Home Risorgimento Fenestrelle e il genocidio (inesistente) dei borbonici

Fenestrelle e il genocidio (inesistente) dei borbonici

Quanti furono i prigionieri di guerra borbonici e papalini che morirono al forte San Carlo di Fenestrelle tra il 1860 e il 1865, dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e la proclamazione del Regno d’Italia? Per Juri Bossuto e Luca Costanzo, autori del saggio “Le catene dei Savoia”, in uscita a settembre con l’Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, il loro numero ammonta a circa una quarantina. Si tratta dunque di una cifra ben diversa da quella fissata in decine di migliaia di presunte vittime sterminate nei presunti lager sabaudi, che da anni, tra siti Internet e libelli vari, vengono contrabbandate senza il sostegno di alcuna fonte archivistica, o di altro tipo, dalla pubblicistica neoborbonica e antiunitaria. L’anno scorso, sempre in estate, Bossuto e Costanzo avevano anticipato l’esito del loro lavoro basato su documenti parrocchiali, militari e civili dell’epoca, tirandosi addosso insulti e persino minacce. Ora il libro, che peraltro non si limita alla vicenda dei “napoletani” ma prende in esame il sistema carcerario e repressivo piemontese dal 1700 al fascismo, non fa che confermare quelle intuizioni.

di Massimo Novelli da La Repubblica Torino del 3 agosto 2012

Tanto che lo storico Alessandro Barbero, che ha scritto la prefazione, può affermare che il lavoro dei due ricercatori piemontesi “non è soltanto opera di storia, ma necessario intervento civile”, che smonta una “invenzione”: “Parlo d’invenzione, che è parola forte se usata fra storici, e lo faccio a ragion veduta, perché Bossuto e Costanzo dimostrano tangibilmente che per quanto riguarda Fenestrelle ciò che è stato scritto da autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, Lorenzo Del Boca o Pino Aprile è pura invenzione, non si sa quanto in buona fede”. Lo stesso Barbero rammenta di stare conducendo “una ricerca complessiva sullo scioglimento dell’esercito borbonico, il trattamento dei prigionieri e degli sbandati napoletani, e la loro incorporazione nell’esercito italiano, e ogni documento che mi passa tra le mani attesta che i libri di quegli autori contengono, in proposito, innumerevoli inesattezze e falsità, facilmente documentabili e dimostrabili”.

“Circa quaranta decessi in cinque anni tra soldati borbonici, ormai appartenenti ai Cacciatori Franchi (italiani, ndr) e papalini”, ricordano Bossuto e Costanzo, “significavano il doppio di quanto accadeva normalmente” a Fenestrelle. Però “in queste cifre, più che un genocidio etnico, si poteva osservare il macabro frutto di una profonda nostalgia, unita forse ad equipaggiamenti non adatti a quell’ambiente di alta montagna”. Dalla “corrispondenza ritrovata” traspare poi “un’attenzione continua dai caratteri umanitari” verso i militari napoletani, non “tralasciando mai di evidenziare l’essere i prigionieri di guerra soprattutto soldati che meritavano il medesimo trattamento riservato ai commilitoni sabaudi”.

Lo scopo che “si prefiggeva la traduzione dei soldati del “disciolto esercito borbonico” nelle fortezze di Fenestrelle” era “quello di “ricevere, disarmati, una lezione di moralità militare, dopo la quale verrebbero inviati ai Reggimenti” del nuovo Stato italiano. Uno scopo, perciò, “incompatibile con qualsiasi soluzione finale nei loro confronti”. Nel libro viene anche sfatata la “presunta e folle, se fosse vera, prassi di “gettare e sciogliere nella calce viva i soldati napoletani appena giunti a Fenestrelle””, come sostiene “uno dei tanti siti filoborbonici”. La calce viva “posta sui cadaveri era la prassi cui tutte le sepolture dovevano essere soggette per motivi d’igiene, all’epoca”.

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Inserito il 24 settembre 2012

