Home Stampa italiana 2 Oggi l’Italia ricorda la Grande Guerra. “Non morirono invano”

Oggi l’Italia ricorda la Grande Guerra. “Non morirono invano”

1915-2015: alle 4 del 24 maggio di cento anni fa due colpi di cannone a Forte Verena fecero entrare l’Italia in guerra: un milione e 300mila morti, centinaia di migliaia di feriti e mutilati. Il racconto di come mutò l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana attraverso le parole degli storici Mario Isnenghi e Gian Enrico Rusconi.

di Davide Turrini dal FattoQuotidiano del 24 maggio 2015 

Due colpi di cannone dal Forte Verena alle 4 del mattino del 24 maggio 1915 e l’Italia entrò in guerra. Un milione e 300mila morti, centinaia di migliaia di feriti e mutilati, fu il tragico risultato di una guerra di trincea iniziata cento anni fa proprio quella notte dall’imponente fortezza collocata sulla sommità di una montagna vicentina a ridosso del “confine” con l’Austria. Forte che, tra l’altro, dopo una spavalda settimana di fuoco a sorpresa contro il nemico venne pesantemente cannoneggiato dagli austriaci e nemmeno un mese dopo finì per essere praticamente fuori uso. Con un anno di ritardo rispetto alla scintilla di Sarajevo – l’uccisione dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo è del 28 giugno 1914 – e alla dichiarazione di guerra austriaca del luglio del 1914, l’Italia diventò parte attiva del conflitto mondiale dopo che nelle piazze e sui giornali del paese si era andato formando uno schieramento interventista che non fu solo una boutade di intellettuali dal pomposo ardore patriottico e dal grilletto facile. Fu invece una vera e propria “conversione” alla guerra: minoritaria sì, ma in grado di spostare le scelte governative nazionali dal neutralismo giolittiano perdurato nel 1914, alla repentina mutazione delle alleanze internazionali (dalla “Triplice” con Austria e Germania all’Intesa con Francia, Inghilterra e Russia), fino alla chiamata al fronte di una massa di contadini e operai.

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“In dieci mesi accade qualcosa che assomiglia ad un referendum. Nessun altro popolo europeo viene interpellato come quello italiano in modo così forte per andare in guerra”, spiega a ilfattoquotidiano.it il professor Mario Isnenghi che con Donzelli ha appena pubblicato Convertirsi alla guerra. “L’alleanza con Austria e Germania attuata fin dal 1882 non poteva durare vista l’anima risorgimentale del Paese. Bisognava districarsene. Le cose però si complicano perché i governanti erano essi stessi dei germanofili: i ministri di centrodestra Salandra, Sonnino e San Giuliano, per esempio. Il punto allora è: come mettere d’accordo il pragmatismo di governo con la mistica irredentista che sta invadendo le piazze?”.

In pochi mesi si forma un fronte interventista eterogeneo che comprende l’irredentismo di Cesare Battisti – deputato trentino socialista al parlamento austriaco -, il socialista massimalista Mussolini, Gabriele D’Annunzio, gli intellettuali e le firme della Voce, e che si scaglia contro il Parlamento e la figura neutralista del più volte primo ministro Giolitti costretto a dimettersi nel marzo del 1914. “E’ una convivenza che oscilla tra tanta e poca fatica a seconda dei singoli, ma che per tutti ha un valido minimo comune denominatore: fare la guerra, il resto si vedrà – continua Isnenghi – Oltretutto è praticamente il poeta Vate, a Quarto il 5 maggio 1915 nell’anniversario garibaldino, a dichiarare guerra al nemico austriaco. Nel cosiddetto maggio radioso in lui si fondono interventismo sopraffattorio eindipendentismo garibaldino da quarta guerra d’indipendenza”.

