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Ricordare i "martiri del Sud"? Il Risorgimento divide ancora

Un altro giorno della memoria. Dedicato però ai «martiri del Meridione». È questa la proposta presentata dal Movimento 5 Stelle in diverse regioni del Sud Italia: Abruzzo, Campania, Basilicata, Molise e Puglia. E poi è anche approdata al Senato, dove il senatore M5S Sergio Puglia è intervenuto affermando che: «Il tempo è maturo per fare una riflessione e analizzare cosa accadde alle popolazioni civili meridionali e quanto ancora ci costa nel presente. Nei testi scolastici si fa appena un accenno. Chiediamo la verità».
di Matteo Sacchi da   del 11/03/2017

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Ma esattamente di cosa si tratta? La data proposta è quella del 13 febbraio. Ovvero quella della fine dell’assedio di Gaeta da parte delle truppe piemontesi nel lontano 1861. Quel giorno la roccaforte borbonica, stretta ormai da terra e dal mare, si arrese dopo 102 giorni (e 75 di bombardamento consecutivo, il fuoco non si arrestò nemmeno mentre veniva trattata la resa). Dopo quel 13 febbraio però non cessò la resistenza al nuovo Stato unitario, soprattutto nelle campagne. Tutti coloro che continuarono a opporsi alle truppe del nuovo esercito italiano vennero semplicemente trattati dal governo di Torino come briganti. I briganti però avrebbero classificato se stessi come patrioti, sebbene nel movimento spesso citato dalla manualistica come «Grande brigantaggio» fossero confluiti anche briganti veri e propri e contadini poveri ben poco politicizzati. Il dibattito sul tema resistenza/banditismo dura tra gli storici ormai da decenni. Ed è un dibattito rovente. È un fatto che la repressione venne portata avanti con metodi militarmente durissimi (si arrivò ad impiegare più di 105mila soldati) e si arrivò ad approvare una legge specifica, la legge Pica, che de facto abrogava le garanzie dello statuto albertino.Ma è altrettanto un fatto che la reazione anti unitaria si trasformò in una guerriglia senza quartiere, in cui gli inviati governativi e i militari venivano uccisi nelle maniere più atroci.
Ora l’arrivo della proposta di un giorno della memoria riaccende in pieno il dibattito.
Ne abbiamo parlato con il giornalista Pino Aprile, che con alcuni dei suoi libri (come Terroni e Carnefici, entrambi editi da Piemme) ha contribuito a far partire il dibattito.
«È una proposta giusta. Era ora. Cosa è successo durante l’annessione? È successo che un esercito è penetrato in un Paese amico senza nemmeno una dichiarazione di guerra, rubando, stuprando e ammazzando. Per carità, in quegli anni è successo anche altrove… Le unificazioni nazionali hanno prodotto sempre massacri. Solo che noi italiani non ce lo siamo mai detti. Si fa ancora finta che l’annessione del Sud sia stata una parata fiorita attorno a Garibaldi, è stato un genocidio. Uno Stato ricco e prospero è stato spogliato delle sue ricchezze e saccheggiato. Bisogna avere il coraggio di dirlo e un giorno della memoria può essere un buon modo per farlo. Un giorno per piangere le vittime e cercare di unire quello che è ancora un Paese diviso. Ed è un Paese diviso perché una metà è stata brutalmente invasa e saccheggiata e non lo si vuole riconoscere. In altre nazioni i conti con la storia si fanno, la Francia con la Vandea i conti li fa eccome».
Di parere diametralmente opposto lo storico del pensiero politico Dino Cofrancesco: «Cui prodest? Già siamo un Paese disunito e in Europa ci trattano come servi della gleba. Che senso può avere una celebrazione che aumenti le divisioni? Poi mettiamo le cose in chiaro su questo nostalgismo borbonico che sta prendendo piede negli ultimi anni. Rosario Romeo, che è stato il più grande storico della seconda metà del Novecento, diceva che il protezionismo della sinistra storica aveva danneggiato il Sud, ma che senza l’unità il Sud non sarebbe mai diventato Europa, sarebbe rimasto una specie di Libia peninsulare. E Romeo era di Giarre, non di Busto Arsizio. Come del resto erano cultori del risorgimento Adolfo Omodeo (palermitano) o Gioacchino Volpe (abruzzese). Ma non solo loro, tutti gli intellettuali del Sud già in pieno risorgimento erano favorevoli all’unità e allo Stato forte. È questo che i neoborbonici sembrano dimenticare». Ma le violenze dell’esercito piemontese/italiano? «Il generale Cialdini era quel che era, ma non dimentichiamoci le teste dei bersaglieri mozzate e issate sulle picche. Le violenze ci sono state da entrambe le parti, non ci sono stati dei martiri. Delle vittime invece ovviamente sì. E di certo non userei il termine genocidio. Semmai c’è stata dopo un’emigrazione di massa dal Meridione, ma dovuta all’arretratezza economica del Sud, non all’unificazione. L’unificazione l’ha resa possibile modernizzando».
E se il dibattito è così forte tra storici, forse per le celebrazioni è presto, a meno di non volere una delle solite celebrazioni italiane: quelle che dividono.

