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Il potere morbido della lingua italiana

L’italiano, lingua degli angeli per Thomas Mann, è la lingua più romantica del mondo secondo un sondaggio di qualche anno fa rivolto a 320 linguisti dall’azienda londinese Today translations, che offre traduzioni e interpreti in oltre 200 lingue.
di Annamaria Testa da Internazionale  del 17 ottobre 2016
Questa è in sé una notiziola curiosa e niente più, ma ci aiuta a prendere in considerazione una questione più generale, e degna di nota. La lingua italiana è, per gli stranieri, sommamente attrattiva: non a caso è la quarta (o quinta) lingua più studiata al mondo. Per capire che cosa della nostra lingua piace così tanto basta scorrere una delle molte liste di ragioni per imparare l’italiano che si trovano in rete.
Per esempio, la lista pubblicata dall’università di Princeton dice in primo luogo che l’italiano è sonoro e bellissimo, ed è la lingua di riferimento per chi ama l’arte, la musica, l’architettura, l’opera, il cibo… molte delle cose piacevoli della vita, insomma.
Dice che l’italiano è la lingua più vicina al latino, e che il 60 per cento del vocabolario inglese deriva dal latino: quindi imparare l’italiano aiuta anche a parlare meglio l’inglese. E ricorda che nelle università statunitensi le iscrizioni ai corsi di lingua italiana stanno crescendo.
L’attrattività di una lingua non è strettamente proporzionale alla numerosità dei parlanti. “Studiare l’italiano non è come studiare l’urdu, diciannovesima lingua più parlata al mondo (l’italiano è diciottesimo)”, dice Dianne Hales, autrice di “La bella lingua”. Con l’italiano “entri in contatto con la storia, l’arte, la religione, la musica, il cibo, la moda, il cinema, la scienza – tutto ciò che la civiltà occidentale ha inventato”.
Sembra però che a noi italiani, che (più o meno) parliamo italiano da sempre, di tutto questo importi poco.
Del resto, una nota caratteristica del comportamento nazionale consiste nel sottovalutare sistematicamente ciò che di bello e desiderabile ci appartiene, dal paesaggio all’arte allo stile di vita, dalla creatività all’intraprendenza, alla lingua, appunto, rinunciando quindi a valorizzarlo in maniera adeguata. Rinunciando, poi, a praticare le indispensabili opere di manutenzione, materiali e immateriali. E rinunciando perfino a essere, giustamente, orgogliosi.
Ci converrebbe cambiare atteggiamento, però.
Il fatto è che la capacità attrattiva di una lingua è un importante fattore di soft power. I paesi anglofoni lo sanno fin dai tempi della guerra fredda. Lo sa la Cina, che sta facendo grandi sforzi per diffondere lo studio del cinese. E la faccenda del soft power è tutt’altro che banale.
Soft power non ha, per ora, una traduzione accreditata. In rete ho trovato “potere morbido”, “potere leggero”, “potere pacifico” e perfino “potere soffice”. Qui scelgo di usare “potere morbido” in alternanza con l’assai più diffuso termine inglese.
Il concetto di soft power è stato formulato verso la fine degli anni ottanta da Joseph Nye, politologo e docente ad Harvard. In una brillante Ted conference, Nye definisce il potere come “nient’altro che la possibilità di influenzare gli altri per ottenere i risultati voluti”.
Si può esercitare potere, dice Nye, in tre modi: con il bastone, cioè minacciando e usando la forza. Con la carota, cioè usando il denaro. Ma c’è un terzo modo: convincere gli altri a desiderare spontaneamente di fare quello che vogliamo che facciano. E questo è soft power: pura capacità seduttiva. Se l’hard power della forza muove la gente a spintoni, il soft power la attira suscitandone il consenso.
In sostanza, il concetto di soft power ci fa capire che la seduzione è tanto potente quanto la coercizione o il denaro. E forse ancora più potente, perché più sottile e permanente. Nye aggiunge che usare il soft power permette di ottenere risultati “risparmiando sia i bastoni, sia le carote”.
Percezione e conoscenza
Poiché il soft power è fatto di reputazione e di desiderabilità, una nazione lo può esercitare in modo efficace perfino senza essere una grande potenza economica o militare. Esiste una classifica internazionale del soft power: nel 2016 l’Italia è undicesima, prima della Spagna e dopo i Paesi Bassi, e sta guadagnando posizioni.
Promuovere la lingua italiana (e magari cominciare a trattarla meglio, anche in patria) può aiutarci ad avere prestigio nel mondo e ad accrescere il nostro soft power. E, diciamolo: per l’Italia promuovere l’italiano, già in sé così desiderabile, è molto più facile di quanto non sia per il Pakistan promuovere l’urdu. O per la Cina promuovere il cinese.
Ma non solo: promuovere l’italiano può aiutare le nostre imprese a diffondere e difendere i loro prodotti all’estero, posizionandoli nel segmento alto di gamma per il solo fatto di essere autenticamente italiani. Promuovere l’italiano (e usarlo per i nomi dei prodotti, per la pubblicità, per i marchi…) aiuta anche a contrastare il fenomeno deteriore dell’italian sounding: prodotti fatti all’estero, che si vestono di italianità proprio “parlando” italiano. È uno scherzo che vale 60 miliardi di euro e 300mila posti di lavoro.
La percezione è (anche) un fatto cognitivo, e non solo sensoriale.
Vuol dire che è influenzata da quanto ogni persona crede, pensa e sa, e dalle aspettative che ha. Per questo, nel mondo, l’aroma di un caffè con un nome italiano è percepito come migliore, un abito con un marchio italiano appare più elegante, un oggetto con un nome italiano appare più bello, un’auto con un nome italiano appare più desiderabile. Le aziende straniere lo sanno, e sarebbe meglio se anche le aziende italiane se ne ricordassero sempre.
Di tutto questo – e immagino, di molto altro – si parlerà nel corso della seconda edizione degli Stati generali della lingua italiana nel mondo. Chi vuole, può seguire in diretta l’intera manifestazione sul sito esteri.it. Chi vuole, può anche dare un’occhiata al neonato portale della lingua italiana.