Il fronte neutralista, con le sue tre anime (liberaldemocratica, cattolica e socialista) non sarà comunque in grado di imporre la propria oggettiva forza parlamentare: “Perfino il premio Nobel per la pace del 1907, Ernesto Moneta, si dichiara per il conflitto. Solo tra le masse contadine possiamo parlare di un’idea pacifistaminima che però non riesce a trovare le parole per esprimere una coscienza”.

“Il punto cruciale è che il sentimento neutralista era maggioritario nel paese, ma era un atteggiamento più che altro riferito ad un generico ‘non c’entrare‘ con quello che avveniva oltre confine, non a qualcosa di ideologicamente pacifista come possiamo intenderlo oggi”, spiega il professor Gian Enrico Rusconi che ha pubblicato con il Mulino 1914: Attacco a Occidente. “C’era una parte attiva, aggressiva e minoritaria; e una passiva ma senza militanza pacifista perché comunque il mito risorgimentale di riguadagnare Trento e Trieste rimaneva vivo. Un sentimento che il fascismo farà lentamente suo dopo la guerra. Semmai è la figura di Giolitti, questo suo abbandonare la partita nel maggio 1915 pur avendo la forza di portare il Parlamento su posizioni neutrali, a far discutere”.

Del grande sacrificio di centinaia di migliaia di soldati durante la prima guerra mondiale si è ricominciato a parlare (“l’inutile strage”) molto tempo dopo la seconda guerra mondiale: “Più che di oblio, parlerei di una forma di sacralizzazione della morte in guerra. Non è una battuta, ma un paradosso: l’enormità è stata socializzata – conclude Rusconi – Quando si va in questi enormi sacrari si prova un senso di intimorimento e come si fa a dire siete morti per niente? E poi c’è la vittoria, contestata fin che si vuole, ma oggettivamente avvenuta. Ai nostri giorni penso e mi auguro si sia sufficientemente maturi per capire le ragioni degli altri: certo la prima guerra mondiale fu una tragedia pazzesca, un sacrificio brutale, ma ci sono migliaia di ufficiali che hanno combattuto e sono morti per un’idea importante”.

5 Commenti

  1. A me risulta che i morti italiani della Grande Guerra siano 680.000, che, assommati ai civili per cause di guerra, ammonta a 750.000: dietro a Russia, Germania, Regno Unito, Francia e Austria, che ne ebbero di più. E’ vero che tra gli storici ancora non vi è pieno accordo sulle cifre esatte, ma i dati ufficiali sono questi, non vedo perché gonfiarli.
    Il forte Verena, dopo un esordio felice in cui riuscì a far alzare bandiera bianca agli austriaci, fu sopraffatto dalla loro potente e ben nota artiglieria rispetto a cui rivelò, purtroppo, anche deficienze di costruzione (dovute presumibilmente ai magri bilanci della Difesa).
    Per quanto riguarda il fronte dell’interventismo, il massimalista socialista Mussolini venne espulso dal partito il 25 novembre del 1914 proprio perchè non era più un massimalista socialista (solo gli imbecilli non cambiano mai idea).
    Riguardo all’ampiezza di questo fronte, basta ciò che disse S.M. Vittorio Emanuele III a Cesare Battisti, nell’incontro che ebbero la mattina del 23 maggio 1915: “la Guerra è stato il popolo a volerla.”
    Maria Cipriano

