Home Risorgimento Fenestrelle e il genocidio (inesistente) dei borbonici

Fenestrelle e il genocidio (inesistente) dei borbonici

Quanti furono i prigionieri di guerra borbonici e papalini che morirono al forte San Carlo di Fenestrelle tra il 1860 e il 1865, dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e la proclamazione del Regno d’Italia? Per Juri Bossuto e Luca Costanzo, autori del saggio “Le catene dei Savoia”, in uscita a settembre con l’Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, il loro numero ammonta a circa una quarantina. Si tratta dunque di una cifra ben diversa da quella fissata in decine di migliaia di presunte vittime sterminate nei presunti lager sabaudi, che da anni, tra siti Internet e libelli vari, vengono contrabbandate senza il sostegno di alcuna fonte archivistica, o di altro tipo, dalla pubblicistica neoborbonica e antiunitaria. L’anno scorso, sempre in estate, Bossuto e Costanzo avevano anticipato l’esito del loro lavoro basato su documenti parrocchiali, militari e civili dell’epoca, tirandosi addosso insulti e persino minacce. Ora il libro, che peraltro non si limita alla vicenda dei “napoletani” ma prende in esame il sistema carcerario e repressivo piemontese dal 1700 al fascismo, non fa che confermare quelle intuizioni.

di Massimo Novelli da La Repubblica Torino del 3 agosto 2012

Tanto che lo storico Alessandro Barbero, che ha scritto la prefazione, può affermare che il lavoro dei due ricercatori piemontesi “non è soltanto opera di storia, ma necessario intervento civile”, che smonta una “invenzione”: “Parlo d’invenzione, che è parola forte se usata fra storici, e lo faccio a ragion veduta, perché Bossuto e Costanzo dimostrano tangibilmente che per quanto riguarda Fenestrelle ciò che è stato scritto da autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, Lorenzo Del Boca o Pino Aprile è pura invenzione, non si sa quanto in buona fede”. Lo stesso Barbero rammenta di stare conducendo “una ricerca complessiva sullo scioglimento dell’esercito borbonico, il trattamento dei prigionieri e degli sbandati napoletani, e la loro incorporazione nell’esercito italiano, e ogni documento che mi passa tra le mani attesta che i libri di quegli autori contengono, in proposito, innumerevoli inesattezze e falsità, facilmente documentabili e dimostrabili”.

“Circa quaranta decessi in cinque anni tra soldati borbonici, ormai appartenenti ai Cacciatori Franchi (italiani, ndr) e papalini”, ricordano Bossuto e Costanzo, “significavano il doppio di quanto accadeva normalmente” a Fenestrelle. Però “in queste cifre, più che un genocidio etnico, si poteva osservare il macabro frutto di una profonda nostalgia, unita forse ad equipaggiamenti non adatti a quell’ambiente di alta montagna”. Dalla “corrispondenza ritrovata” traspare poi “un’attenzione continua dai caratteri umanitari” verso i militari napoletani, non “tralasciando mai di evidenziare l’essere i prigionieri di guerra soprattutto soldati che meritavano il medesimo trattamento riservato ai commilitoni sabaudi”.

Lo scopo che “si prefiggeva la traduzione dei soldati del “disciolto esercito borbonico” nelle fortezze di Fenestrelle” era “quello di “ricevere, disarmati, una lezione di moralità militare, dopo la quale verrebbero inviati ai Reggimenti” del nuovo Stato italiano. Uno scopo, perciò, “incompatibile con qualsiasi soluzione finale nei loro confronti”. Nel libro viene anche sfatata la “presunta e folle, se fosse vera, prassi di “gettare e sciogliere nella calce viva i soldati napoletani appena giunti a Fenestrelle””, come sostiene “uno dei tanti siti filoborbonici”. La calce viva “posta sui cadaveri era la prassi cui tutte le sepolture dovevano essere soggette per motivi d’igiene, all’epoca”.

