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Quel negazionista delle foibe che vuole riscrivere la storia

Un affresco affascinante del Novecento sui confini orientali dell’Italia, in cui episodi storici, vicende personali e fonti di parte sono gli ingredienti abilmente mescolati per un minestrone di sentimento anti italiano. Non ci sorprende più di tanto Boris Pahor né il suo ultimo libro Figlio di nessuno (con Cristina Battocletti, Rizzoli), un’autobiografia a tratti romanzata e a tratti forzosamente piegata proprio a quel sentimento che gli fa dipingere quasi con orrore un secolo d’Italia a Trieste.
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di Riccardo Pelliccetti, da Il Giornale del 09 marzo 2012
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A partire da quel 4 novembre del 1918, giorno del ricongiungimento della città giuliana alla madrepatria, che l’autore, sloveno di Trieste, legge come una condanna per il suo popolo, tanto da tessere gli elogi di tutti coloro che combatterono nelle file dell’esercito austriaco contro l’Italia.
Nazionalismo esasperato. Questo sarà il leit motiv di tutte le pagine, anche le più drammatiche, che lo vedono detenuto come prigioniero politico nei campi di concentramento nazisti in Germania. Anche se è lui stesso a ricordare che, grazie alla conoscenza delle lingue, diventò un interprete e non patì la fame e i maltrattamenti riservati agli altri internati. D’altronde dopo l’8 settembre ’43 militò nel Fronte di liberazione nazionale jugoslavo ed entrò in contatto con diversi esponenti comunisti d’oltreconfine.

Ma è particolarmente interessante la sua descrizione di Trieste «liberata il 1° maggio 1945 dall’esercito jugoslavo». La città, scrive Pahor, ha sentimenti opposti: «Noi sloveni eravamo felici, gli italiani erano divisi». Peccato che l’autore non avesse vissuto quei giorni nel capoluogo giuliano, ma ben lontano dalla città: in un sanatorio a pochi chilometri da Parigi.
Nel 1954, dopo nove anni di occupazione militare alleata, Trieste viene restituita all’Italia e Pahor racconta con risentimento le manifestazioni di giubilo in città e quando nelle strade la gente canta «le ragazze di Trieste» si sente offeso, minacciato. Lui, comunista non allineato, che ha abbracciato con ardore le mire di Tito, prima fra tutte fare di Trieste la settima repubblica jugoslava. Una ferita che non si rimargina, tanto da spingerlo a diventare un negazionista sulle foibe. E nell’ultimo capitolo del libro, assunto a testamento spirituale, Pahor si trasforma in un ultrà nazionalista. «Qualcosa ancora non quadra – scrive – se il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione del Giorno del Ricordo del 2007, ha lamentato che la Conferenza di pace del 1947 ha commesso un’ingiustizia a rendere questi territori alla Jugoslavia. Ha dimenticato, il capo dello Stato, che in questi territori vivevano soltanto sloveni e che quindi la Conferenza di pace non ha fatto altro che ridare alla Jugoslavia, oggi Slovenia, i territori in cui hanno sempre abitato?». Vorremmo rispondere che è male informato, ma sappiamo invece che mente sapendo di mentire. Da dove sono scappati allora 350mila profughi? Nelle città costiere, da Fiume a Pola, da Zara a Capodistria, gli italiani erano addirittura maggioranza, ci sono gli atti ufficiali (che l’autore si guarda bene dal citare). E poi, dare del bugiardo a un capo dello Stato, per di più ex comunista…