  2. Nel numero speciale sull’Italia nella Grande guerra nell’articolo “Chi è senza peccato…” ho notato alcune inesattezze.
    A pag. 35 l’autore scrive: “Nella seconda metà del 1911 la Francia […] inviò quindi una consistente forza davanti alle coste africane, la Spagna reagì subito militarmente”. Il periodo non è chiaro: sembra che ci sia stato uno scontro armato tra Francia e Spagna nel 1911 (che non mi risulta). Inoltre la Francia è già in Africa settentrionale (possedendo la Tunisia e l’Algeria) per cui l’invio di forze navali è un elemento trascurabile. Semplicemente nel maggio 1911 l’esercito francese occupò Fez, la capitale del Marocco, scatenando la seconda crisi marocchina o crisi di Agadir.
    L’autore scrive: “La Germania decise un’azione dimostrativa mandando in loco una cannoniera”. Giusto, ma aggiunge: “poi chiese la convocazione di una conferenza internazionale ad Algeciras”. Questo è un capitombolo, perché la Germania chiese una conferenza nel 1905 non nel 1911, a seguito cioè della prima crisi marocchina o crisi di Tangeri. L’autore ha confuso la prima crisi marocchina con la seconda.
    Ancora qualche riga dopo: “l’entente cordiale del 1904 era diventata un’alleanza militare vera e propria”. L’entente cordiale non fu mai un’alleanza, dato che la Gran Bretagna e la Francia non avevano l’obbligo di soccorrere l’altro firmatario in caso di aggressione.
    Nell’altra colonna: “…in cambio di un protettorato francese in Marocco, Parigi cedeva i territori del Congo francese.” Tali erano state le richieste della Germania che, ovviamente, non vennero accolte. La Francia cedette infatti solo una piccola parte del Congo francese, a vantaggio della confinante colonia tedesca del Kamerun.
    E nel periodo successivo “L’Italia era l’unica nazione estromessa dall’Africa”: non direi proprio, dato che dalla fine dell’800 possedeva sia l’Eritrea che la Somalia.
    Beh, mi auguro che sia stato un test per verificare il livello di preparazione dei vostri lettori, e poi… “Chi è senza peccato…”

    • Ringrazio il lettore di SIR per l’attenzione dimostrata sia nei confronti della rivista, sia verso l’articolo.

      Ho cercato di attenermi il più possibile al libro di Clark il quale mette in evidenza quanto una certa diplomazia nascosta abbia generato fraintendimenti accelerando o meglio facilitando lo scoppio della guerra. A continuazione riporto alcuni passaggi.

      – pagina 219 de Iibro I sonnambuli di Clark: Il 5 giugno 1911, allarmato dalla conqusita unilaterale da parte della Francia sul Marocco, il governo spagnolo schierò le truppe per occupare Larache e Mers el Kebir nella parte settentrionale e nord-occidentale del paese.

      Per quanto attiene al periodo sull’Italia estromessa dall’Africa si fa riferimento ad un sostanziale ignorare Algesiras, in particolare da parte inglese e francese, inoltre si parla dell’11 in riferimento allo 06 e non prima, la Germania ottenne nel novembre dell’11 un compenso territoriale nel Congo francese…pag. 265 Clark dice “Ancora nell’estate dell’11, il presidente del consiglio Giovanni Giolitti respinse con decisione gli appelli ad adottare una posizione più aggressiva nei confronti di Costantinopoli…A cambiare completamente il quadro fu l’intervento francese in Marocco” e poi continua parlando della posizione di Grey, favorevole almeno apparentemente all’Italia, delle contraddizioni di San Giuliano e dei tedeschi che non volevano un attacco a Costantinopoli da parte di Roma.

      – l’ errore sulla conferenza di Algeciras c’è e me ne scuso, il periodo genera in effetti confusione “poi chiese” è fuori luogo, tuttavia la frase sull’entente cordiale come alleanza militare (in fieri) il discorso funziona nella misura in cui riprende, così come spiegato nell’occhiello, le parole dell’autore Clark. A pagina 213 dice “Buelow voleva ottenere dei compensi, Holstein sperava, irrealisticamente di far saltare l’intesa anglo-francese”. Dalle pagine 214 a 219 Clark dedica spazio al ruolo di ministro degli esteri britannico Grey il quale, si dice “si assicurò l’indiscusso controllo delle scelte politiche facendo in modo che la Gran Bretagna si concentrasse in primo luogo sulla “minaccia tedesca” …e poi a pagina 218: Le consultazioni sulle decisioni importanti – in particolare quelle riguardanti un rafforzamento degli impegni con la Francia – si limitavano (per Grey) a contatti con elementi fidati all’interno dell’amministrazione. Il governo venne ad esempio informato delle discussioni tra Francia e Gran Bretagna nel dicembre del 1905 e nel maggio del 1906, in cui i rappresentanti militari dei due paesi si accordarono in linea di principio sulla forma che avrebbe dovuto assumere un intervento militare a sostegno della Francia in caso di guerra. ..In altre parole Grey conduceva una politica su due piani. In pubblico negò ripetutamente che la GB avesse alcun obbligo di andare in soccorso alla Francia…