_____________________

Inserito il 24 settembre 2012

244 Commenti

  1. Andiamo con ordine.
    A proposito della grande impresa militare dei mille, carte alla mano, quelle poche rimaste dopo la distruzione degli archivi borbonici.
    Calatafimi il primo grande evento della storia scritta dai vincitori, fu in realtà un ben misero accadimento. Tra le truppe borboniche, 3.000 uomini al comando del vecchio e malato generale Francesco Landi e il raccogliticcio esercito di Garibaldi (ai Mille si erano aggiunti altrettanti ‘picciotti’ siciliani), non ci fu che una modesta scaramuccia. Che, ironia della sorte, volse in netto favore dei borbonici che riuscirono persino ad impossessarsi del vessillo garibaldino.
    Quanto, però, i soldati di re Franceschiello erano sul punto di cogliere un netto successo, improvviso e inaspettato, giunse da parte del generale Landi l’ordine di abbandonare il campo e di ripiegare su Palermo. Eppure i reparti del colonnello Sforza erano ad un passo dalla vittoria e stavano già inseguendo i garibaldini in rovinosa fuga. E pensare che i borbonici avrebbero potuto gettare nella mischia altri 1.500 uomini tenuti di riserva. Quale il motivo di un comportamento così inspiegabile? Uno dei Mille, Francesco Grandi, così scrisse nel suo diario: “I garibaldini si meravigliarono, non credendo ai loro occhi e orecchie, quando si accorsero che il segnale di abbandonare la contesa non era lanciato dalla loro tromba ma da quella borbonica”. Circostanza confermata anche da Giuseppe Cesare Abba al quale “pareva miracolo aver vinto”. Il generale Landi, intanto, il giorno 17 giunse con le sue truppe a Palermo. I soldati napoletani erano disorientati e, soprattutto, non riuscivano a comprendere il perché di quella ritirata. Fatto sta che una commissione militare dispose per il generale borbonico la degradazione e la collocazione a riposo. Venne poi rinchiuso nel carcere di Ischia in attesa di un processo che con il crollo del regno di Francesco II non fu mai celebrato. Fu invece nominato generale nel nuovo esercito italiano dei Savoia con un congruo stipendio e una misteriosa enorme somma di denaro su un conto bancario (tutto documentato). Uno storico attento e autorevole come il De Sivo afferma che Landi, nel marzo del 1861, presentò al Banco di Napoli una fede di credito dell’importo di 14.000 ducati. Era, insomma, il prezzo del tradimento, il vero motivo per cui a Calatafimi aveva ordinato ai suoi soldati la ritirata. E così la battaglia di Calatafimi, quella che consegnò alle ‘camicie rosse’ il possesso della Sicilia, potrebbe essere stata decisa da un volgare episodio di corruzione. E la cosa non deve sorprendere più di tanto. Nel corso della spedizione si registrarono altri analoghi episodi. Lo stesso Cavour avrebbe più tardi provveduto a consegnare al contrammiraglio Carlo Pellion di Persano “un fondo spese… di un milione di ducati destinati alla corruzione degli ufficiali borbonici”.
    Nello scontro di Calatafimi persero la vita 32 garibaldini e 36 borbonici, un bilancio fin troppo esiguo per una battaglia che, secondo la ‘vulgata’ ufficiale, è stata decisiva per le sorti di Garibaldi e della sua impresa. Il resto, fino al Volturno, fu anche peggio!
    Continuo domani.