4 Commenti

  1. Parole sante. Articolo pregevole. Ma se un popolo, come l’italiano contemporaneo, soffre di complesso di inferiorità linguistico, ciò va fatto risalire allo shock, più che mai vivo, della perdita della dignità e dell’onore nazionale dopo il 25 luglio 1943 o dopo il 28 aprile 1945. La perdita, tuttora in corso, della seconda guerra mondiale. Da queste due date sono derivate metodologie di sradicamento socio-spirituale. La attuale “cultura” italiana mediatica si basa su un falso. A partire da tale falso si è costruita una finta repubblica con dei falsi miti. Una “vulgata”. Mi riferisco alla pellicola “Roma città aperta”. Ed al filone retorico del neorealismo (ma potremmo estenderlo a falsi ridondanti e patetici come “Novecento” di B. Bertolucci).
    Peccato che il signor Roberto Rossellini ed il signor Vittorio De Sica furono finanziati dal domenicano belga padre Felix Morlion (targato Office of Strategic Services, quella che sarebbe diventata la C.I.A.) tramite il Centro Studi Pro Deo (futura LUISS università Guido Carli) e che “Roma città aperta” con la scena madre patetica e proiettata fino al brainwashing del pubblico italiano (da defascistizzare col falso di fatti inventati di sana pianta dai “liberatori” e dai servi loro compari) fu visionato in anteprima nella saletta privata della ambasciata USA in Via Veneto alla presenza supervisionante dell’ammiraglio Ellery Stone, capo della Commissione Alleata di Controllo. Controllo di cosa? Della cultura, della storia e della percezione di intere successive generazioni di italiani cui fu, è e sarà sempre applicato il lavaggio del cervello mediatico antifascista. Metodologie di sradicamento socio-spirituale scrivevo sopra, attuate dopo il 25 luglio 1943. La guerra psicologica. I signori Federico Fellini, Bernardo Bertolucci e tutta la cultura italiana ed il cinema italiota post-1945 sono il frutto ed il prodotto alienato di questa menzogna storica. Salvo solo Luigi Zampa e Pietro Germi, meno allineati ed intossicati dei vari Scola, esistenzialisti & Co. La guerra psicologica diventa annichilazione linguistica. Anch’essa “morbida”, perché si spalma su archi temporali di lungo termine.

