di Simone Paliaga da Libero del 26 giugno 2015
Prima di lui di cantonate, su queste agende, ne sono state prese parecchie, a cominciare da quella di Denis Mack Smith. Epperò ci sarebbero delle evidenze che potrebbero far propendere a favore dell’autenticità. Andriola stesso ha visionato il diario finora inedito in Svizzera. A rendere plausibile la genuinità di queste pagine del 1942 ci sarebbero diversi fattori. Che il collezionista elvetico, una volta contattato il mensile di divulgazione storica italiano, non abbia chiesto né cercato compensi deporrebbe per Andriola a favore della fonte. Ma soprattutto, secondo il direttore, ci sarebbero ulteriori elementi che potrebbero rendere verosimile che quello consultato sia un diario uscito direttamente dalla penna di Mussolini. Andriola infatti ha confrontato alcune pagine del presunto diario del 1942 del collezionista svizzero con alcune fotocopie di un altro diario dello stesso anno offerte in vendita, nel ormai lontano 1967, al Sunday Times da un italiano di nome Ettore Fumagalli. Alla fine, allora, l’affare era saltato. Ma di quelle carte, per quanto poi risultate false, la testata inglese ha conservato in archivio delle fotocopie. Dal raffronto tra le due versioni, quella integrale appena trovata in Svizzera e l’altra, è emersa però una scoperta bizzarra. Il contenuto sarebbe pressoché uguale. Ma ci sono alcune differenze. Nella gran parte dei casi presi in esame le pagine del Diario inedito risultano più fitte, coperte da una grafia più minuta e per questo contengono più parole. Invece la copia, pur riproducendo il testo di ogni pagina, taglia sempre qualche riga conclusiva.
Evidentemente il falsario non sarebbe riuscito a gestire nel migliore dei modi la propria grafia e spesso si interrompe qualche riga prima della fine perché lo spazio non è stato ben gestito e quindi il testo ha occupato più spazio del dovuto. Unica eccezione la si riscontra leggendo quanto scritto in data 29 giugno (anche se la notazione inizia sulla pagina del 17 luglio). Qui accade esattamente il contrario: il presunto falsario avrebbe usato uno stile di scrittura più piccolo dell’originale e quindi finisce di copiare il testo prima di arrivare alla fine della pagina. Così decide di colmare la parte rimasta bianca con quanto, nell’originale, si trova nel foglio seguente. A questo punto la schiera degli scettici potrebbe gonfiarsi. Ma, a opinione di Andriola, in maniera inopportuna perché sarebbe improbabile che esistano due falsi di una stessa agenda. Sarebbero stati inutili. Come è possibile vendere in contemporanea due copie di un documento che difficilmente l’eventuale acquirente avrebbe tenuto per sé? L’ipotesi avanzata da Andriola è che a casa Panvini si «falsificò», sì, ma copiando da un originale piuttosto che inventando di sana pianta.