  2. Storico autorevole il De Sivooo? Quello che scrisse che il Regno dei Borboni era il “sorriso del Signore”, e passò il resto della vita a dire peste e corna sul Regno d’Italia sperando che crollasse? Le calunnie dei defenestrati e degli sconfitti (e De Sivo era un ex alto funzionario borbonico la cui casa era stata assalita dalla folla inferocita) non risparmiavano nessuno, neanche il proprio stesso esercito, di cui invece Garibaldi riconobbe sempre il valore. Uno dei figli di Landi, dopo la tragica morte del padre che era stato già pienamente assolto assieme ad altri alti ufficiali da tutte le accuse, scrisse direttamente a Garibaldi per pregarlo in nome di tutto il parentado di fugare le infamità sui soldi che il padre avrebbe percepito, un’infamità cui aveva dato man forte la rivista gesuita “Civiltà cattolica”, dimenticando che le bugie portano dritti all’inferno. Ma era in gioco un Regno, e non si andava per il sottile.
    Anche i sassi di Calatafimi sanno che Landi aveva ordini precisi di andare a Palermo e non poteva rischiare di farsi tagliare la strada, per cui, sapendosi circondato dagli insorti siciliani con cui l’esercito borbonico era in guerra da oltre un mese, non poteva certo bastargli la momentanea difficoltà dei garibaldini per sperare di uscir fuori da quella morsa. Gli insorti avevano saccheggiato anche i mulini per lasciarlo senza viveri. Si ritrovò anche senza munizioni, accerchiato dall’odio della popolazione, che a Partinico e negli altri paesi sparò dai balconi e dalle finestre sull’esercito di Francesco II. Ai soldati borbonici era stato detto peraltro che i garibaldini erano quattro straccioni improvvisati che non sapevano combattere, ma proprio a Calatafimi s’accorsero che non era così, anzi la metà di loro erano veterani della 1a e 2a guerra d’indipendenza, e ciò convinse Landi a uscire da lì prima che fosse troppo tardi. La “camminata” verso Palermo fu peraltro un disastro: Garibaldi stesso dovette intervenire per limitare l’odio della popolazione che non voleva neanche seppellire i cadaveri dei borbonici linciati, per farli mangiare dai cani.
    Al contrario, il nostro Eroe fece curare i nemici feriti e li visitò complimentandosi per il loro valore, e lasciandoli liberi di scegliere se rimanere con lui o andarsene: e molti rimasero (per non dire tutti).
    Poichè la “telenovela” anti-Risorgimentale è meglio del teatro cui ho assistito ieri sera, il signor Socrate potrà continuare a sparare le sue cannonate, come quella che Landi entrò
    nell’esercito sabaudo (????), quando morì, invece, praticamente ridotto in miseria, ai primi di febbraio 1861. Casomai furono i figli a entrare nell’esercito sabaudo, cosa che peraltro fece circa 3/4 dell’esercito borbonico: un esercito di 100.000 uomini che non tradì proprio nessuno se una parte di loro si sentì italiana e venne accolta a braccia aperte da chi per l’Italia stava combattendo.
    Circa le delicate mansioni diplomatiche ed esplorative dell’ammiraglio Persano da parte di Cavour, si trattava di garantire un futuro a chi si dimetteva o intendeva passare dalla parte opposta, e nella flotta borbonica si manifestò a maggioranza questo desiderio quando si vide come la capitale Napoli aveva accolto Garibaldi che vi entrò senza sparare un colpo. Ma bisognava assicurare all’ex flotta borbonica un futuro, la permanenza nei gradi e nello stipendio, e dunque occorrevano soldi, molti soldi. Come sempre.
    Maria Cipriano

  3. A proposito del “nostro eroe”:
    Il 7 settembre del 1860 Giuseppe Garibaldi entra a Napoli con pochi fidi precedendo di due giorni l’armata attardata in Calabria. La città è ancora presidiata da 6.000 soldati borbonici che se ne stanno disciplinati nelle caserme. Ma Liborio Romano, Ministro degli Interni e della Polizia delle Due Sicilie, gli ha assicurato che non ci sono problemi: da tempo si è accordato con Salvatore De Crescenzo (detto Tore ‘e Criscienzo), il capo riconosciuto della Camorra, detenuto in carcere.
    Romano ha patteggiato la sua liberazione e quella di tutti i camorristi in cambio dell’aiuto “patriottico” a Garibaldi, consistente nell’eliminazione “per coltello” dei delegati di polizia e nella presa di controllo della città.
    Fonte: Colpa di Garibaldi se la malavita la fa da padrona
    di GILBERTO ONETO – Libero 5 Novembre 2006

    e a proposito di persone oneste e per bene:
    “Studi in archivi e su periodici di Edimburgo mi hanno permesso di rile¬vare e confermare il versamento a Garibaldi di una somma veramente ingen¬te, durante la sua breve permanenza a Genova, prima che la Spedizione sciogliesse le ancore.
    La somma, riferita con precisione, è di tre milioni di franchi francesi. Questo capitale tuttavia non venne fornito a Garibaldi in moneta francese, bensì in piastre d’oro turche.
    Non è agevole valutare il valore finanziario di tale somma. Riferito alle valute dell’epoca dei principali Stati europei, e rapportandolo al reddito na¬zionale, con larga approssimazione si tratta di molti milioni di dollari di og¬gi”.
    [Tratto della relazione tenuta da Giulio Di Vita al convegno “La liberazione d’Italia ad opera della Massoneria” organizzato a Torino (24 e 25 settembre 1988) dal Centro per la storia della Massoneria e dal Collegio dei Maestri Venerabili di Piemonte e Valle d’Aosta]