Ma nella sua corsa a stravolgere i fatti Pahor non risparmia neppure Ciampi. «La volontà di contare tra le vittime delle foibe tutti i prelevati nel 1945 e addirittura di aumentarne il numero, come fece il presidente Ciampi nel 2002, che definì gli infoibamenti un Olocausto mi sembra un modo non accettabile di ricostruire la storia. In più, legare questa tragedia alla sorte degli esuli istriani non serve a fare chiarezza sui fatti». E poi si lancia a sostenere le tesi negazioniste. «Si cerca di tenere sempre alto il ricordo delle foibe, la tragica e disgraziata conclusione della Seconda guerra mondiale a Trieste, quando fu prelevato un numero non ancora certo di persone dall’esercito jugoslavo che aveva liberato Trieste nella primavera del ’45 (…). Alcuni sostengono si tratti di cinquemila prigionieri, altri quattromila, mentre gli ultimi dati storicamente accertati parlano di tremilacinquecento persone, di cui solo una parte fu gettata nelle caverne carsiche». Secondo Pahor, che abbraccia le tesi della storica negazionista Alessandra Kersevan, furono poche centinaia. «Poiché molti dei fermati, dopo un interrogatorio che aveva accertato la loro estraneità alle accuse, furono rilasciati». Anche qui viene allo scoperto il furbetto, che circoscrive la tragedia delle foibe e delle stragi a Trieste. Nel 1945, solo nel capoluogo giuliano e a Gorizia, i desaparecidos sono 5.700 (la lista completa dei nomi è contenuta nel volume Genocidio, curato dallo studioso Marco Pirina). Ma i massacri di italiani cominciano già dopo l’8 settembre 1943, quando con lo sbandamento del nostro esercito, i partigiani di Tito conquistano gran parte degli ex territori italiani in Istria e Dalmazia: le vittime sono tra 10 e 15mila.
L’autore poi cita il libro Borovnica ’45, in cui il campo di concentramento vicino a Lubiana sembra l’ufficio di un tribunale in cui i deportati, «se venivano riconosciuti incolpevoli erano lasciati in libertà».

La verità è ben diversa, come dimostra un rapporto del 5 ottobre 1945 dei Servizi Speciali del Ministero della Marina italiana, che raccoglie le testimonianze dei sopravvissuti. Il vitto era composto da due mestoli di acqua calda con bucce di patata; bastonate, torture, fucilazioni per motivi futili sono la normalità quotidiana. «Il 15 maggio 1945, due italiani lombardi, per essersi allontanati circa 200 metri dal campo, furono richiamati e subito martorizzati col seguente sistema: presi i due e avvicinati gomito a gomito, li legarono con un filo di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucato a mezzo di un filo arroventato. Dopo averli in questo senso assicurati, li caricavano di calci e pugni, fino a che i due si strapparono le orecchie. Come se ciò non bastasse a pagare il fallo, furono adoperati quali bersagli per allenare il comandante e le drugarize (partigiane titine ndr), colpirono i due con molti colpi di pistola, lasciandoli freddi sul posto…»: è una delle testimonianze sulle violenze nel lager. Su tremila internati, solo un migliaio sono tornati in Italia.

Tutto questo non incrina le certezze del nostro Pahor che, dopo aver espresso una sorta di ribrezzo per il Giorno del Ricordo, invita tutti a dare una ripassata alla storia, alla sua storia naturalmente. «Dimentichiamo, ricostruiamo una nuova vita comune, ma solo dopo aver spiegato come è andata la storia dal 1918 al 1945». In poche parole: i criminali siamo noi italiani.
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Inserito su www.storiainrete.com il 13 marzo 2012

37 Commenti

  1. 1) fuffa
    2) un fatto storico, appunto. non una balla.
    3)vabbè il cazzo
    4)sarei curioso di vederlo
    5)non riesco a seguire le tue pippe mentali
    6) mai detto che Tito era un santo, amico degli italiani. ma non era neanche un genocida. cosa c’entri con le foibe, se le foibe , come sostenete voi, sono un episodio riconducibile a pulizia etnica, la politica nei confronti delle minoranza etnica…. il nesso viene da sè. già il fatto di considerare una città latina o slava o germanica presuppone una forma-mentis fascista.

    7)bla

    sulla “morte” di Paul McCartney. ho visto i video, ho visto il teschio. tutto suggerisce che voi sosteniate questa tesi. se lo fate solo per sensazionalismo, a fortiori, dimostrate la vostra scarsa serietà.