  2. Purtroppo la vera guerra alla cultura alla lingua itica (non italiana) la vera guerra psicologica antelitteram risale ai guasti sanguinari del cosiddetto risorgimento. I sabaudi con il loro linguaggio, militare, ministeriale, fiscale, propagandistico del nuovo regime violarono popoli e culture intere aree geografiche del meridione da dove viene la radice del volgare. Volurno, Capua, Gaeta sono l’area geografica del centro italia gravitanti intorno all’abazia di Montecassino dove tutt’ora è conservato il “placito cassinese” dove per la prima volta apparve il volgare. La cultura storica e la cultura italiana che passa attraverso i De Sanctis, Villari, Croce e tutti gli altri a cavallo del secolo hanno inquinato la storia, la conoscenza, il pensiero, e tutta la cultura italiana dopo galileo, l’illuminismo, la cultura e la lingua italiana armoniosamente composta da tanti dialetti. Sono loro causa-prodotto-frutto guasto della menzogna storica della nazionalizzazione, della patria, dell’eroismo dei padri fondatori. Con i Savoia la guerra psicologica diventa annichilazione di meridionali, trucidazioni, uccisione e deportazione di massa di civili, loro inventarono l’antropologo spiritista Marco Ezechia Lombroso che inventa la falsa teoria della inferiorità biologica dei meridionali per atavismo. La ferocia fu spalmata sul meridione popoli diversi con una lingua simile che trovò espansione a nord nel risalire la penisola dalla fine della corte palermitana di Federico II. Popolazioni meridionali che parlavano dialetti assimilati alla “morbida” lingua napoletana.
    Annichilire il meridione e cancellarne cultura linguistica e tradizioni plurisecolari ecco l’assalto alla lingua considerandola inferiore ed inventando la menzogna della lingua italiana derivata dal vernacolo Toscano. Eccole le menzogne su cuo si fondano le ipocrisie di un insieme di popoli che non sarà mai patria e mai nazione perchè si fonda sulla negazione anche linguistica dell’altro.

  3. Purtroppo la vera guerra alla cultura alla lingua itica (non italiana) la vera guerra psicologica antelitteram risale ai guasti sanguinari del cosiddetto risorgimento. I sabaudi con il loro linguaggio, militare, ministeriale, fiscale, propagandistico del nuovo regime violarono popoli e culture intere aree geografiche del meridione da dove viene la radice del volgare. Volurno, Capua, Gaeta sono l’area geografica del centro italia gravitanti intorno all’abazia di Montecassino dove tutt’ora è conservato il “placito cassinese” dove per la prima volta apparve il volgare. La cultura storica e la cultura italiana che passa attraverso i De Sanctis, Villari, Croce e tutti gli altri a cavallo del secolo hanno inquinato la storia, la conoscenza, il pensiero, e tutta la cultura italiana dopo galileo, l’illuminismo, la cultura e la lingua italiana armoniosamente composta da tanti dialetti. Sono loro causa-prodotto-frutto guasto della menzogna storica della nazionalizzazione, della patria, dell’eroismo dei padri fondatori. Con i Savoia la guerra psicologica diventa annichilazione di meridionali, trucidazioni, uccisione e deportazione di massa di civili, loro inventarono l’antropologo spiritista Marco Ezechia Lombroso che inventa la falsa teoria della inferiorità biologica dei meridionali per atavismo. La ferocia fu spalmata sul meridione popoli diversi con una lingua simile che trovò espansione a nord nel risalire la penisola dalla fine della corte palermitana di Federico II. Popolazioni meridionali che parlavano dialetti assimilati alla “morbida” lingua napoletana.
    Annichilire il meridione e cancellarne cultura linguistica e tradizioni plurisecolari ecco l’assalto alla lingua considerandola inferiore ed inventando la menzogna della lingua italiana derivata dal vernacolo Toscano. Eccole le menzogne su cui si fondano le ipocrisie di un insieme di popoli che non sarà mai patria e mai nazione perché si fonda sulla negazione anche linguistica dell’altro.

  4. Loreto e Pinco inseriscono lo stesso identico testo, sgrammaticature comprese: temo abbiano copiato tutti e due da un terzo ignoto. Rimarchevole il rifiuto di De Sanctis, Villari, Croce, dei quali suppongo non abbiano letto una riga: con chi li si vorrebbe sostituire però non è detto.

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