomini visibili), il meno che si può dire è che non ha capito niente. Dice una cosa vera e dieci fesserie. Confonde, nella sua foga isterica, Bettino Craxi che liquida come un tangentista con gente con cui non ha nulla a che vedere. Ernesto è forse convinto che tangentopoli sia stata una rivoluzione di eroi puri? Tangentopoli è stata solo una finta rivoluzione mediatico-giudiziaria pianificata oltre-Atlantico da pupari occulti (autori e progettisti delle operazioni anti-Saddam, anti-Gheddafi, anti-Assad e delle altre truffe delle cosiddette “Primavere Arabe”), con dei finti eroi di cartapesta promossi al rango di paladini della correttezza morale e poi rivelatisi per quello che erano. Non ho mai votato PSI, ma Craxi è stato l’unico (in sinergia a Gronchi, Fanfani, Andreotti e Moro) a parlare “italiano” all’estero. Ed è stato colui che, a differenza degli allineati e coperti moderati ed impotenti cortigiani finiani e berlusconiani succedutigli indebitamente, ha avallato e supportato convegni sul revisionismo storico e sull’anticomunismo radicalchichiano e scalfariano negli anni ’80 dello scorso secolo. Bettino Craxi aveva il coraggio di parlare in tv e nelle tribune politiche (che non erano farse nello stile vespiano di “Porta a Porta” e cabaret simili) di Nicola Bombacci e del patto di pacificazione tra Fascisti e socialisti nel 1921. E definì Mussolini “progressista e progressivo fino all’ultimo”. Ma Ernesto, e quelli come lui, avrebbero solidarizzato con i tiratori barabbiani e scalfariani-finiani di monetine del Raphael Hotel. Certo era circondato da un contorno famelico Craxi, a cominciare da quella mezza calzetta di Claudio Martelli che cercò di fargli le scarpe da quel Giuda Iscariota che era. Ma Martelli, Oscar Luigi Scalfaro e Mancino fecero di peggio abbandonando Falcone e Borsellino al loro destino.
    Quanto ad Almirante, Ernesto non sa (o non vuole sapere) che il Giorgio missino ha distrutto non solo un partito, ma un’idea, facendo fuori (lui che non era stato degnato neanche di uno sguardo dal Duce durante la RSI) negli anni ’50-’60 i cervelli politici, corporativisti e sindacali del fascismo pre-missino: sto parlando di Giorgio Pini, Stanis Ruinas, Lando dell’Amico, Edvige Platania etc.
    Era troppo impegnato a profetizzare l’ascesa 30 anni dopo di una mezza calzetta che lui, Giorgio Almirante, avrebbe designato erede: la nullità politica Gianfranco Fini che, dopo aver rovinato Silvio Berlusconi (altra nullità) nel 1996 non facendo il patto di desistenza con Rauti, consegnò il Paese a Prodi & Co. In un altro Paese, Fini avrebbe immediatamente chiuso la carriera politica dopo tale scelta scellerata. Ma Silvio Berlusconi (nullità primaria) lo promosse (nel suo governo successivo) ministro degli esteri e poi Presidente della Camera.
    E sa, il buon Ernesto, cosa diceva Edda Mussolini (vedova Ciano) negli anni ’70 ad Almirante quando costui prendeva in giro la gente nei comizi alzando fintamente il braccio col saluto romano (mentre i suoi uomini nel meridione ed altrove si vendevano i pacchetti di voti alla DC)? Diceva: “Giorgio, perché fai il buffone? Perché non fai politica”?.
    Con noia, Alessandro De Felice

