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Ecco il primo speciale di Storia in Rete, dedicato al Risorgimento

Il primo speciale di “Storia in Rete” vede la luce nel 2011 e per questo non poteva non essere dedicato al Risorgimento, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Un Risorgimento che affrontiamo come memoria di ciò che siamo in tutti gli aspetti e in tutte le contraddizioni. Lo speciale – 130 pagine tutte a colori, in brossura – ripropone ai lettori contributi inediti assieme ad articoli già pubblicati su “Storia in Rete” (molti dei quali pubblicati su numeri oramai esauriti) rivisti nella veste grafica e nell’apparato redazionale. Dalla nascita del Tricolore alla gioventù di Cavour, dalle gloriose Cinque Giornate di Milano al disastro di Novara nella Prima guerra d’Indipendenza. Dalla paziente preparazione nel decennio fra le due guerre d’Indipendenza ai profili dei Padri della Patria: i quattro grandi – Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele II – ma anche Cattaneo e i cattolici fautori dell’unità. Quindi l’epopea dei Mille, la Seconda guerra d’Indipendenza, i retroscena della conquista delle Due Sicilie e la guerra civile del Brigantaggio.

Immergiamoci dunque in quella epopea che fece epoca e destò l’ammirazione del mondo intero: dall’Inghilterra alla Prussia i protagonisti del Risorgimento furono presi a modello, studiati, analizzati e, quando possibile, coccolati. E anche negli ultimi anni forse si son fatti incontri e scritti libri di spessore su vari aspetti del Risorgimento più all’estero di quanto non si sia fatto in Italia. «Nessuno è profeta in Patria» è il motto che andrebbe messo sul tricolore invece del “Tengo famiglia” proposto da Flaiano tempo fa.

Nelle pagine che troverete in edicola non poteva starci tutto ovviamente. Quindie, volutamente, ci siamo fermati al 1861. Chi avrà la pazienza di scorrere le pagine, soffermandosi oltre che sulle parole, anche sulle vecchie foto, speriamo avrà la sensazione di quante persone serie e appassionate si misero al servizio di un grande progetto che poi era un grande sogno. Un sogno che non era nato d’improvviso nella testa e nei cuori di qualche decina di esagitati ma che era stato cullato e trasmesso di generazione in generazione per secoli. Perché, piaccia o no, l’Italia era già l’Italia prima che qualcuno, 150 anni fa, si prendesse la briga di unirla anche politicamente all’interno dei confini che ci avevano assegnato la geografia e poi la storia.

La soddisfazione maggiore che potremo avere da questo nuovo sforzo editoriale – veramente importante per una rivista come “Storia in Rete”, che non ha nessuno alle spalle e può contare solo sull’edicola e gli abbonati – è che magari in qualche discussione con gli immancabili nemici dell’Unità italiana qualche lettore di «Storia in Rete» possa mettere a tacere o in difficoltà i propri antagonisti dopo aver attinto notizie e riflessioni da questo speciale.

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18 Commenti

  1. Il tricolore non nacque a Reggio Emilia nel 1797. Fu ideato a Bologna nel 1794 da Giambattista De Rolandis, nativo di Castell.Alfero (Asti), studente universitario a Bologna. Dunque il Piemonte non ha bisogno di lezioni di italianità da nessuno. Ne ha date tante e ne dà, con grande generosità.
    In questi giorni è stata fatta la festa al tricolore di Reggio Emilia, ma fu il Piemonte a idearlo. Se quello della repubblica cisalpina non entusiasma per qualcosa è. Ha ragione il presidente Napolitano. Bisogna studiare la storia. Infatti. Ricordiamo allora che a proporre il tricolore a Reggio Emilia, a bande orizzontali anziché verticali, fu don Giuseppe Compagnoni (Lugo di Romagna, 1754-Milano, 1833): un prete spretato. Con poche eccezioni vale la regola .chi ha tradito tradirà.. Ordinato sacerdote nel 1778, dedito
    alle lettere più che alla Bibbia, agli animi più che alle anime, Compagnoni svestì l.abito e diresse riviste. Bastava cambiare poche parole, la solfa era la stessa. Fu anche un abile falsario. Esule a Parigi scrisse Le veglie di Tasso, spacciate per vere e tradotte in varie lingue. Gli intellettuali giacobini le bevono tutte. Sulla fine si prese beffa anche dei patrioti italioti e si riconciliò con la chiesa, . “che ha sì gran braccia/ e volentier perdona.. ” Se lo fece con Re Manfredi, perché con farlo con lui?

    Del resto Giuseppe Compagnoni non inventò il tricolore di suo. Lo scopiazzò. Si era occupato del processo a Giuseppe Balsamo, Cagliostro, morto per disperazione o ammazzato a bastonate nel pozzetto del carcere di San Leo e lì apprese che nel rito egizio il celebre Mago usava nastri
    verdi bianchi e rossi. Come che sia, la bandiera della Repubblica cisalpina nacque per imitazione su modello francese, come ricorda Oreste Bovio in Due secoli di Tricolore edito dall.Ufficio Storico dello Stato Maggiore
    dell.Esercito: un libro esemplare, da ristampare.

