di Giuseppe Agliastro da
Lo scorso mese il presidente polacco Andrzej Duda ha dato via libera a nuovi emendamenti alla cosiddetta legge sulla «decomunistizzazione» e ha bandito i simboli dei regimi totalitari. Il punto è che le nuove norme mettono a repentaglio i tanti monumenti della propaganda sovietica disseminati in territorio polacco e, soprattutto, statue e memoriali dedicati alla vittoria sovietica sulle truppe di Hitler e ai soldati dell’Armata rossa caduti in Polonia. La Russia ha reagito in maniera decisa: è «una provocazione oltraggiosa», ha tuonato il ministero degli Esteri di Mosca minacciando non meglio precisate «conseguenze».
Mentre il Senato russo ha addirittura chiesto a Vladimir Putin «misure restrittive nel campo della cooperazione bilaterale con la Polonia» e sanzioni contro alcuni deputati di Varsavia. Dal Cremlino hanno fatto sapere che «il capo di Stato per ora non ha preso nessuna decisione», ma i rapporti tra i due Paesi restano tesi. Lo sono da anni, visto che la Polonia, una volta sul lato orientale della cortina di ferro, è diventata una strenua avversaria di Mosca: è uno degli Stati in cui si concentrano sempre più militari della Nato sullo sfondo della corsa agli armamenti in Est Europa tra Russia e Alleanza atlantica, e dove gli Usa vogliono schierare elementi del loro Scudo spaziale. Una «strage» di monumenti sovietici peggiorerebbe però senz’altro le cose e per la Russia sarebbe un vero sacrilegio.
«L’Urss – spiegano da Mosca – ha pagato il prezzo più alto per liberare la Polonia. Nelle battaglie col nemico sono morti, e sono poi stati sepolti, oltre 600.000 soldati e ufficiali dell’Armata rossa. Riposano in territorio polacco anche centinaia di migliaia di prigionieri sovietici morti nei campi di concentramento tedeschi». Varsavia assicura che i cimiteri di guerra non saranno toccati, ma la differenza di fondo è che per la Polonia quelle dell’Urss non erano forze di liberazione, ma di occupazione. Come del resto dimostra il patto Molotov-Ribbentrop con cui Hitler e Stalin volevano spartirsi il Paese. E non gioca a favore di Mosca neanche l’eccidio della foresta di Katyn, dove nel 1940 la polizia segreta sovietica (Nkvd) trucidò oltre 22.000 prigionieri polacchi. Il presidente polacco Lech Kaczynski stava andando proprio a rendere omaggio alle vittime di Katyn quando, nell’aprile del 2010, il suo aereo si schiantò nella nebbia a Smolensk, in Russia occidentale, uccidendo lui, la moglie Maria e altre 94 persone. Secondo gli investigatori fu un errore dei piloti a causare la tragedia, ma in Polonia non manca chi nutre sospetti verso la Russia, e le relazioni tra Mosca e Varsavia da allora si sono notevolmente deteriorate.
Anche tra Polonia e Germania è però recentemente sorto qualche dissapore, specialmente sulla riforma della giustizia polacca e sulla questione dei migranti. Non è da escludere che ci sia anche questo dietro la possibile richiesta a Berlino di un «enorme» risarcimento per gli orrori e le distruzioni dei nazisti durante la Seconda guerra mondiale al momento al vaglio del Parlamento polacco. Il conservatore Jaroslaw Kaczynski, fratello gemello di Lech Kaczynski e leader del partito di maggioranza Diritto e giustizia, non ha dubbi: «Il governo – ha dichiarato – si sta preparando a una controffensiva storica».