Home Risorgimento Pontelandolfo: una lettera inedita del 1861 smentisce il "genocidio"

Pontelandolfo: una lettera inedita del 1861 smentisce il "genocidio"

Una lettera datata 3 settembre 1861 getta nuova luce sui tragici fatti di Pontelandolfo, Campolattaro e Casalduni. L’autrice della lettera è D. Carolina Lombardi, originaria di Pontelandolfo, sposata con don Salvadore Tedeschi, speziale in Compolattaro. La missiva è indirizzata a don Angelo Lombardi, parroco di Sant’Agostino in Roma, che della scrivente era lo zio. L’importante documento è stato pubblicato sulla rivista Frammenti del Centro culturale per lo studio della civiltà contadina nel Sannio campolattaro. Annibale Laudato, che ha rintracciato la lettera nel carteggio del sacerdote Benedetto Iadanza, illustra con rigore il documento nel saggio “Ragguaglio dell’accaduta triste disgrazia di Pontelandolfo e Campolattare” dell’agosto 1861. Giova fare un’osservazione: le ricerche e gli scritti più seri e documentati sui tragici avvenimenti di Pontelandolfo, Casalduni e Campolattaro sono di autori locali che hanno avuto la pazienza dello studio e della filologia, mentre altre firme hanno
espresso giudizi più che definitivi senza avere la necessaria documentazione.
di Giancristiano Desiderio da  dell’8 agosto 2016

Genocidio o no? Leggi le posizioni contrapposte sulla riunificazione d’Italia e la guerra del Brigantaggio su Storia in Rete n. 128

La famiglia Tedeschi di Campolattaro faceva parte dei notabili e nel cambiamento politico in atto non ebbe timore a ritrovarsi dalla parte dei Savoia. Nell’agosto del 1861 Luigi Tedeschi, cognato di Carolina Lombardi, era sindaco di Campolattaro e il paese nei giorni 8, 9 e 10 fu saccheggiato dai reazionari e la moglie di Salvadore Tedeschi fuggì con la famiglia per “campar la vita”. I fatti di Pontelandolfo, che in modo vivo e angosciato descrive e riporta allo zio prete, gli furono riferiti dai genitori, dai parenti e dagli amici che in Pontelandolfo scamparono prima ai briganti e poi ai piemontesi.
Come giustamente dice Laudato, la lettera è meritevole di attenzione e memoria storica perché riferisce i fatti in modo tendenzialmente oggettivo e così illumina gli avvenimenti. Anzi, l’intenzione di Carolina Lombardi – come dichiarava lei stessa allo zio prete in principio di lettera – era proprio quello di informare – “vi do ragguaglio” – sui drammatici fatti sanniti. La scrivente, infatti, si sofferma, sia pur rapidamente, su quanto avvenuto a Colle, Castelpagano, San Marco dei Cavoti, San Giorgio la Molara che “da più tempo stanno nell’allarme per i briganti che non hanno altro iscopo che saccheggiare e incendiare i palazzi e sostanze de’ proprietari collo scopo di distruggere il ceto dei galantuomini”. La signora Lombardi-Tedeschi, essa stessa vittima dei saccheggi, non parla per sentito dire. Quando passa a descrivere la situazione di Pontelandolfo dice che la “gente bassa” da tempo si preparava alla rivolta e le autorità locali non potendo nulla opporre furono costrette “a scamparsi dal cimento della vita” e, insomma, si misero in salvo. Così il paese fu lasciato in balia della “gente bassa”, i briganti calarono dalle montagne, il paese fu messo a sacco, le case dei galantuomini assaltate e i galantuomini rimasti furono pugnalati come “zio Michelangelo Perugini chiavettella”. Gli assalti sono condotti a Pontelandolfo, a Casalduni e anche a Campolattaro e qui la rivolta entra mani e piedi nella casa di Carolina Lombardi: “e qui saccheggiarono la nostra abitazione, il Palazzo di d’Agostino, e la casa del Cancelliere sicché scassinate porte, balconi, finestre, mobiglia, ci recarono danno immenso, rubandosi anche le cose minute, e brugiando libri e mobiglie in mezzo alla piazza”. Cosa rimane? Nulla: “Siamo rimasti denudati di tutto”.
Leggi il dibattito fra Pino Aprile e Storia in Rete sul “sangue del sud” sul numero 129-130

Il giorno 11 agosto si preparava una nuova rivolta, quando passarono 50 carabinieri che furono assaliti “da qui briganti di Pontelandolfo e Casalduni con tutta la popolazione sfrenata”. Il loro destino fu segnato da subito: “Quei infelici cercando di fuggire furono disarmati in Casalduni, dove crudelmente li fucilarono tutti”. Ancora il giorno appresso i briganti sono baldanzosi e padroni della scena: Pontelandolfo è un “centro di reazione”, si inneggia a Francesco II e lo si vuole pronto alla riscossa. Ma dal 13 agosto la scena muta perché sopraggiunge “una truppa piemontese del Luogo Tenente Gialdini” che ha alla meglio sulle bande dei briganti. Pontelandolfo è nelle mani dei piemontesi che lo mettono a “sacco e fuoco” e “nel quale conflitto perirono circa 13 persone”. Pontelandolfo brucia: “la sola casa di Perugini sta intatta, così quella di Gasdia, di Boccaccino, di Cerracchio e qualche stanza di altri come la sola casa di papà il quale fu costretto a fuggire tra le fucilate”. E ancora: “Dionisio, Giovannino con mia cognata Filomena Biondi fuggirono in Napoli, dove ancora sono. Giovannino ha perduta la farmacia brugiata tutta, che era una cosa di Città e nella casa paterna esistono le sole mura, essendo stata saccheggiata dà briganti”.
Storia in Rete ha parlato di brigantaggio e della questione di Pontelandolfo e Casalduni nel numero 76. CLICCA QUI!

