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Fenestrelle e il genocidio (inesistente) dei borbonici

Quanti furono i prigionieri di guerra borbonici e papalini che morirono al forte San Carlo di Fenestrelle tra il 1860 e il 1865, dopo il crollo del Regno delle Due Sicilie e la proclamazione del Regno d’Italia? Per Juri Bossuto e Luca Costanzo, autori del saggio “Le catene dei Savoia”, in uscita a settembre con l’Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, il loro numero ammonta a circa una quarantina. Si tratta dunque di una cifra ben diversa da quella fissata in decine di migliaia di presunte vittime sterminate nei presunti lager sabaudi, che da anni, tra siti Internet e libelli vari, vengono contrabbandate senza il sostegno di alcuna fonte archivistica, o di altro tipo, dalla pubblicistica neoborbonica e antiunitaria. L’anno scorso, sempre in estate, Bossuto e Costanzo avevano anticipato l’esito del loro lavoro basato su documenti parrocchiali, militari e civili dell’epoca, tirandosi addosso insulti e persino minacce. Ora il libro, che peraltro non si limita alla vicenda dei “napoletani” ma prende in esame il sistema carcerario e repressivo piemontese dal 1700 al fascismo, non fa che confermare quelle intuizioni.

di Massimo Novelli da La Repubblica Torino del 3 agosto 2012

Tanto che lo storico Alessandro Barbero, che ha scritto la prefazione, può affermare che il lavoro dei due ricercatori piemontesi “non è soltanto opera di storia, ma necessario intervento civile”, che smonta una “invenzione”: “Parlo d’invenzione, che è parola forte se usata fra storici, e lo faccio a ragion veduta, perché Bossuto e Costanzo dimostrano tangibilmente che per quanto riguarda Fenestrelle ciò che è stato scritto da autori come Fulvio Izzo, Gigi Di Fiore, Lorenzo Del Boca o Pino Aprile è pura invenzione, non si sa quanto in buona fede”. Lo stesso Barbero rammenta di stare conducendo “una ricerca complessiva sullo scioglimento dell’esercito borbonico, il trattamento dei prigionieri e degli sbandati napoletani, e la loro incorporazione nell’esercito italiano, e ogni documento che mi passa tra le mani attesta che i libri di quegli autori contengono, in proposito, innumerevoli inesattezze e falsità, facilmente documentabili e dimostrabili”.

“Circa quaranta decessi in cinque anni tra soldati borbonici, ormai appartenenti ai Cacciatori Franchi (italiani, ndr) e papalini”, ricordano Bossuto e Costanzo, “significavano il doppio di quanto accadeva normalmente” a Fenestrelle. Però “in queste cifre, più che un genocidio etnico, si poteva osservare il macabro frutto di una profonda nostalgia, unita forse ad equipaggiamenti non adatti a quell’ambiente di alta montagna”. Dalla “corrispondenza ritrovata” traspare poi “un’attenzione continua dai caratteri umanitari” verso i militari napoletani, non “tralasciando mai di evidenziare l’essere i prigionieri di guerra soprattutto soldati che meritavano il medesimo trattamento riservato ai commilitoni sabaudi”.

Lo scopo che “si prefiggeva la traduzione dei soldati del “disciolto esercito borbonico” nelle fortezze di Fenestrelle” era “quello di “ricevere, disarmati, una lezione di moralità militare, dopo la quale verrebbero inviati ai Reggimenti” del nuovo Stato italiano. Uno scopo, perciò, “incompatibile con qualsiasi soluzione finale nei loro confronti”. Nel libro viene anche sfatata la “presunta e folle, se fosse vera, prassi di “gettare e sciogliere nella calce viva i soldati napoletani appena giunti a Fenestrelle””, come sostiene “uno dei tanti siti filoborbonici”. La calce viva “posta sui cadaveri era la prassi cui tutte le sepolture dovevano essere soggette per motivi d’igiene, all’epoca”.

