di Maria Alessia Biancalana da HuffingtonPost dell’11 novembre 2014
Per quell’invasione, decisa e intrapresa senza aver avvertito preventivamente Margaret Thatcher, Ronald Reagan si sentì in dovere di telefonare al primo ministro inglese per scusarsi. La registrazione della conversazione tra il presidente americano e la “Lady di ferro” è stata infatti pubblicata dai media inglesi. “Ci dispiace molto per l’imbarazzo che vi abbiamo creato”, disse l’allora presidente degli Stati Uniti a un’irata Margaret Thatcher, dato che non era stata consultata prima dell’intervento americano in uno Stato del Commonwealth.
“Se fossi lì, Margaret – proseguì Ronald Reagan – butterei il cappello sulla porta prima di entrare” (“if I were there, Margaret, I’d throw my hat in the door before I came in”).
Una frase che fa riferimento a una pratica in uso durante la guerra civile: quando prima di entrare in una stanza, una persona doveva gettare il cappello all’interno e, se fosse stato considerato sgradito, avrebbe potuto essere cacciato o addirittura ucciso. “Non c’è bisogno di questo” rispose la Thatcher al presidente.
I toni sono quelli di una conversazione privata tra due dei più potenti leader mondiali degli anni Ottanta.
Il presidente Ronald Reagan, per giustificare il ritardo di una chiamata arrivata a invasione già iniziata, utilizzò la seguente spiegazione: “Temevamo di avere una talpa che avrebbe ascoltato la conversazione e riportato la notizia”. Probabilmente Reagan fa riferimento a una possibile spia sovietica che avrebbe avvertito la giunta di Grenada dell’imminente operazione americana. Margaret Thatcher rispose: “Capisco benissimo”.
La telefonata si concluse con il primo ministro inglese che mandava i suoi saluti alla moglie di Reagan: “I miei rispetti a Nancy. Ora devo scappare, ho un difficile dibattito in Parlamento”. E Reagan la salutò dicendole: “Se li mangi vivi” (“Eat them alive”).
Una conversazione che rappresenta la testimonianza degli ottimi rapporti che legarono sempre il Regno Unito di Margaret Thatcher agli Stati Uniti di Ronald Reagan.