Di Veronica Arpaia da Storia in Rete n.78 (aprile 2012)
Il trattato di Parigi (1856) che pose fine alla guerra di Crimea aveva sancito la nascita della Romania, sottraendo i principati di Moldavia e Valacchia all’Impero ottomano, il quale, inoltre col trattato di Berlino (1878) vedeva compromessa la sua egemonia in Asia Minore, anche a causa delle rivendicazioni autonomistiche degli armeni. Assai ondivago fu quindi l’atteggiamento delle nazioni europee che, se intervennero per ottenere atti di clemenza forzata e transitoria nei loro confronti, sostanzialmente, abbandonarono, attraverso silenzi interessati, gli armeni alla loro sorte: chi per motivi di contiguità geografica, chi per ragioni economiche, chi infine per conservare la propria egemonia nei Balcani. Solo la diplomazia pontificia cercò di tutelare il popolo armeno, ma i suoi sforzi non furono coronati da successo. Lo stereotipo della «diversità» etnico-religiosa armena veniva utilizzato dall’Impero ottomano, il «grande malato» per puntellare la sua traballante egemonia.
La questione d’oriente vista attraverso la tragedia armena. 1894-1897
di Marko Jacov
Accademia polacca delle scienze
pp. 322, s.i.p.