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Inserito il 24 settembre 2012

244 Commenti

  1. p.s. Il commento di cui sopra va interpretato in questo modo:
    Finalmente! Oggi, 05/12/2012, è il gran giorno. Infatti a Bari, c/o la Libreria Laterza, via Dante 49/53, il prof. Alessandro Barbero dialoga con il prof. Gennaro De Crescenzo, moderatore Lino Patruno. Un’occasione molto importante per amici e simpatizzanti della zona per chiarire alcuni punti importanti in merito ad una storia (quella dei soldati borbonici e delle tante e complesse questioni meridionali) degna di un’attenzione e di un rispetto che la storiografia ufficiale (di cui Barbero è uno degli esponenti più in vista) non sempre ha dimostrato di avere.
    Martedì 11 dicembre, ore, 18, invece, incontro tra Barbero e Gigi Di Fiore a Torino, c/o la Libreria Torre di Abele, via Pietro Micca 22.
    Nupo da Napoli

  2. Finalmente!Finalmente. Come i nodi vengono al pettine,anche le verità non possono essere NASCOSTE. Dall’attesissimo (e storico incontro) tra Barbero e De Crescenzo non credo che “i prezzolati scrittori di regime” siano usciti bene dal confronto. Riporto quanto comunicato dal Presidente dei Neoborbonici, in attesa di conoscere quanto dirà ( se lo dirà)Barbero:
    “Serata importate quella del 5 dicembre a Bari: non il “solito dibattito”, come sottolineato dal moderatore Lino Patruno nel suo articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno” (5/12/12) e dalla pagina dedicata all’avvenimento dal Corriere del Mezzogiorno (6/12/12), ma “due mondi diversi e due modi diversi di leggere passato e presente a confronto”. Sala stracolma per le oltre due ore del confronto tra il prof. Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico e il prof. Alessandro Barbero,
    docente piemontese di storia medioevale e romanziere. Come premessa e vista la partecipazione dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo, ancora una dimostrazione della volontà e della necessità sempre più diffusa di ricostruire la nostra memoria storica. Da riconoscere i meriti di chi ha organizzato la serata accettando correttamente la “sfida” lanciata qualche settimana fa dai neoborbonici al prof. Barbero, autore di un libro al centro di polemiche e reazioni. Una sintesi della serata e qualche considerazione in attesa del video integrale che la casa editrice Laterza dovrebbe inviarci fra qualche giorno. La tesi principale del libro “I prigionieri dei Savoia” (che nel titolo ambivalente sembra assecondare il “filone revisionista” di grande successo negli ultimi tempi) è che la “questione è stata risolta facendo finalmente chiarezza contro le mistificazioni neoborboniche”. De Crescenzo ha evidenziato subito che la ricerca, invece, è iniziata solo per merito di coloro che vengono ora attaccati e che Barbero ha utilizzato solo una minima parte delle fonti archivistiche disponibili (il 2,3% di quelle presso l’Archivio di Stato di Torino, ancora di meno quelle presso l’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, nessuna presso gli archivi civili ed ecclesiastici del Sud e del Nord o presso l’Archivio Centrale dello Stato a Roma…). Sorprendente la risposta di Barbero che, “non potendo trascorrere decenni negli archivi, secondo la sua coscienza ha ritenuto sufficienti quelle ricerche e ha tratto delle conclusioni”. Ovvio che si tratta di una scelta legittima. Ovvio anche che coscienza e ricerca archivistica dovrebbero restare su piani diversi. Ovvio anche, però, che questa scelta non può autorizzare nessuno a parlare di “assolute certezze” (!) o a dichiarare “chiuse” questioni così complesse o ad accusare tutti gi altri di “mistificazioni o strumentalizzazioni a fini immondi” o a trattare con un distacco al limite del disprezzo quei soldati che, come ha evidenziato De Crescenzo, pure ammesso che non siano stati vittime di una “volontà sterminatoria” furono deportati lontano dalla loro patria contro la loro volontà e, di fatto, sterminati… Barbero ha dichiarato di avere utilizzato, poi, un linguaggio “vivace” contro i suoi “avversari” dopo gi attacchi subiti via web: peccato che, come gli ha ricordato il moderatore, lui abbia scritto il suo libro prima di quegli