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I documentar di “Storia in Rete” su “Atlantide” (LA7)

Oggi, 10 marzo 2010, alle 16, la trasmissione “Atlantide” (La7) sarà interamente costruita con tre documentari prodotti da «Storia In Rete». Andranno in onda, infatti, «Le Cortigiane del Rinascimento» (primo passaggio assoluto) e due repliche: «Il Cardinale che non divenne mai Papa: Alessandro Farnese» e «Chi ha ucciso il figlio del Papa?». Si tratta di tre documentari di argomento rinascimentale: il primo descrive vita e avventure delle cortigiane del Cinquecento a Roma, Venezia e Firenze facendo riferimento soprattutto a note cortigiane dell’epoca come Imperia, Veronica Franco e Tullia d’Aragona. Il documentario su Alessandro Farnese traccia invece la biografia del “Gran Cardinale”, dominatore della scena romana per oltre 40 anni, nipote di Papa Paolo III Farnese e padre di una figlia, Clelia, oggetto delle attenzioni di un altro cardinale (destinato a divenire poi Granduca di Toscana): Ferdinando de Medici. Invece, in «Chi ha ucciso il figlio del Papa» si raccontano le storie di tre duchi, figli di altrettanti papi, morti di morte violenta: Juan Borgia, figlio di Alessandro VI, ucciso in circostanze mai chiarite a Roma nel giugno 1497; Alessandro de Medici, duca di Firenze, figlio segreto di Papa Clemente VII de Medici – assassinato a Firenze dal cugino Lorenzino – la notte del 6 gennaio 1537. E infine, Pierluigi Farnese, duca di Piacenza e Parma, assassinato in una congiura di nobili piacentini il 10 settembre 1547. Di quest’ultimo documentario si può vedere il promo a questo indirizzo: https://storiainrete.com/2008/10/chi-ha-ucciso-i-figli-del-papa/. Un promo della puntata – condotta da Greta Mauro ogni giorno, dal lunedì al venerdì – è invece disponibile alla pagina della trasmissione: http://atlantide.la7.it/

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Inserito su www.storiainrete.com il 10 marzo 2010

7 Commenti

  1. Il brigantaggio è stato un fenomeno endemico nel Meridione d’Italia da almeno il secolo XIII sino al XIX ed ha assunto caratteri di particolare intensità e gravità, incomparabile con quelli di qualsiasi altra parte d’Italia.
    Questo è attestato non solo dalle numerose testimonianze di cronisti, storici, letterati o semplici viaggiatori, ma dalla ricorrenza delle autentiche operazioni militari compiute nei secoli nel tentativo di stroncarlo. Gli Angioini, il governo spagnolo, i Borboni, Murat, si diedero tutti a frequenti e pesanti campagne militari contro i briganti. Fernand Braudel nel suo capolavoro “”Civiltà ed imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II” ” segnala il Mezzogiorno d’Italia come una delle regioni europee con la più alta percentuale di briganti.
    La ragione di questa forte presenza del brigantaggio nel sud d’Italia è stata dovuta naturalmente alla struttura sociale ivi impostasi a partire dalla fine del Duecento circa, con una fortissima polarizzazione sociale fra un ceto dominante di grossi o grossissimi latifondisti, una borghesia debole sotto ogni aspetto, numerico ed economico, e la larga maggioranza della popolazione costituiva da masse rurali estremamente povere: da essa provenivano i briganti. Gli stessi studiosi della corrente del “meridionalismo”, ad iniziare da Pasquale Villari, riconoscono in questo tipo di struttura sociale la causa principale dei mali storici del Mezzogiorno.
    Il brigantaggio era molto intenso anche in epoca borbonica, tanto che la quasi totalità delle norme contenute nella “legge Pica” votata dallo stato unitario altro non facevano che riprendere quelle di un’analoga legge emanata da re Ferdinando nel 1816, ovvero subito dopo la Restaurazione.
    La veridicità della corrispondenza fra brigantaggio meridionale e condizione delle plebi rurali è ulteriormente attestata dal fatto che anche nel periodo 1861-1866, durante l’ultima fiammata del fenomeno brigantesco, esso non interessò uniformemente l’intero Mezzogiorno, ma principalmente le regioni in cui più esteso era il latifondo, cosicché si avevano aree in cui era intensa la presenza del fenomeno, ed altre vicine in cui esse era scarsamente attivo o quasi assente.
    Vi furono anzi tentativi da parte del papato, del governo francese, e dei clericali meridionali di strumentalizzare le bande in senso borbonico, appoggiandole finanziariamente e fornendole di armi ed istruttori militari. Tuttavia, gli stessi militari stranieri inviati clandestinamente in Italia del sud riferirono che i banditi non erano interessati ad una restaurazione borbonica. Il generale catalano José Borjes, ivi inviato in spedizione clandestina, disse a Francesco II che al sud non c’era nessuna insurrezione borbonica, al che l’ex sovrano rispose che lo sapeva, perché da molti secoli si trovavano banditi, ma che una rivolta come quella che il generale si attendeva non c’era mai stata. Lo stesso Crocco, il brigante più famoso, dichiarò apertamente che non voleva cambiare un “padrone con un altro”.
    Infine, il carattere di guerra di classe del brigantaggio è ulteriormente provato dalla natura delle azioni dei banditi e dai loro avversari. I briganti colpivano principalmente i latifondisti, i borghesi, insomma i “galantuomini”, i quali a loro volta, organizzati nella Guardia Nazionale, replicavano. Questo tipo di scontro ripeteva le modalità con cui si era svolta una simile guerra di classe nei secoli precedenti.

    Comunque, la legge in base alla quale lo stato unitario combattè il brigantaggio era praticamente uguale ad una emanata dai Borboni nel 1815 per la stessa ragione e rimasta in vigore sino al 1860.

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