  2. Sulla politica partitica del secondo dopoguerra io non mi pronuncio perchè mi viene mal di testa, ho ancora il ricordo di discussioni interminabili e accese tra familiari e parenti in casa mia, chi la pensava in un modo e chi in un altro -destra e sinistra-, ed essendoci passata anch’io con la mia buona dose di ingenuità giovanile, ho chiuso per sempre con quelle arruffate passioni che andrebbero messe in cantina, tra i ferrivecchi del passato. Ai partiti, intendo dire, con tutte le loro inutili fazioni, frizioni, finzioni, discussioni e quant’altro, andrebbe rifilato un bel calcio conclusivo, e allora forse s’inaugurerebbe una migliore forma di democrazia. Senza contare che nell’attuale condizione di sudditanza all’europa, essi non contano più nulla.
    Senza gli alti ideali la vita non è degna di essere vissuta, è un mortorio, e questa nazione li aveva e non li ha più. Gli ideali Risorgimentali passarono nell’Irredentismo e poi nella Grande Guerra: quindi nel Fascismo, che era una dittatura piuttosto originale, con un consenso che superava il 90%. Quegli ideali hanno unito fortemente gli Italiani e avrebbero continuato a unirli se non ci fosse stata la guerra persa con tutte le conseguenze cui s’è accennato.
    Di chi la colpa? Io ho dato al Fascismo la colpa d’aver perso la guerra non per malanimo, ma perchè esso stesso se n’era arrogato la responsabilità, e la Monarchia lo lasciava fare. Il Re si fidava del Duce, il Duce si fidava del Re, per vent’anni si sono regolarmente incontrati due volte alla settimana al Quirinale, ma era nei patti che se qualcosa fosse andato storto il Re avrebbe ripreso le redini. E’pur vero quello che dice Alessandro De Felice: Napoleone fu sconfitto anche lui, trascinò i francesi in Russia anche lui finendo malamente, eppure i francesi gli costruirono un monumento. Mussolini ha avuto invece lo scempio di piazzale Loreto. Però non è la stessa cosa, perchè Napoleone non ha supportato in Patria un alleato ingombrante che si è trasformato poi, di fatto, in prepotente invasore, compiendo stragi di migliaia di civili, donne e bambini. Non credo che in tal caso i francesi gli avrebbero dedicato un monumento. I Fascisti hanno sempre glissato su questo punto, parlando di onore, di parole date, di coerenze, quando in politica estera ognuno fa e deve fare i propri interessi e non ci si sposa mai con nessuno. La Storia è piena di alleanze fatte e disfatte, sennò il Ducato di Savoia sarebbe rimasto un piccolo ducato di montagna con pastori, sarte e mugnai, o sarebbe stato inghiottito dalla Francia. Invece nel 1782 aveva un’Accademia delle Scienze tra le più prestigiose che poteva vantare scienziati del livello di Avogadro, che scoprì la molecola. Aveva un esercito ammirato, un esercito di popolo, che, pur non potendo competere col colosso austriaco, osò sfidarlo sul campo di battaglia nel 1848-’49.
    E comunque la monarchia sabauda è rimasta travolta anch’essa dalla sconfitta del Fascismo, è stata incolpata anche lei perchè agli antifascisti faceva comodo disfarsene, tant’è che diedero al Re Umberto II l’aut aut “o la repubblica o il caos”, e a tutt’oggi, come De Felice ricorda, a Vittorio Emanuele III e alla regina Elena è negata la sepoltura in Italia, la qual cosa mi pare molto più ingiusta e ingiustificata di quella che Mussolini non abbia un mausoleo all’Eur (senza dire di com’è ridotto attualmente questo quartiere che dovrebbe essere lo splendore di Roma…)
    Buonanotte a tutti
    Maria Cipriano

  3. PS.: nel caso che il Duce e il Re avessero avuto un piano, non credo l’avrebbero comunicato a Raffaele Cadorna (che era un pò diverso dal padre) nè tantomeno al capo partigiano PierBellini delle Stelle. Doveva essere un piano segreto. Ma, come tutti i piani preparati a tavolino, c’è sempre qualcosa che va storto. Ed è chiaro che le cose non andarono come previsto.
    Sarà fantastoria, ma io la penso così.
    Maria Cipriano

  4. Egr. sig.ra Cipriano, il problema è sempre quello dell’arresto sabaudo ai danni di Mussolini il 25 luglio 1943. Un alleato (la Germania nazionalsocialista), da cui ci si sarebbe potuti sganciare a tempo ed a modo ed in mille modi (scusate il gioco di parole), diventa un “prepotente invasore” se gli si squarciano, a tradimento, gli uomini con bombe piene di chiodi in attentati vili da guerriglia terroristica e stragista: leggi via Rasella (ed altri episodi) con le tragedie che ne conseguirono. L’ammiraglio Darlan e la Francia di Vichy (che si accanì come nessun governo fascista europeo contro gli ebrei) vennero a patti segreti con Roosevelt e Churchill cui era necessario il territorio metropolitano francese. Un governo che il giorno prima è tuo alleato e poi ti si rivolta contro, dichiarandoti guerra (e questa vergogna il governo Parri nel luglio 1945 con De Gasperi in testa la compì anche contro il Giappone pochi giorni prima di Hiroshima e Nagasaki), è l’espressione di che cosa, secondo Lei?

  5. Il sommo professore sa tutto,ha fatto un’intervento che non c’entra niente con il post inquestione e continua a sparare sentenze con boria insuperabile.Caro il mio professorone dei miei stivali,mi chiamo Ernesto,Ernesto Gallerano.A disposizione per qualsiasi evenienza,caro il mio commissario di polizia secondo cui quelli che amavano L’Italia erano Craxi Andreotti,Fanfani e Moro equalche altro democristianone corrotto.Lei sa molto poco di fascismo,è un prodotto del pattume degli ultimi vent’anni e dintorni,è un craxiano berlusconiano.Glielo dice il figlio di un uomo che ha fatto due anni e mezzo di galera durante la seconda guerra mondiale per il suo Duce.Fruendo poi dell’amnistia Togliatti.Mio nonno ha fatto due guerre mondiali.Si figuri se sto ancora a sentire i deliri di un soggetto che ama aolo se stesso e il suo ombelico.Me ne frego altamente di quello che dice,non caèpisce una mazza,l’eroico antisabaudo da tasstiera,vai a raccogliere ciooria..Con profondo diprezzo Ernesto Gallerano.Un saluto affettuoso alla cara signora Maria che ha la forza di cercare il dialogo con un energumeno arrogante che vorrebbe questo spazio tutto per sé e le sue boiate.

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