      spero di non aver dimenticato nulla, ancora grazie per la sua attenzione!
      Veronica Arpaia

  3. Ringrazio la Sig.ra Arpaia per la esauriente risposta. Non ho letto il libro di Clark (anche se ne ho sentito parlare molto bene) e ciò forse arricchisce il discorso perché possiamo confrontare diverse fonti e opinioni. Vorrei pertanto fare alcune considerazioni sulla sua risposta.
    La Sig.ra Arpaia chiarisce che l’Italia è estromessa dall’Africa all’inizio del novecento. Effettivamente in questo periodo non abbiamo risultati visibili ed eclatanti in tal senso, ma dobbiamo anche precisare che la diplomazia italiana nello stesso periodo mosse tutte le sue pedine per preparare la conquista della Libia. Nel 1891, per cominciare, la Triplice alleanza fu rinnovata con un nuovo articolo che impegnava la Germania a “sostenere” un eventuale intervento dell’Italia in Libia. nel 1900, poi, Italia e Francia si accordarono per lasciarsi reciprocamente mano libera in Africa settentrionale; e nel 1902, ad un altro rinnovo della Triplice, l’Austria si impegnò a non ostacolare l’Italia in Libia. Inoltre, alla fine del 1905, per favorire l’accordo con Parigi, il filofrancese San Giuliano divenne ministro degli Esteri e l’altrettanto filofrancese Emilio Visconti Venosta fu inviato alla conferenza di Algeciras a rappresentare l’Italia. Il risultato fu che alla conferenza l’Italia rimase neutrale nella disputa fra Germania e Francia, e quest’ultima occupò il Marocco nel 1911. Solo in quell’anno, come contropartita diplomatica e alla fine di una lunga serie di trattative (che non esclusero neanche la Gran Bretagna e la Russia), l’Italia iniziava la campagna di Libia.
    Sull’entente cordiale, effettivamente ci furono degli accordi fra Gran Bretagna e Francia per stabilire delle misure militari comuni in caso di attacco della Germania. Ma non si trattò di un’alleanza, anche perché la Gran Bretagna a quel tempo non stipulava alleanze militari. Gli inglesi infatti ritenevano responsabili dei trattati solo i parlamentari e i governanti che li avevano stipulati. Un cambio di governo avrebbe messo quindi in crisi qualsiasi accordo militare e ciò non invogliava neanche le altre nazioni a prendere iniziative in tale senso.
    Faccio comunque i miei complimenti alla Sig.ra Arpaia, innanzi tutto per aver voluto affrontare argomenti così poco trattati (e pieni di trabocchetti); secondo per aver ammesso un errore, cosa rara al giorno d’oggi.

  4. Gentile Signor Scateni,

    la ringrazio a mia volta per la sua contro risposta. Per quanto riguarda l’entente cordiale se non erro, ma ora non ho il libro sottomano, Clark dice che si trattò di un’alleanza militare ma se le cose stanno come lei dice andava effettivamente riportato diversamente, anche deviando rispetto all’autore e sottolineando il motivo.
    Sono felice, lo dico sinceramente, ci siano lettori così pieni di passione e soprattutto conoscenza!
    un cordiale saluto, Veronica

    grazie ancora, Veronica

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