244 Commenti

  1. Mattia ottimi spunti di riflessione. Andiamo con ordine.
    Le consigliavo la lettura del libro della Riall solo relativamente e a come tratta Garibaldi e il suo rapporto con Cavour.
    Se le parole hanno un significato, e ce l’hanno, quando lei scrive “conquista del Sud” rende evidente quello che realmente accadde. Non una allegra unione di due corpi in un’anima ma una infame e brutale aggressione.
    L’apporto inglese ci fu eccome e le prove ci sono. Si tratta solo di come vengono lette e interpretate le fonti. Nel XIX secolo i disordini erano presenti in tutti gli Stati ma avevano poca forza propulsiva. Le sette segrete operanti al Sud erano finanziate da forze straniere come apponto i Savoia e il Regno Unito, cosa che di per sé costituisce una prova dell’ingerenza Inglese. L’obbligo scolastico c’era anche al sud anche se spesso disatteso dalla popolazione e le ferrovie ma anche le strade erano infrastrutture secondarie rispetto alla strategia dei Borbone che per primi concepirono le “autostrade del mare”, incentivando il trasporto marittimo lungo le coste. Sicuramente più efficace rispetto anche alla morfologia interna del territorio.
    Sulle teoriche economiche legate all’agricoltura le ritengo ininfluenti ai fini della nostra analisi.
    Importante invece sottolineare l’errore di considerare “periferia” il Mezzogiorno d’Italia. In quel secolo, al contrario, era il “centro” del mediterraneo e dal punto di vista economico e militare (zolfo e Suez) era assolutamente strategico.
    Sulla mafia ho già detto in altri interventi, mi dispiace ma non sono d’accordo con lei.
    Continuo domani

  2. “Non una allegra unione di due corpi in un’anima ma una infame e brutale aggressione”. Questa frase però può anche essere applicata alla Sicilia che di certo non voleva essere unita al Regno dei Borbone e se l’approdo di Garibaldi ebbe successo fu anche perché la maggior parte della popolazione (e non semplici mafiosi come qualcuno arguisce) voleva staccarsi dall’odiata Napoli. Motivo che imbarazza anche i filorisorgimentali perché quello che deveva essere un moto per l’Unità, era invece un movimento “separatista”.
    Sull’intervento inglese ho detto sopra, quanto al fatto che i moti rivoluzionari non avevano alcuna rilevanza basta pensare che questi hanno costretto i sovrani a concedere una Costituzione nel ’48 e hanno spinto papa Pio IX a fuggire da Roma per rifugiarsi a Gaeta.
    Quanto all’istruzione e alle ferrovie, se nel 1860 il REgno delle Due Sicilie aveva un tasso di analfabetismo più alto e aveva meno strade della sola Lombardia, basta e avanza per dire che questa prosperità da taluni vantata prima dell’Unità non esiste.

  3. Non imbarazza niente, perché è arcinoto che esisteva già all’epoca un movimento indipendendista siciliano(visto che ne avevano piene le scatole di Re Borbone) che poi si fonde con quello nazionale.Si parte da là perché la Sicilia era considerata una vera polveriera,opinione unanime tra gli storici.Quelli degni di tal nome,non gli ingegneri, i ginecologi, gli architetti o qualche leguleio di bassa lega.

  4. Mattia, lei ha ragione, Palermo fu capitale di un regno ricco e potente e non accettava di buon grado la supremazia di Napoli e parte della popolazione della Sicilia ha sempre avuto mire separatiste. Tutto vero. Non dimentichi però come era organizzata la società dell’isola.
    I Baroni latifondisti rappresentavano il 5% della popolazione. Erano i padroni assoluti di tutto e avevano il vero potere, civile e penale. I Borbone, con la Costituzione del 1812, tolsero molti privilegi, non tutti, ma di fatto ne limitarono il potere feudale. Ovvio che erano odiati ed osteggiati!
    Con l’inurbamento dei baroni, nacquero nuove figure sociali come i gabellotti, i campieri e le famigerate compagnie d’arme formate da ladri, banditi e criminali legati da un vincolo di violenza mafiosa. Questa era la realtà, nessuno pensava all’Italia unita o al patriottismo risorgimentale. Difendersi dai soprusi, da qualsiasi parte arrivassero e ottenere un po’ di terra e libertà era l’unica aspirazione.
    I moti rivoluzionari diventavano efficaci solo quando era etero diretti e super finanziati. Sempre per motivi diversi dai nobili ideali degli eroi della Patria. Gli utili idioti ci sono sempre stati!
    Il numero di analfabeti o i chilometri di strada non sono affatto un parametro serio per vantare una superiore prosperità. Lei perde di vista il vero motivo di tutta questa vicenda. La qualità della vita del cittadino era pessima al Nord come al Sud. Quello che interessa era ed è la quantità di ricchezza globale dello Stato. I piemontesi non invasero il Sud per portare cultura e strade o per migliorare le condizioni di vita dei più poveri ma attratti unicamente dalle ingenti ricchezze conservate dai Borbone e dai nove milioni di nuovi sudditi da tassare.
    Continuo domani.

  5. Ernesto avrebbe bisogno di approfondire meglio la conoscenza della società siciliana del XIX secolo. Non basta leggere gli storici di professione allineati da sempre alla retorica risorgimentale.
    Il mondo è bello perché è vario ed è pieno di ingegneri, ginecologi, architetti e avvocati più informati, preparati ed appassionati di molti sedicenti esperti.
    Continuo domani.

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