    Il Palazzo Reale fu spogliato di tutto, gli oggetti più preziosi furono spediti a Torino, altri venduti al miglior offerente.
    L’11 settembre l’oro della Tesoreria dello Stato, patrimonio della Nazione meridionale (equivalente a 3.235 miliardi di lire dei giorni nostri, 1670 milioni di euro) e anche i beni personali che il Re aveva lasciato nella Capitale “sdegnando di serbare per me una tavola, in mezzo al naufragio della patria” (assommavano a 40 milioni di lire dell’epoca, circa 300 miliardi di vecchie lire, 150 milioni di €), tutti depositati presso il Banco di Napoli furono requisiti e dichiarati “beni nazionali”.
    Con i frutti del saccheggio furono decretate svariate e lucrose pensioni vitalizie: ai vertici della Camorra, di cui la prima beneficiaria fu Marianna De Crescenzo [detta la Sangiovannara] sorella di Salvatore che era il capo assoluto della malavita e che aveva garantito l’ordine pubblico a Napoli dietro l’incarico del ministro Liborio Romano; alla famiglia di Agesilao Milano (mancato regicida nel 1856 e definito “eroe senza esempio tra antichi e moderni, superiore a Scevola” ), ad ufficiali piemontesi e garibaldini; per questi ultimi, grazie all’inflazione dei gradi militari nelle camicie rosse (il rapporto tra ufficiali e truppa era diventato 1:4 quando la regola era 1:20) ci fu un notevole esborso; 800 comandanti non prestavano alcun servizio perché non avevano nessun soldato agli ordini ma percepirono lo stesso il soldo.
    Sei milioni di ducati [180 miliardi di vecchie lire, 90 milioni di €], con un decreto firmato il 23 ottobre, vennero spartiti tra coloro che avevano sofferto persecuzioni dai Borboni (la maggior parte di essi in ottima salute), undici anni di stipendi arretrati furono corrisposti ai militari destituiti nel 1849 “tenendo conto delle promozioni che nel frattempo avrebbero avuto”, sessantamila ducati andarono a Raffaele Conforti per stipendi arretrati dal 1848 al 1860 spettatigli perché “ministro liberale in carica ancorché per poche settimane” e molti altri denari finirono in altrettante tasche con le più disparate e a volte pittoresche motivazioni come al Dumas padre “perché studiasse la storia” al De Cesare “perché studiasse l’economia “[239].
    Il saccheggio fu così completo che ad un certo punto Garibaldi fece minacciare di fucilazione i banchieri napoletani in caso di rifiuto “a questo modo venne uno dei primi banchieri di Napoli e sborsò uno o due milioni”; illuminanti alcuni commenti di contemporanei non borbonici sulla situazione creatasi a Napoli:”indescrivibile è lo sperpero che si fa qui di denaro e di roba; furono distribuiti all’armata di Garibaldi, che non arriva a 20mila uomini, più di 60mila cappotti e un numero proporzionato di coperte, eppure la gran parte dei garibaldini non ha nè coperte nè cappotti; in un solo mese, oltre alle ordinarie, si pagarono dalla Tesoreria per le sole spese straordinarie dell’Armata non giustificate 750mila ducati”;”nelle cose militari regna un assoluto disordine, manca ogni disciplina, ognuno fa quello che vuole…le spese giornaliere ascendono a una somma enorme. Le intendenze militari hanno prese razioni per il triplo degli uomini che devono mantenere”; “in questo momento il disordine è spaventoso in tutte le branche dell’Amministrazione…i mazziniani rubano e intrigano”; “la finanza depauperata, i dazi non si pagano, il commercio è perduto…tutto è furto ed estorsioni”; “qui si ruba a man salva, tutto andrà in rovina se non si pensa a un riparo”; “l’attuale ministero è sceso nel fango, ed il fango lo imbratta. Certi ministri si sono abbassati fino a ricevere circondati da què capopoli canaglia, che qui diconsi camorristi” [240].
    Fonte: GIUSEPPE RESSA, IL SUD E L’UNITÀ D’ITALIA – dalla storiografia ufficiale alla realtà dei fatti – Edizione risale al dicembre 2005
    Continuo domani….