attacchi… Lo stesso storico ha riconosciuto di non essersi recato presso l’Archivio di Stato di Napoli (prezioso, come dimostrano i ritrovamenti di diversi documenti relativi a decessi di soldati napoletani deportati, come ha sottolineato De Crecenzo) poiché si “era fidato delle ricerche di Gigi Di Fiore”: peccato che lo stesso Barbero, sempre nel suo libro abbia definito “inattendibili” o carenti le fonti di Di Fiore “su questi temi” (e anche sui caduti di Gaeta -circa 300 e non 69 come sostenuto da Barbero -come dimostrato anche da recentissime ricerche dei neoborbonici…). Alla domanda “dove eravate voi storici ufficiali mentre qualcuno usava i tricolori per fini igienico-personali o inventava miti inesistenti come quelli dei Celti o delle padanie o di Alberto da Giussano”, Barbero ha risposto che si trattava di “questioni politiche”: peccato che si trattasse anche di questioni storiche (e per giunta legate al mondo medioevale di cui barbero è stimato esperto) e che lo stesso Barbero nel suo libro e nelle frequenti interviste (intere paginate senza diritto di replica, privilegio mai riservato neanche ai Nobel), abbia più volte paventato il rischio di “balcanizzazioni” e secessioni con la Lega al Nord e i neoborbonici al Sud (peccato ancora che i neoborbonici non si siano mai candidati da nessuna parte da 151 anni mentre la Lega era ed è -anche nel suo Piemonte- al governo. Alla domanda “come mai vi indignate ora di fronte ad una lapide apposta con una colletta dai coraggiosi volontari (degli amici dei comitati delle Due Sicilie) e non vi siete indignati mentre per un secolo e mezzo venivano apposte lapidi cariche di bugie o addirittura celebrative dei generali massacratori dei meridionali o mentre si sperperavano negli scandali i soldi pubblici in Italia (e a Torino) per le celebrazioni dei 150 anni”, il prof. Barbero non ha risposto in sala ma con un’intervista a Storia in Rete (nov-dic. 2012) in cui ha dichiarato che le “semplificazioni” degli storici ufficiali erano e sono a fin di bene, per fini superiori e unificanti” senza informarci, però, dell’esistenza o meno di un apposito ufficio abilitato al rilascio di patenti da storico o di certificazioni di “superiorità di fini” e senza pensare che la retorica risorgimentalista ha avuto come conseguenza proprio la ricerca e il successo dilagante dei neoborbonici o dei revisionisti… Nessuna risposta all’amarezza manifestata da De Crescenzo di fronte alle risate (forse nervose) del prof. Barbero anche durante la lettura di testimonianze drammatiche. Nessuna risposta alle tesi esposte da De Crescenzo in merito alla parola genocidio coniata da Lemkin e collegabile ad “atti finalizzati all’eliminazione delle istituzioni, dei sentimenti nazionali e finanche delle vite di gruppi nazionali” e drammaticamente applicabile agli atti compiuti dai Savoia contro i soldati e le popolazioni delle Due Sicilie. Coerente, allora, per De Crescenzo, l’uso contestato da Barbero del termine “campo di concentramento” per campi come quelli di S. Maurizio (fino a 12.000 “ospiti”: altro che i canti e i balli serali citati nel libro e tragicamente anticipatori delle orchestrine allestite dai prigionieri nei lager nazisti). A proposito del razzismo diffuso in numerose citazioni, evidenziato l’errore grave di interpretazione storica di Barbero per il quale “i soldati sarebbero stati fedeli al Re e non alla nazione (un valore posticcio)”: peccato, com’è stato sottolineato, che Re e nazione coincidessero a Napoli e al Sud da oltre 7 secoli… Evidenziato anche il “distacco” dell’autore verso “quei poveracci morti negli ospedali e forse inopportunamente ricordati come i nostri caduti” (ma Barbero, stranamente, non ricordava di aver usato quell’espressione nel suo libro… a p. 267!).
    Diverse le lacune archivistiche denunciate ancora da De Crescenzo: la differenza di cifre riportate dalle varie fonti, Fenestrelle compresa (e si tratta di persone e non di numeri), l’assenza di dati sulle migliaia di deportati nelle isole (Sardegna in testa), l’assenza di notizie (riportate in una piccola nota!) sulle vergognose trattative sabaude per deportare i meridionali in Patagonia e in altri posti desolati nel resto del mondo, l’impossibilità di trovare riscontri archivistici per atti magari anche illegali, l’incoerenza razionalmente inaccettabile tra i comportamenti degli stessi ufficiali, generali o ministri razzisti e violenti al Sud, caritatevoli e umani al Nord contro le stesse “carogne luride e puzzolenti” (i nostri soldati).