    @Mattia. peccato che manchino le prove. nemmeno uno straccio. poi se mi consigli di leggere Oliva e Pupo, diciamo che andiamo bel oltre lo sfondamento della soglie del ridicolo, andiamo nel fantasy.
    la ragazza era fascista, aveva già 23 anni. sullo presunto stupro non c’è alcuna prova. e poi quanti stupri avranno perpetrato gli eserciti italiani ma anche americani, francesi, inglesi durante la seconda guerra mondiale. e dunque? criminalizziamo gli alleati per questo?

    “Considerando che all’epoca la tessera di fascista era praticamente obbligatoria (se non l’avevi non lavoravi), i partigiani jugoslavi potevano ammazzare praticamente ogni italiano “… com’è che questi 300.000 “esuli” non sono stati toccati? semplice sono stati solo colpiti i collaborazionisti fascisti.di tutte le nazionalità. nessun genocidio.

    • Caro Mattia, lo sapevo: dovevo nascondere meglio i volumi de La Spada di Shannara che mi hanno regalato e non sono mai riuscito a leggere. In compenso è passato anche il direttore e sento odore di napalm. Lafitte flambè.

  2. Caro Jean Lafitte (blogger comunista che si conferma, appunto, comunista nella forma mentis e quindi inabile al dibattito senza preconcetti): il tuo giudizio sul libro che ho scritto su McCartney mi conferma, ma non ce n’era gran bisogno, che parli con straordinaria facilità di cose che non capisci, non hai letto o lettu superficialmente e che tuttavia credi di sapere. Su McCartney il peccato è veniale, su Foibe, Tito e i suoi infami spalleggiatori e complici (di crimini, non di sole idee) il tuo peccato è decisamente più grave. Ma una preghiera: vai a peccare altrove. Qui, su questo sito, hai potuto (e con te molti altri in questi anni) parlare e dire la tua senza nessuna censura. Su altri siti (e giornali) a chi la pensa come noi invece non viene neanche in linea ipotetica offerta un’analoga ospitalità. Per cui torna ad esercitare altrove l’attività intellettuale preferita dai comunisti di ieri e di oggi: affermare “verità” assolute e inconfutabili, applicare la legge della “doppia morale”, dare del “fascista a destra e a manca” e dirsi tutto questo – come un mantra – con quelli che la pensano come te e senza ascoltare null’altro. Da un certo punto di vista il sistema funziona senza dubbio, come dimostra il riprodursi di certi cliché nei decenni…

    Ce n’è solo uno che trovo insopportabile e che qualifica chi lo sostiene: le uccisioni, gli assassinii di quanti sono ritenuti “fascisti” si spiegano, si giustificano o si liquidano, spesso e volentieri col semplice fatto che appunto si trattava di “fascisti”. Io non penso che nessun criminale titino o comunista nel 1945 e dopo meritasse la morte non perché certi delitti non fossero abbastanza gravi ma perché è la morte in se che non va mai giustificata. Inoltre, il disprezzo, chi resta in vita, lo sente bruciare di più. E magari alla fine si pente…

    Adieu

    Fabio Andriola

  3. “Caro Jean Lafitte (blogger comunista che si conferma, appunto, comunista nella forma mentis e quindi inabile al dibattito senza preconcetti)”

    ecco appunto. sconfitti sui fatti si passa all’attacco ad personam. e dopo l’attacco personale la censura. sul mio blog come su tanti altri come al mio siete liberi di commentare. certo , non potete pretendere di essere presi sul serio se mettete sullo stesso piano fascisti e comunisti, carnefici e vittime, genocidi e resistenti o addirittura invertite i fatti storici. nessuna doppia morale ma una morale unica in cui si riconoscono i meriti della Resistenza e le colpe dei carnefici nazifascisti. non si trattava di “fascisti” ma di fascisti senza virgolette ovvero di esseri disumani che predicavano e hanno praticato, contemporaneamente più genocidi (ebrei, zingari, polacchi, ma anche omosessuali, handicappati psichici e fisici, etc…). qui non si tratta di “meritare la morte” ma di rendere giustizia alle persone.

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