    Il primo tricolore vero genuino pulito non fu quello di Reggio Emilia ma la coccarda ideata da Giambattista De Rolandis, che unì il verde al bianco e al rosso di Asti e di Bologna. De Rolandis e Luigi Zamboni cospirarono
    contro il dominio papale su Bologna. Scoperti, furono arrestati e atrocemente torturati. Zamboni venne rinvenuto
    impiccato in una cella che non gli consentiva neppure di stare in piedi. De Rolandis fu prima evirato poi condotto al supplizio. Poiché l.impiccagione non ebbe subito effetto, il boia gli saltò sulle spalle. Così in un giorno dell.aprile 1796 fu strozzato l’inventore del Tricolore.

    I liberali piemontesi lo tennero in cuore: Santa Rosa, Pellico, Ornato,Balbo…., tutti dimenticati in questo 150° che al Piemonte sta stretto
    perché viene celebrato anziché studiato..
    Dice il prof.Aldo A.Mola: “La morale di questa storpiatura continua sui fatti che hanno costruito l’Italia? La lorda camicia da notte della contessa di Castiglione continua ad avere la meglio sulle grandi ragioni storiche. Incapace di storia, l’Italia odierna storpia il passato.”
    Nel “Messaggere Torinese” del 23 febbraio 1848 Angelo Brofferio, patriota pasticcione, ma generoso, ricordò che sul punto di morire il clinico Giuseppe De Rolandis, nipote di Giambattista, egittologo insigne a fianco di Champollion, medico personale di Carlo Alberto, “contemplò un’ultima volta
    la coccarda tricolore, e la raccomandò al re.” Iniziata la guerra d’indipendenza dall’Austria, il 23 marzo il re di Sardegna la adottò quale “bandiera tricolore italiana”. Suo figlio, Vittorio Emanuele duca di Savoia, distribuì personalmente i tricolori ai reggimenti in partenza per
    la guerra. Il Piemonte dava lezioni di italianità mai abbastanza ripagate ed oggi in gran parte ignorate. O messe in questioni per motivi personali, rancori mai sopiti. C’è chi odia Milano perchè perchè il Foggia è stato battuto uno a zero.
    Ma la storia è cosa seria, ben vengano queste pagine di dibattiti purchè siano costruttivi. Poichè chi dovrebbe è assente, siano i cittadini a vergare con le proprie tesimonianze le pagine del Risorgimento dell’Italia Unita.

    Il tricolore divenne bandiera del Regno d.Italia il 25 marzo 1861: una settimana dopo la proclamazione del regno. Bello sarebbe che tra il 17 e il 25 marzo 2011 su ogni balcone figurasse un tricolore con lo scudo sabaudo,
    come quello che l’Alpino Miotto avrebbe voluto per sé. Senza di esso l’Italia odierna non sarebbe mai nata. Sarebbe rimasta quella dei falsari alla Compagnoni.

    Fortunato Bramardi

  2. Ringrazio il signor Emanuele della cortese risposta. Ho letto l’intervento del prof. Mola, ed è per questo che ho pensato di aggiungere all’elenco dei grandi italiani, anche quei nomi “minori” come il ventenne De Rolandis, rimasti esclusi dalle opere dei grandi storici – e come chiosa il lettore Antonello Parisi – “è facile immaginarne il motivo”.
    Poiché questo “Cenacolo di Storia in Rete” sta diventando sempre più un composto salotto dove gli appassionati hanno possibilità di dialogare senza acredini personali,
    vorrei dire al signor Claudio che purtroppo “la tortura” è stata adottata ampiamente in tutta l’Italia per più di tre secoli. Suggerisco due testi disarmanti. Il primo è stato edito a Torino nei primi anni del 1600. Titolo: ” De Fideiussoribus” scritto da Anton Hening, Augustae Taurinorum, 1615 . E’ il manuale della scuola fondata dal Tribunale dell’Inquisizione che aveva i laboratori a Reggio Emilia ed a Bologna. Si legge di tutto. Inizia con suggerimenti impartiti da carnefici in base alla loro attività ed esperienza. Giova ricordare che i due afforcatori del De Rolandis, Pantoni e Scoli, erano “Mastri di Giustizia” di questi istituti.
    L’altro eloquente volume è “Storia della Colonna Infame , tratto dalle opere di Ippolito Marsigli, giudice in quel di Bologna che si vantava di “far confessare anche i muri”. Di questo testo ne parla Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi”.
    Concludo con un commento del nostro Presidente Luigi Einaudi: “A volte mi domando come sia stato possibile che questa Penisola, così provata in passato, abbia generato una civiltà tanto progredita e democratica, a dispetto di tanta crudele belluinità”.
    Fortunato Bramardi

  3. Il risorgimento fu uno scippo a mano armata ai danni del sud. Non mi pare che potenze imperialiste come Francia e Inghilterra si siano mosse per spirito di carità verso la barbetta di Cavour Benso Camillo. Non riuscirete piu’ a tenere la storia chiusa negli armadi ministeriali.

    • “Scippo a mano armata” è una parola grossa, e a sentir i nordisti è stato il contrario (l’accollo del sud al nord produttivo)… e non è che fra due scemenze si può fare il medio proporzionale.
      Quanto al fatto che Francia e Inghilterra non si sono mosse che per interesse (ma c’era anche tanta simpatia sincera verso i rivoluzionari italiani) è storia vecchia, lo sanno anche i selci. Questo tormentone della “storia negata” ha stufato…

  4. Le guerre vengono fatte sempre per conquistare Paesi ricchi e MAI per liberare un Popolo. Il piemonte era alla bancarotta, e visto che c’era il Glorioso, Prospero, Innocente Regno Delle Due Sicilie con le casse piene d’oro, a cavour e vittorio emanuele venne un pensierino…

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