    Superficialmente affrontato anche il tema della questione meridionale che per Barbero non sarebbe nata dopo il 1860 (“E quando? Basterebbe dare solo un occhio alle nuove ricerche su redditi, pil, finanze e livelli di industrializzazione per capire) e neanche per colpa di Garibaldi e garibaldini di cui “il 50% erano meridionali”(e De Crescenzo ha citato il ruolo ormai riconosciuto della mafia e fonti ufficiali come i testi di Scirocco o dello stesso Archivio di Torino che negano completamente quelle cifre attestando che i meridionali erano in camicia rossa in percentuali minime).
    Di fronte alle copie di documenti distribuite in sala dai neoborbonici, Barbero evidenziava l’altra (debole) tesi centrale del libro: gli atti di morte di quei soldati (“centinaia ritrovati dagli infaticabili ricercatori del Movimento Neoborbonico tra Napoli e Torino” e “sfuggiti” alle ricerche di Barbero) sono successivi al 17/3/1861 (proclamazione del Regno d’Italia) e quindi si trattava di soldati “italiani”, tralasciando il fatto che, comunque li si definisse (italiani, napoletani, prigionieri, sbandati, renitenti, disertori o briganti), erano cittadini delle Due Sicilie che in ogni modo e a qualsiasi costo avevano dimostrato di voler restare tali.
    Dato oggettivo presentato da De Crescenzo: non risultano negli archivi meridionali rientri di quei famosi 60.000 ragazzi che nessuno aveva il diritto di deportare altrove e che meritano ogni rispetto anche come esempio di una dignità che il Sud, piaccia o no a Barbero, sta ritrovando se solo guardiamo al successo di pubblicazioni o manifestazioni “neoborboniche” o di serate come questa… Necessarie, allora, come evidenziava anche Patruno, altre ricerche aspettandosi magari ricostruzioni storiche inaspettate come quelle che hanno finalmente fatto luce su episodi tragici come quelli di Pontelandolfo e Casalduni (riconosciuti addirittura dalle istituzioni) o sui primati soprattutto economici del Sud preunitario (su tutti le ricerche della Banca d’Italia e dell’Università di Bruxelles).
    Significativi anche l’intervento di Giuseppe Laterza (editore meridionale che, parafrasando il Barbero sconcertato dalla pubblicazione nazionale di “Terroni” di Pino Aprile, ha “incredibilmente pubblicato” il suo libro) sul futuro del Sud. In estrema sintesi: “basta nostalgie, basta lamentarsi, facciamo autocritica, rimbocchiamoci le maniche, esistono più Sud anche positivi, il Sud faccia da solo”) e la risposta di De Crescenzo: da 151 anni ascoltiamo queste stesse tesi e da 151 anni esistono due Italie in quanto a diritti e opportunità, per le colpe di classi dirigenti -dai docenti agli editori, dai politici agli intellettuali- interessate a tutelare i propri interessi e complici di un sistema nord-centrico: solo con classi dirigenti veramente e finalmente nuove (altro che “nostalgismi”) consapevoli e fiere, il Sud troverà il suo riscatto. Tesi condivisa anche da Patruno che ha evidenziato la necessità di pretendere e ottenere una “par condicio” politico-economica mai ottenuta prima (sintesi dei progetti civico-culturali dei “nemici” di Barbero: altro che “fini immondi”). Dello stesso tono gli interventi del pubblico sull’esigenza di chiarire che l’unificazione fu per il Sud un’invasione straniera e una colonizzazione e che da oltre 150 anni i meridionali subiscono il razzismo (lamentato da Barbero!) sulla loro pelle, sulla necessità di sintetizzare le tesi storiografiche, sulle difficoltà oggettive (dal costo del denaro ai trasporti) del Sud che fa da solo, si autoflagella e si rimbocca le maniche da sempre, sulla necessità di indignarsi magari anche per il (torinese) museo dedicato a Lombroso…
    Qualcuno ha detto, uscendo dalla sala: “3 a 0 in trasferta per i neoborbonici” ma quella di mercoledì sera era qualcosa di più importante di una partita di calcio…
    Felice Abbondante, Salvatore Lanza”.

