Home Ultime notizie Preside a Vienna: “non parlare dell’Assedio del 1683 per non offendere turchi”

Preside a Vienna: “non parlare dell’Assedio del 1683 per non offendere turchi”

Ultimamente nella capitale austriaca un piccolo caso di una scuola pubblica ha suscitato scalpore e animato un dibattito vivace, per quanto non troppo ampio, sui network sociali e su internet. Il direttore della scuola ha proibito ai propri insegnanti di storia di trattare l’argomento dell’assedio di Vienna del 1529 e della battaglia di Vienna del 1683 entrambi aventi fra i protagonisti l’esercito ottomano ed entrambi risoltisi con la decisiva vittoria delle forze austriache e cristiane. Tale decisione è stata presa onde evitare che gli scolari di origine turca possano sentirsi offesi nell’apprendere di una sconfitta dei loro avi.

di di Nicola Seu dall’Opinione del 27 giugno 2013 

Il rispetto verso le minoranze e la convivenza multiculturale sono le motivazioni che hanno spinto a questo occultamento di due eventi centrali per la storia austriaca ed europea. Questo episodio si inserisce in una serie di avvenimenti che interessano il paese intero. Negli ultimi mesi e anni in Austria una donna è stata sanzionata perché ha mosso riserve sulla condotta sessuale del profeta Maometto, un giocattolo è stato ritirato dal commercio poiché nelle sue forme si poteva notare una somiglianza con un’importante moschea, e al nome di un tipico dolce austriaco è stata apportata una modifica eliminando la parola “Mohr”, in tedesco Moro, e altri ancora. Casi simili si sono registrati anche al di fuori dei confini austriaci, il più eclatante è quello di una scuola scozzese dove, sempre per evitare di offendere i musulmani, si è vietato di parlare dell’Olocausto. Tutto ciò non è ovviamente casuale, ma nasce da una non ancora pienamente definita corrente di pensiero, che trova ampio seguito sopratutto nella sinistra europea, secondo cui l’approccio con le sempre più numerose comunità islamiche presenti nel vecchio continente debba consistere da una parte nell’assecondare le loro richieste in maniera automatica o quasi, e dall’altra nell’evitare che si creino dibattiti e discussioni che possano sviscerare l’Islam nei suoi molteplici aspetti onde non stuzzicare la loro suscettibilità, in altre parole, evitare la critica.

Questa politica, che potrebbe definirsi quella della carota senza il bastone, prevede piccole rinunce e accorgimenti al nostro modo di vivere e di pensare in cambio di una convivenza pacifica e indolore con la religione islamica e i suoi seguaci. Quanto sta avvenendo a Vienna, e in altre città europee mostra, al contrario, che le rinunce non sono poi tanto piccole, e che tale metodo scivola inesorabilmente in episodi gravissimi, per quanto circoscritti, in cui si è disposti a nascondere le proprie radici, idee, e addirittura i principali fatti storici che ci hanno fatto arrivare dove siamo. Rinunciare allo spirito critico, o addirittura punirlo come è capitato alla donna austriaca, sta diventando con sempre maggior frequenza la politica accettata e accettabile da una parte, non certo da tutta, l’opinione pubblica europea. Il silenzio verso gli aspetti maggiormente in contraddizione con i nostri valori o con i diritti umani diventa pratica comune e il giudizio, o anche l’accusa, viene percepita come arroganza, ignoranza, e spesso presunzione.

Il politicamente corretto, il quale si applica con particolare rigore verso la religione islamica, ci impedisce di avere una rapporto sereno con essa, di poterla guardare con trasparenza, e liberi dall’accusa di essere tacciati di razzismo, d’insensibilità, e di mancanza di rispetto. É evidente che il razzismo, la presunzione e gli altri deprecabili atteggiamenti umani di cui sopra esistono, e sono forse anche sempre più comuni nel vecchio continente, ma desta preoccupazione la facilità con cui essi oggi siano associabili a una sana, costruttiva critica dell’Islam e dei valori che rappresenta, o anche semplicemente a una sua analisi. Verrebbe da chiedersi il perché dello sviluppo di un siffatto pensiero per provare a darsi una spiegazione.

La componente del complesso di colpa non è certo sottovalutabile, in quanto, a torto o a ragione, è diffusa l’opinione che l’Europa sia in debito con quei paesi per averli colonizzati a cavallo fra il XIX e il XX secolo con tutte le conseguenze che ciò ha portato. Non trascurabile, infine, è la paura e la mancanza di strategie per affrontare un mondo che sta esplodendo demograficamente, agguerrito, combattivo, pronto a immolarsi per le cause in cui crede, forte di una fede che spaventa e che oramai, nel mondo occidentale, è dimenticata e difficilmente comprensibile. È illusorio, tuttavia, credere che la carota sia la giusta via per pavimentare la futura convivenza, e non è irrazionale immaginare che quando i rapporti di forza fra le due entità saranno mutati, questa politica a cui assistiamo oggi verrà finalmente considerata non per quello che vorrebbe essere (rispetto, diritti, uguaglianza), ma per quello che è, e cioè debolezza e stanchezza di un occidente che non riesce a trovare se stesso e a ricordare le proprie origini.

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