Pontelandolfo è riconquistata ma al prezzo della distruzione. Per le bande dei briganti – questo il senso storico dei tragici fatti di Pontelandolfo, come evidenziano anche M. D’Agostino e G. Vergineo nel libro Il Sannio brigante nel dramma dell’unità italiana – è una sconfitta decisiva: l’inizio della fine. “Ora pare che le Truppe Regie danno gli assali ai ladri nei monti e nei boschi – conclude Carolina Lombardi – e speriamo che presto si metta il buon ordine di cose”.

52 Commenti

  1. Vede, Emanuele, qui ci sono da una parte alcuni poveracci, come me e, temo, come lei, convinti che per fare ricerca storica si debba risalire alle fonti, individuare i documenti, contestualizzarli, vagliarne l’attendibilità, insomma tutte quelle operazioni necessarie per un serio lavoro storiografico, compresa l’analisi della bibliografia sull’argomento. Dall’altra parte vi sono alcuni individui dotati di poteri paranormali (ricorda Mefisto, l’avversario di Tex Willer ?) che conoscono “i fatti” per via diretta e non hanno bisogno di altro.
    Quanto a Bronte, sulla cui vicenda andrebbe fatto un discorso più ampio partendo dalle dinamiche interne alla società del paese, è vero che il processo fu sommario, ma comunque due – Luigi Saitta e Gennaro Minissale – dei sette imputati vennero assolti, segno che la repressione non fu così cieca come la si è descritta.
    Rimane infine sospesa la questione dalla quale si era partiti. A Pontelandolfo fu compiuto un eccidio: ma il numero delle vittime indicato da parte neoborbonica è falso.
    In altri paesi, meno noti purtroppo, il numero delle vittime civili della repressione fu molto più alto.

  2. Quando scrivevo di vie e piazze ovviamente non mi riferivo a quelle dedicate ai “malvagi” Cialdini e Bixio,ma ai tanti personaggi locali che appoggiarono Garibaldi al Sud e ne determinarono il successo. Altrimenti da solo per quanto appoggiato da Satana non avrebbe potuto fare nulla…E’ ovvio che chi intende mistificare cerca di falsare il pensiero altrui, ripetendo sempre la solita litania penosa secondo cui in 150 anni ci raccontano sempre la stessa storia,come se in 150 anni al potere ci fossero state sempre le stesse persone e non fazioni e partiti molto diversi con una visione differente e spesso critica del processo risorgimentale. Sono idiozie che si possono spacciare solo in pessimi bar a beneficio di sprovveduti e faziosi. Per non parlare degli ultimi 15-20 anni in cui il pattume antiunitario ha imperversato in tutte le salse.Augusto, gi individui dotati di poteri paranormali hanno sempre avuto più successo di chi si sforza di analizzare i fatti serenamente senza strumentali demonizzazioni di sorta.