    Ecco, qualcuno ” ha detto, uscendo dalla sala: “3 a 0 in trasferta per i neoborbonici””
    Noi però, dopo il successo dei “nemici di Barbero” nella serata barese, aspettiamo “il secondo tempo” che si terrà
    martedì 11 dicembre ore 18.00 a Torino (Libreria Torre di Abele, via Pietro Micca 22) dove ci sarà un nuovo confronto tra il prof. Barbero e Gigi Di Fiore, uno degli storici più documentati (e citati) sui temi al centro del recente dibattito sui soldati napoletani deportati al Nord. Un altro appuntamento da non perdere. Aspettiamo….! Nupo da napoli.

  3. Barbero/De Crescenzo: commento finale di Lino Patruno.
    ECCO IL COMMENTO FINALE CHE HA RILASCIATO LINO PATRUNO, arbitro del dibattito svoltosi a Bari tra Barbero e De Crescenzo: ” Lino Patruno, già direttore ed attuale opinionista di punta della Gazzetta del Mezzogiorno, profondo conoscitore del mondo meridionalista e autore di numerosi e diffusissimi saggi sul tema (ultimi “Fuoco del Sud” e “Ricomincio da Sud”), è stato il moderatore a Bari nel confronto tra Alessandro Barbero e Gennaro De Crescenzo. Questo il suo chiarissimo e incisivo commento. Che non fosse un dibattito qualsiasi, lo si era capito prima e se ne è avuta conferma dopo. Il dibattito su Fenestrelle alla libreria Laterza di Bari.Anzitutto in territorio ostile, in casa di un editore che sul Risorgimento italiano non ha mai pubblicato nulla che non sposasse la storia raccontata dalle università e dall’accademia. E poi con uno storico come il torinese Alessandro Barbero, che appunto per Laterza ha scritto “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”: non solo una conferma delle tesi fin qui ascoltate, ma anche un meditato florilegio verso le tesi deiMovimenti meridionali, a cominciare dai Neoborbonici. Barbero non voleva solo contrapporsi alla mala pianta (a suo parere) del revisionismo storico, ma voleva irriderla e umiliarla. Sul piano scientifico,
    ovvio, non potendo sospettare in lui rancori personali che invece hanno rischiato di fare subito capolino. Alla partenza, con un risolino verso il pubblico che gli è stato immediatamente rinfacciato e che egli ha dovuto altrettanto immediatamente ritirare. Il risolino verso interlocutori dalle tesi e dall’ardire non meritevoli di un rispetto né scientifico né democratico. Insieme all’accusa di storia mistificata col “fine immondo” di accendere gli animi del Sud e spaccare l’Italia. Non meraviglia, anzi meraviglia, in uno
    studioso che è parso aver dimenticato cosa volesse spaccare la Lega Nord (e che da una regione governata dalla Lega Nord proviene). Lega verso la quale ha però usato senza perifrasi un solo aggettivo: “ignoranti”.
    Eppure Barbero ha voluto il dibattito, in un certo modo legittimando l’interlocutore. Frutto forse di una sapiente scelta di marketing dell’editore. Ma frutto anche dello tsunami di reazioni (alcune, per la verità, abbastanza scomposte) che hanno investito soprattutto in Internet l’uscita del libro. Reazioni in buona parte inevitabili, e non solo per gli argomenti ma perché già da un anno Barbero aveva fatto grancassa televisiva su ciò che stava scrivendo, diciamo una provocazione. Di cosa poteva lamentarsi? Aveva avuto ciò che in fondo voleva. Chi scrive e ha fatto da moderatore al dibattito, aveva colto le dichiarate preoccupazioni dell’editore perché la serata fosse civile e costruttiva. Quale è stata, in una libreria Laterza mai così colma di pubblico (soprattutto appartenenti a Movimenti meridionali) che non ha mai dato conferma della virulenza che col consueto pregiudizio gli si voleva attribuire, non ha mai sventolato bandiere o urlato come una Curva Sud. Così la serata è stata una vittoria per tutti. Ma anzitutto grazie a chi era sospettato di poter essere brutto, sporco e cattivo. Quanto a Fenestrelle, inutile ripeterne i dettagli. Secondo Barbero, una caserma nella quale dal 1860 al 1863 furono condotti soldati borbonici resistenti all’arruolamento nell’esercito italiano, e con qualche morto fra loro. Secondo il ferratissimo presidente dei Neoborbonici, il professor Gennaro De Crescenzo, un campo di concentramento nel quale i soldati borbonici furono deportati in massa e fatti morire di fame e di freddo. Una normale operazione militare secondo l’uno, una