68 Commenti

  1. Il dibattito tra i vari intellettuali,storici ed uomini di cultura sulle vicende risorgimentali che portarono all’inavione-annessione del Regno del Sud al Regno di Sardegna dovrebbe essere continuo e mantenere sull’onda dell’onestà intellettuale una solida base di obiettività storica ed una profonda ed assoluta etica umana e professionale.Tutto ciò per la ricerca della cosiddetta verità storica che non venga scritta,come si sa, solo dai vincitori ma che tenga in serio e debito conto le argomentazioni serie ed obiettive anche degli intellettuali della controparte.Non ci dimentichiamo di grande intellettuale-storico del Sud Carlo Alianiello e neanche dimentichiamoci delle parole,grandi e dure come macigni,del grande Antonio Gramsci che definì l’aggressione piemontese del Sud Italia un attacco feroce,vile e barbaro.Non affermo tutto quanto detto solo per un inutile e sterile revisionismo storico, fine a se stesso, ma per onorare sia la Verità storica sia le tante vittime, i tanti martiri e caduti che ci furoni nelle popolazioni del sud in quei tristissimi giorni.

  2. Da quando in qua il “favoliere” Carlo Alianello sarebbe un grande intellettuale? E da quando in qua Gramsci sarebbe uno storico?
    Forse faceva meglio a occuparsi dei massacri di Stalin: mi risulta invece che andasse in Russia a farsi curare nelle cliniche della nomenklatura. Quado poi fu ricoverato dai fascisti in una clinica di lusso in Italia, si guardò bene
    Si premuri di dirci quale sarebbe la solida base di obiettività storica che si dovrebbe seguire nello studio del Risorgimento: non stia sul generico, entri nei dettagli. Lei che dice di “onorare” la verità storica, potrà raccontarci per esteso come andarono le cose…

  3. L’articolo di Gramsci che viene sempre, a sproposito e in genere di terza mano, citato comparve sul n. 42 dell’edizione piemontese del quotidiano “L’Avanti!” il giorno 18 febbraio 1920, con il titolo “Il lanzo ubriaco”. Nell’articolo, nel quale si avverte nettamente l’influenza del Lenin di “Stato e rivoluzione”, Gramsci respingeva ogni possibilità di convergenza tra gli interessi della classe degli operai e dei contadini poveri e quelli delle altre classi, e delineava in tono fortemente polemico, coerentemente con il fine proprio del suo partito di organizzare quella classe in “classe dominante”, il processo di costruzione dello stato unitario, strumento dell’oppressione borghese sul proletariato. Il brano che viene di solito citato con varie omissioni, per mutarne il significato, è il seguente: “lo Stato borghese italiano si è formato per la spinta di nuclei capitalistici dell’Italia settentrionale che volevano unificare il sistema dei rapporti di proprietà e di scambio del mercato nazionale suddiviso in una molteplicità di staterelli regionali e provinciali. Fino all’avvento della Sinistra al potere, lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, e le isole, crocifiggendo, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di «briganti»”.
    Gramsci formulerà poi alcune riflessioni sul Risorgimento nei suoi “Quaderni del carcere”: condivisibili o no, ma che non vanno confuse con gli scritti di carattere strettamente polemico e militante degli anni precedenti.

  4. Signor Socrate dov’è? A che punto siamo con il Trattato Epistemologico di Alta Cucina Italica?
    Certo che se “una storica” riassume così i gravi problemi di salute e gli ultimi penosissimi anni di vita di Antonio Gramsci, personaggio che può anche non esserci simpatico, allora è decisamente più istruttivo, salutare e culturalmente appagante leggere i fumetti di Carl Barks e Don Rosa, opere storicamente molto più attendibili rispetto a certi commenti/articoli/libri di certi “storici”.
    Di questo passo certi “storici” grandi esperti “anche” di storia russa potrebbero anche raccontarci che Lev Davidovic Landau è stato assassinato dal KGB e che Mikhail Nekhem’evich Tal godeva di una salute di ferro!

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