  3. Fatti di Bronte, non eccidio né tantomeno massacro. Premetto subito che condannare a morte qualcuno non è mai vanto per nessuno. Non posso che essere d’accordo, documentazione alla mano, con Emanuele, Ernesto ed Augusto sulla mitologia anti-bixiana legata alla legittima condanna a morte degli assassini di Bronte. La sentenza per l’eccidio antigaribaldino arriva intorno alle ore 20.00 del 9 agosto 1860. La “Commissione Mista Eccezionale di Guerra” è presieduta dal Maggiore Francesco De Felice (Catania, 1821-1893) [mio trisavolo, padre dei miei due bisnonni (tra loro cugini) (Vittorio De Felice e Ugo De Felice)]. Patriota risorgimentale mazziniano, provveditore di studi ad Enna, Francesco De Felice si fece la prigione, i quanto unitario garibaldino, nelle carceri borboniche, che, secondo le memorie di suo figlio avvocato Vittorio (mio bisnonno) non erano proprio un Grand Hotel. Partecipò all’insurrezione di Catania del 1848 e, nel 1860, prima che Giuseppe Garibaldi sbarcasse a Marsala, fece sollevare la città di Lentini contro i Borbone. Per la cronaca, il nipote del Maggiore Francesco De Felice (figlio di suo figlio avvocato Ugo De Felice), ossia il 19enne Tenente Francesco De Felice, spirerà al fronte di guerra il 25 dicembre 1917, versando il suo sangue per l’Italia unita. Che fu anche quella di Vittorio Veneto e del 28 ottobre 1922, checché ne dicano gli storiografi propagandisti antifascisti dei nostri tempi così “politicamente corretti” che pontificano 365 giorni all’anno dai “giornaloni” e dai media di regime. Ma torniamo ai fatti di Bronte.
    Gli altri componenti della “Commissione Mista Eccezionale di Guerra” sono, in qualità di giudici, Biagio Cormagi, Alfio Castro, Ignazio Cragnotto e Michelangelo Guarnaccia come avvocato fiscale che sosteneva l’accusa; ne fa parte anche Nicolò Boscarini che, in qualità di segretario, rinvia ad altro approfondimento processuale il dottor Luigi Saitta e Carmelo Minissale (non Gennaro come erroneamente scrive sopra Augusto) e condanna “alla pena di morte da eseguirsi colla fucilazione” Nicolò Lombardo, “di anni 48 civile”, Nunzio Samperi Spiridione “di anni 27 murifabbro”, Nunzio Longhitano Longi “di anni 40 villico”, Nunzio Spitaleri Nunno “di anni 40 villico”, Nunzio Ciraldo Fraiunco “di anni 50 villico” riconosciuti colpevoli, come da accusa “di guerra civile, devastazione, strage, saccheggi, incendii, conseguiti omicidi”. L’indomani 10 agosto 1860, di buon mattino verrà eseguita la condanna nella zona del Piano di San Vito posto nella parte alta di Bronte di fronte l’omonimo convento. I fatti di Bronte avranno un seguito processuale che avrà termine presso la Corte di Assise di Catania il 12 agosto 1863 con 37 ergastoli ed alcune assoluzioni. Come scrive Luigi Gabriele Frudà, nel suo saggio intitolato “Garibaldi in Sicilia” (Gangemi Editore, Roma, 2014, p. 348): “Lo stesso giorno 10 agosto Bixio comunicherà al Governatore di Catania l’avvenuta esecuzione e lo ammonirà con la sua ruvida schiettezza: “Signor Governatore, dichiaro a Lei che, dato l’esempio di Bronte, io non punirò nessun altro fuorché i capi delle amministrazioni, i Delegati, i Comandanti della Guardia Nazionale che non sieno (sic!) al loro posto”. (…) Il commento di Bixio uomo su quelle giornate sta tutto nell’amarezza racchiusa in queste poche parole contenute all’interno dell’informativa al Governatore di Catania: “Triste missione per noi venuti a combattere per la libertà””. Detto ciò, lascio ai prossimi commentatori il prosieguo del dibattito.

  4. Ernesto non ha compreso il mio pensiero, diciamo che non mi sono spiegato bene… Io non mistifico nulla faccio solo ricerche e mi sforzo di essere obiettivo. Senza “il pattume antiunitario” come lo definisce lei non si sarebbe mai parlato di Bronte e non si sarebbe mai saputo che l’avvocato Lombardo era innocente e che Nunzio Ciraldo Fraiunco non era capace d’intendere e di volere. I “poteri paranormali” che mi attribuisce non esistono è solo che ho smesso da molto tempo di credere ai ridicoli e puerili raccontini utili solo ad oblubinare le menti dei più.
    Emanuele “una narrazione favolistica, completamente scollata dalla realtà dei fatti.” ?
    Bene cerchiamo di essere più realisti e concreti: Nel 1860 in Sicilia quando i contadini affamati, incoraggiati dalle notizie dello sbarco dei mille e dalle false promesse di Garibaldi, incominciarono ad occupare le terre, la loro ribellione fu sanguinosamente repressa proprio dagli stessi garibaldini. Bronte, feudo dell’ammiraglio Nelson e dei suoi discendenti Bridport non fece eccezione anzi per fare bella figura con gli “amici” inglesi Garibaldi mandò il più energico e il meno scrupoloso dei suoi scagnozzi. Il resto lo conoscete bene anche voi.

  5. Ultimo, modesto contributo alla discussione in corso: che, ripeto agli appassionati di benaltrismo, verte sul numero delle vittime della spedizione di Negri a Pontelandolfo, non sul giudizio su di essa: “La Civiltà Cattolica”, vol. XI, serie, IV, Roma 1861, p. 618, nel dar notizia dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni indica in 164 il numero dei paesani uccisi dai bersaglieri. Da tenere presente che il periodico della Compagnia di Gesù, impegnato in una violenta campagna contro la nascita del nuovo stato, fornisce costantemente cifre esagerate e contraddittorie su questi argomenti; nella stessa pagina aveva indicato in una trentina di persone più qualche prete gli abitanti rimasti in Pontelandolfo dopo il massacro, che C.C. ovviamente giustificava, del distaccamento Bracci.
    Poichè pare che taluni commentatori abbiano scarsa dimestichezza con la via delle biblioteche, cito un testo che è disponibile su google.books.
    Uno dei due superstiti del reparto di Bracci, il sergente Ranieri Sacchi, stimava in una decina il numero dei civili uccisi nella giornata del 14 agosto: “La Perseveranza”, n. 649, 6 settembre 1861. E, ovviamente, anche questa testimonianza, è da valutare criticamente.

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