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di Francesco Specchia da “Libero” del 12 gennaio 2012
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NOMI E COGNOMI
Nulla di nuovo, rispetto al grumo delle teorie complottiste fiorite nei decenni. Se non fosse che ora si fanno davvero nomi e cognomi. «(Il libro) indica in Haroldson Lafayette Hunt e Edwin Walker (il «petroliere più ricco del mondo e il generale più fascista degli Stati Uniti», scrive Saverio Tutino, l’unico giornalista che in Italia ne parlò sulle pagine di Linus) i massimi dirigenti del Comitato che ha pensato e portato a termine l’operazione dell’uccisione di JFK», continua la Limiti nella prefazione «e rivela pure che Edgar Hoover, capo dell’Fbi – e anche di una struttura parallela costituita da killer professionisti e addetta ai lavori sporchi, ad esempio far sparire i testimoni scomodi dell’assassinio di Dallas, secondo il racconto di un ex agente alle sue dipendenze, Michael Milan – era al corrente del complotto, così come lo stesso vicepresidente, Lyndon Johnson».
Ed ecco scorrere le citazioni di «compagnie che figuravano nei libri paga del Pentagono, la General Dynamics, la Lockheed, la Boeing, la General Electric e la Nord Aviation, non gradivano il controllo civile sulla Difesa inaugurato da Kennedy insieme al suo ministro Robert McNamara, e proprio nei loro uffici maturò, insieme a quelli che Hepburn chiama i “guerrieri”, cioè i vertici militari, l’idea di cambiare drasticamente registro. Inoltre le tre principali organizzazioni paramilitari, la John Birch Society, i Minutemen e il Ku Klux Klan, di cui Walker allevava i capi, e che vedevano in JFK un braccio dell’Unione Sovietica». «Il Comitato» sa molto di setta degli Illuminati, di Men in Black, di lobby potentissime che controllano il respiro del mondo. Il complotto, dunque, consegna ai posteri una ricostruzione simile a quella – sostenuta da importanti «confessioni», tra cui quella dell’ex agente Cia poi giallista Hoaward Hunt – accreditata anche da Jackie Kennedy, i cui dialoghi registrati con Arthur Schlesinger infiammarono le cronache, l’estate scorsa. Ma è il destino del libro in sè a lambire la storia della nazione. Se per pubblicarlo negli States e in Francia col titolo di Farewell America vennero create due case editrici fittizie, tra cui Frontiers Publishing Company, nel Belpaese intervenne direttamente Gianni Agnelli.
L’OMBRA DELL’AVVOCATO
Il quale ne commissionò sia la traduzione a Luca Bernardelli (che ricevette il manoscritto da un personaggio oscuro, che lo pagò in contanti), sia la pubblicazione ad un piccolo editore torinese, Albra, specializzato nella pubblicazione di testi scolastici. Albra lo diffuse nel novembre del 1968 con il titolo L’America brucia. Ma il dossier soggiornò pochissimo sugli scaffali. Agnelli, allora osteggiatore della scalata alla Montedison di Eugenio Cefis aveva coi Kennedy un rapporto viscerale: «Secondo alcune cronache del tempo, molto amico della first lady Jackie, Gianni Agnelli stabilì con JFK un vero sodalizio» che si sarebbe rivelato di grande importanza per il suo noviziato politico e le sue proiezioni ideali. «L’esempio trascinante di Kennedy, con il suo carisma e il gusto innato per le sfide lo contagiò senz’altro». Eppoi a misteri s’aggiungono misteri: «In questo scenario, appena tratteggiato, si materializzano copie del nostro misterioso libro nella città della Fiat: tra le pagine, nel capitolo dedicato ai «Petrolieri» c’è spazio anche per un’esaltazione della figura di Enrico Mattei…». In Germania la Bild scrisse che «il libro era esplosivo come una bomba in Canada, Belgio, Liechtenstein: ma non fu mai letto, perchè l’Fbi dappertutto si attivò per comprare quasi tutte le copie stampate per evitare contaminazioni…».
E a renderci finalmente negli anni 70 nota l’opera, a poterne pompare l’effetto mediatico fu la rivista famigerata e fortemente anti-Vietnam Ramparts. Attorno alla sua estemporanea pubblicazione orbita un mondo di ecclesiastici, di boiardi, di anticastristi, di società estere «di cui i Kennedy mai si fidarono». Al Complotto è allegato il contributo di Paolo Cucchiarelli sulle similitudini tra l’assassinio di Dallas e la nostra strage di piazza Fontana. Bob Kennedy aveva un sogno. Poter varcare, da presidente, il soglio della Casa Bianca con l’inchiesta sul fratello sottobraccio. Sparì lui, sparì l’inchiesta…
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Inserito su www.storiainrete.com il 23 gennaio 2012
Dr. Specchia, noi ci conosciamo, Lei mi intervistò nel 1998 su questo caso. Come fa a riproporre allora tutto lo sciocchezzaio riportato da Stefania Limiti, con la quale mi sono pure personalmente (ma inutilmente) confrontato? Tutino non sapeva niente sul delitto Kennedy, lo contattai nel 1996, e Bob Kennedy non commissionò a nessuno un’inchiesta alternativa. Lo so che il complotto vende, ma occorre anche un minimo di decenza e di dignità anche nel propagandare bufale del genere.