Il 4 maggio 1919 fa a Pechino davanti alla Porta della Pace Celeste scoppiò una manifestazione di protesta contro le inique clausole di Versailles: in seguito alla Prima guerra mondiale il Giappone ottenne le colonie tedesche in territorio cinese. I giovani si scagliarono contro l’imperialismo straniero. Ma il Movimento del 4 maggio 1919 era anche un fermento intellettuale modernizzatore che cercava esempi in Occidente. E’ stato chiamato il Rinascimento cinese, per la scoperta di valori come scienza e democrazia. L’ordine costituito contro cui si scagliava quella generazione di giovani istruiti nella grandi città era il confucianesimo. Proprio la filosofia che oggi invece viene recuperata dal revisionismo di regime, in chiave paternalistica e autoritaria. La ribellione del ’19 era un sussulto di vitalità della élite intellettuale, umiliata dalla lunga decadenza della Cina. Da quell’episodio prese forza il moviemento repubblicano e popolare di Sun Yat-Sen. Più tardi si ispirò al 4 maggio anche Mao Zedong, capo del comunismo cinese, e Chang Kai-shek, comandante dei nazionalisti cinesi.
I discorsi dei leader cinesi hanno evitato di tornare sui conflitti e le contraddizioni scaturite da quel 4 maggio 1919, per privilegiare gli esempi costruttivi. “Studiate diligentemente – ha detto Hu Jintao agli studenti riuniti nell’aula magna della facoltà di Agricoltura – perché con patriottismo e devozione, lavorando duramente, costruirete una società migliore”. Vent’anni fa in questi stessi giorni, quei campus universitari erano in ebollizione: assemblee permanenti, dibattiti infuocati contro la dittatura del partito, dazebao di denuncia sul nepotismo e la corruzione politica. Presto dai campus una folla sarebbe sciamata per impadronirsi della Piazza Tienanmen, il simbolo del potere, iniziando il lungo sit-in e lo sciopero della fame troncato dall’esercito il 4 giugno successivo.