  4. Ma cosa vuole continuare, lei, che non ne imbrocca una?
    Lei pesca qui e là dal calderone maccheronico dell’anti-Risorgimento di ogni specie. E infatti cita fonti per me del tutto inattendibili: 1)il leghista Gilberto Oneto 2)il filoborbonico Giuseppe Ressa e il suo libro apologetico sul Regno delle due Sicilie infarcito d’inesattezze, basta vedere la bibliografia di parte alla quale si è ispirato 3) Giulio Di Vita e il suo “documento” di Edimburgo che mai nessuno vide, e tantomeno lo videro gli storici accademici ai quali avrebbe dovuto presentarlo per le analisi e i riscontri necessari, e che il Britih Museum ha stroncato, la studiosa Fausta Samaritani della Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana ed esperta di Ippolito Nievo, ha stroncato, spiegando tra l’altro che le piastre d’oro turche non esistevano, e comunque le monete d’oro non avevano corso legale nel Regno delle due Sicilie. Ma gli improvvisati falsari austriaci e cattolici che inventarono questa fola nel 1860-’62 pensavano si trattasse di una moneta diffusa nel Mediterraneo, mentre le piastre turche d’argento venivano usate solo nelle transazioni con la Turchia o entro i confini dell’impero ottomano.
    Mi parla di un convegno di massoni di trent’anni fa, che non sono storici. Anche nell’enciclopedia Treccani è scritto che hanno contribuito alla disinformazione generale, desiderosi di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel Risorgimento che non avevano.
    Mi scodella le solite “rifritture” del povero Franceso II che uscì da Napoli senza danaro e preziosi (ma con Adolphe Von Rotschild al seguito presso cui si presume si fosse preventivamente assicurato). Del resto non sarebbe arrivato neanche a Porta Capuana se fosse partito altrimenti. Dileggia l’esercito borbonico a cui i garibaldini e i “piemontesi” presentarono le armi (e viceversa). Non c’era bisogno di corrompere nessuno, mi creda, giacchè l’esercito borbonico, composto da coloro che Garibaldi chiamava “fratelli italiani”, fu attraversato da diserzioni, conflitti di coscienza e ripensamenti dal primo all’ultimo giorno di guerra, e lo stesso prestigioso Collegio militare della Nunziatella si spaccò drammaticamente in due. Sulle navi borboniche si verificarono altrettante drammatiche scene (così come all’interno di molte famiglie) cui però l’anti-Risorgimento non presta peso, dal momento che considera evidentemente i meridionali un branco di pulcinella pronti a vendersi per danaro. A Gaeta accadde una delle più belle scene del Risorgimento: quella dei militari “piemontesi” ed ex borbonici che gridarono insieme “Viva l’Italia” così forte da superare il rombo dei cannoni. Già in Calabria il morale di moltissimi militari di Francesco II era crollato di fronte a Garibaldi, cosicchè rimase meno della metà dell’esercito con cui il Re Francesco potè concludere la guerra al Volturno e la resistenza estrema nelle ultime roccaforti, dopodichè si conservò lo zoccolo duro che non si arrese mai e fu fatto prigioniero, ma nessuno sa di preciso quanti furono. Pochi, comunque.
    Circa i tesori di Palazzo Reale, i Sovrani piemontesi erano pieni di ville e palazzi reali uno più bello dell’altro, e dunque bisognerà chiedere a qualcun altro dove sono finiti gli arredi. Lo stesso Ricasoli in Parlamento disse ch’era stata messa in giro la dicerìa che i Piemontesi si erano fregati tutto: possiamo immaginare chi fosse questo qualcuno e che presa facesse su certo popolino ignorante.
    In quanto a Liborio Romano, ex carbonaro che patì per il Risorgimento prigionia e persecuzioni, fu il Re in persona a pregarlo di entrare nel governo nell’imminenza del disastro. Fuori, fremeva una città di 500.000 abitanti attraversata da un esercito di camorristi -proliferati nel felice regno dei Borboni- le cui reazioni non erano prevedibili, e dai quali giusto Garibaldi riuscì a farsi obbedire e rispettare. Chiunque avrebbe potuto uccidere il nostro Eroe mille volte, ma Giosafatte Talarico, il più famoso brigante dell’epoca, si rifiutò sdegnosamente pur dietro pagamento di una grossa somma.
    Il restante labirinto di calunnie che s’intrecciavano convulsamente all’epoca a me non interessa, giacchè io mi occupo di Storia, non di pettegolezzi, voci di corridoio, chiacchiere, maldicenze e illazioni, tutte ispirate da moventi politici e di parte, e che naturalmente il La Farina ingigantiva per conto dei moderati e per convincere il Re a raggiungere Garibaldi prima possibile.
    Maria Cipriano