operazione stile Auschwitz secondo l’altro. Quale la verità? Ciascuno ha dato fondo ai suoi documenti. Con Barbero che ha rivendicato i suoi. E con De Crescenzo (un Maradona in materia grazie ai suoi studi di archivistica) che gli ha platealmente dimostrato come la documentazione utilizzata per il libro sia una minima parte di quella che comincia a essere finalmente disponibile. Barbero, ad esempio, non è mai passato da Napoli alla ricerca di fonti. Accusa cui ha reagito dicendo che lo storico scrive quando ritiene che la verità accertata sia sufficiente, altrimenti finora non si sarebbe ancora scritto niente del nazismo e dello sterminio degli ebrei. E con De Crescenzo che gli ha fatto notare come la verità possa essere non solo insufficiente ma del tutto distorta quando a essere trascurati sono addirittura decine di
    migliaia di documenti, quelli cui i Neoborbonici hanno accesso e continuano ad avere accesso, e non solo su Fenestrelle. Bisogna invece continuare a scavare. Non limitandosi agli archivi ufficiali, ma andando anche nelle parrocchie e negli ospedali. Barbero ha assicurato che se si accorgerà che c’è altro, ritornerà sull’argomento. De Crescenzo ha obiettato che se c’è un dubbio, non bisogna sparare teorie, specie quando si offende la memoria di un Sud che non ha visto mai citati da nessuna parte i suoi morti, insomma è stato cancellato dalla storia anche con le sue vittime di un’Italia che si aveva da fare. Non importa se a
    danno del Sud. Inevitabile anche lo scontro sulla lapide apposta dai Movimenti meridionali a Fenestrelle in ricordo delle vittime del Regno delle Due Sicilie. Secondo Barbero, un’autorizzazione concessa indebitamente, vista la sua versione di ciò che lì accadde. Secondo De Crescenzo, un atto che sarebbe stato dovuto anche se ci fosse stato un solo soldato meridionale morto. Morto per quella che, secondo la stessa copertina del libro dello storico torinese, fu una . Conclusione: bisognerà continuare a studiare in onestà per far rimarginare la ferita con la quale l’Italia unita nacque. Come anche Barbero ha ammesso, ancorché la sua verità (o presunta verità) sia già stata scodellata in 362 pagine. E quando dal compostissimo pubblico gli è stato chiesto cosa pensa del Museo Lombroso di Torino, ha risposto che la scientificità e le teorie del criminologo veneto-piemontese abbisognano perlomeno di un supplemento di indagini. Ma intanto le scolaresche continuano a passare davanti a teche coi
    teschi di meridionali a detta di Lombroso. E intanto il veleno contro il Sud continua a essere iniettato anche negli italiani di domani. Chissà perché il risolino iniziale del professor Barbero, peraltro studioso e persona di tutto rispetto, si è poi stemperato nel fitto colloquio finale con molti del pubblico. Forse non sapeva che erano discendenti di briganti, se briganti sono tutti i meridionali a caccia ancora di giustizia e verità 150 anni dopo.
    Lino Patruno, Bari, 12/12/12 ”
    Come si può notare non ne esce certamente bene “il fautore dei pochi morti a Fenestrelle”. Non ci resta che aspettare le conclusioni che si sono avute nel dibattito di Torino dell’11/12/ tra Di Fiore e Barbero.
    Nupo da Napoli.

  4. Cari tutti, mentre la passione e una certa voglia di riscatto per la storia del Sud non si discute, altra cosa mi sembra essere la vicenda della ricerca storica su Fenestrelle. A meno che non escano fuori altri documenti che dimostrino una volontaria falsificazione da parte delle autorità sabaude (cosa alquanto improbabile) dei documenti citati da Barbero, la questione mi sembra chiusa. Non ci fu nessun sterminio di truppe napoletane, continuare la polemica citando il decesso in ospedale di qualche povero soldato ammalato, offende non solo la memoria del milite, ma anche quella del comune pudore. A questo punto o saltano fuori nuove carte che comprovino l’esistenza di uno sterminio, oppure il continuo ripetersi di affermazioni relative a lager e stermini/genocidi sono solo delle volgari menzogne. Per poter affermare una tesi storica ci voglione delle prove e non dei ritagli di romanzi, di giornali di parte o la semplice citazioni di testi che hanno creato la notizia senza potersi basare su fonti.

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