  5. Chi si occupa di Storia sa che le fonti, anche le più certe e documentate, vanno studiate e quindi interpretate collegandole ai mille risvolti sociali, politici, economici e culturali che fanno da cornice agli eventi presi in esame.
    Se da elementi certi e provati come i bilanci del nuovo stato italiano risulta che il Regno del Sud possedeva il doppio dell’oro conservato nelle casse di tutti gli altri stati italiani messi assieme e che il debito pubblico del Piemonte era 10 volte quello regno borbonico, dobbiamo almeno chiederci se l’afflato patriottico fu sincero o interessato. La risposta la lascio al suo buon senso.
    Che il Benso fosse un pupazzo nelle mani degli inglesi a causa dell’ingente debito contratto non è più un segreto, così come è ormai noto l’interesse dell’Inghilterra per il controllo del Mediterraneo (Suez, lo zolfo, il controllo delle rotte, ecc.). Non ci vuole poi molto a mettere insieme le due cose.
    La più bella scena del Risorgimento la scrissero i difensori di Gaeta, quelli che non tradirono e che dopo la resa sfilarono in lacrime, con l’onore delle armi, tra le truppe sabaude schierate non prima di aver ritagliato un pezzo di bandiera e averlo conservato sul cuore sotto la giubba.
    I tanti traditori non furono puniti o dileggiati per la loro viltà dai nuovi padroni, al contrario vennero premiati e inseriti organicamente nei gangli del potere. Non so chi tra corrotto e corruttore mi dà più il voltastomaco!
    La Storia la scrivono i vincitori, ma il tempo è galantuomo e nonostante le distruzioni dei documenti e la falsificazione di atti, la verità pian piano verrà alla luce.
    Tra i fatti certi che non è possibile in nessun modo negare elenco una sintesi dei primati più significativi:
    1735. Prima Cattedra di Astronomia in Italia
    1737. Primo Teatro al mondo (S.Carlo di Napoli)
    1754. Prima Cattedra di Economia al mondo
    1763. Primo Cimitero Italiano per poveri (Cimitero delle 366 fosse)
    1781. Primo Codice Marittimo del mondo
    1782. Primo intervento in Italia di Profilassi Antitubercolare
    1783. Primo Cimitero in Europa ad uso di tutte le classi sociali (Palermo)
    1792. Primo Atlante Marittimo nel mondo (Atlante Marittimo Due Sicilie)
    1801. Primo Museo Mineralogico del mondo
    1807. Primo Orto Botanico in Italia a Napoli
    1813. Primo Ospedale Psichiatrico in Italia (Reale Morotrofio di Aversa)
    1818. Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”
    1819. Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte
    1832. Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa sul fiume Garigliano
    1833. Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”
    1835. Primo istituto Italiano per sordomuti
    1836. Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel mediterraneo
    1839. Prima Ferrovia Italiana, tratto Napoli-Portici
    1840. Prima fabbrica metalmeccanica d’Italia per numero di operai
    1841. Primo Centro Sismologico in Italia (Ercolano)
    1841. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
    1843. Prima Nave da guerra a vapore d’ Italia “Ercole”
    1845. Primo Osservatorio meteorologico d’Italia
    1845. Prima Locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
    1852. Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (porto di Napoli)
    1852. Primo Telegrafo Elettrico in Italia
    1856. Esposizione Internazionale di Parigi, premio per il terzo paese al mondo come sviluppo industriale
    1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
    1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
    1860. Prima Flotta Mercantile e Militare d’Italia
    1860. Prima Nave ad elica in Italia “Monarca”
    1860. Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
    1860. Prima città d’Italia per numero di Tipografie (Napoli)
    1860. Prima città d’Italia per numero di Pubblicazioni di Giornali (Napoli)
    1860. Primo Corpo dei Pompieri d’Italia
    1860. Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
    1860. Primo Stato Italiano per ricchezza di Lire-oro (443 milioni)
    1860. La più alta quotazione di rendita dei Titoli di Stato
    1860. La più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia
    1860. La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia
    1860. Il minore carico Tributario Erariale in Europa

    Continuo domani…

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Exit mobile version