Home Risorgimento Cavour ha fatto l’Italia, l’Italia lo ignora

Cavour ha fatto l’Italia, l’Italia lo ignora

Nel primo decennio del nuovo secolo, tra il 2001 e quest’ultimo scorcio del 2009, il ministero dei Beni Culturali ha costituto ben 114 comitati nazionali per celebrazioni o ricorrenze varie. C’è, naturalmente, di tutto, da quelli creati per ricordare il bimillenario di Vespasiano o il settimo centenario della Beata Angela da Foligno fino a quelli destinati a commemorare i centenari della nascita di Leo Valiani, di Giulio Carlo Argan, di Franco Gentilini e via dicendo. Com’è naturale questi comitati – o, per meglio dire, le iniziative delle quali essi sono portatori – costano. E, spesso, abbastanza. Qualche milione di euro, più o meno. Il che, in tempi di vacche magre per il bilancio nazionale, non è davvero poco. Tuttavia, non è detto – malgrado quanto si potrebbe pensare guardando all’eco che tali iniziative hanno avuto presso la pubblica opinione – che si tratti di soldi buttati nel cestino. Ogni manifestazione che in qualche modo possa contribuire a rinsaldare i vincoli identitari del nostro Paese attraverso la memoria storica è benvenuta.

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Francesco Perfetti su dell’11 dicembre 2009

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Iniziative di singoli

Quel che colpisce, nell’elenco dei comitati nazionali presenti nel sito del Mibac, non è tanto la varietà delle presenze quanto piuttosto una assenza: quella di Camillo Benso conte di Cavour. Il prossimo anno, infatti, il 10 agosto, ricorrerà il bicentenario della sua nascita. E, a quanto sembra, non si ha notizia di celebrazioni ufficiali programmate. Si dirà che di tale omissione né il ministero dei Beni Culturali né tanto meno il ministro hanno responsabilità oggettiva dal momento che la costituzione di qualsiasi comitato nazionale per celebrazioni centenarie avviene, a termini di legge, a seguito di una delibera dell’apposita Consulta dopo la valutazione di proposte avanzate da singoli comitati promotori un anno prima dell’evento da celebrare.

Ma – è bene rilevarlo subito – la legge che disciplina l’istituzione dei comitati nazionali prevede pure che le Amministrazioni dello Stato possano farsi enti promotori di iniziative celebrative. E, nel caso in esame, quale amministrazione dello Stato, meglio del ministero dei Beni Culturali, anche di concerto con altri ministeri, potrebbe essere adatto? Per quanto riguarda Cavour, le cose stanno, evidentemente, in questi termini. O nessun comitato promotore è stato costituito per l’evento in questione o, nell’ipotesi in cui esso sia stato costituito, non è riuscito a ottenere consensi necessari dalla comunità degli studiosi o a dar prova di necessarie garanzie di serietà scientifica o, ancora, di avere i requisiti richiesti dalla normativa.

Potrebbe, infine, pur darsi – ma speriamo di sbagliarci – che le strutture ministeriali abbiano preferito privilegiare altri anniversari rispetto a quello del Conte di Cavour. In ogni caso si tratta di una vicenda, culturalmente parlando, tutt’altro che edificante. Rimane il fatto – lo ribadiamo – che, a tutt’oggi, non vi è notizia di celebrazioni ufficiali del bicentenario della nascita di Cavour.

Né si può pensare che esse possano confluire, per tutta una serie di motivi non solo organizzativi ma anche contenutistici, nelle manifestazioni in corso di programmazione per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.

Due altri grandi protagonisti del Risorgimento, Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, hanno avuto le loro celebrazioni ufficiali. E, proprio per questo, sarebbe non soltanto opportuno, ma addirittura necessario, ricordare, con iniziative che abbiano il crisma della ufficialità, la figura e l’opera del Conte di Cavour.

Il vero artefice del Risorgimento – l’uomo che, con il suo realismo liberale e con il suo spessore di statista, seppe dare uno sbocco concreto all’apostolato etico-politico di Mazzini e al romanticismo barricadiero di Garibaldi – fu appunto Cavour. Egli riuscì a superare le illusioni di chi pensava che l’Italia che si sarebbe potuta fare da sola per via rivoluzionaria e, con grande abilità diplomatica, trasformò la “questione italiana” in una “questione europea” da affrontare e risolvere, indipendentemente dalla partecipazione consapevole delle masse, con il ricorso alla diplomazia, con la stipula delle alleanze, con la partecipazione a guerre internazionali. Il Risorgimento senza Cavour non esiste. Per questo non è neppure concepibile che non vi siano, per lui, celebrazioni ufficiali. Significherebbe, se così accadesse, avallare di fatto, surrettiziamente, una immagine del tutto fuorviante del Risorgimento legata agli stereotipi del garibaldinismo.

La storiografia, quella più attenta e consapevole – non quella pseudo-storiografia tanto di moda che ama sbirciare dal buco della serratura e nutrirsi di pettegolume – ha da tempo sottolineato il fatto che il Risorgimento debba essere studiato non solo e non tanto come fatto puramente italiano ma come evento di portata europea.

La rivoluzione

Un grande storico, Franco Valsecchi, condensò in una frase sintetica e suggestiva quella che avrebbe dovuto essere la corretta prospettiva storiografica per capire davvero il Risorgimento: «Torino vista dall’Europa e non l’Europa vista da Torino». E un altro grande storico, Rosario Romeo, dopo aver distrutto in maniera definitiva le tesi gramsciane del Risorgimento come «rivoluzione agraria mancata», con la grande e magistrale biografia dedicata a Cavour, visto non più soltanto come “tessitore” dell’unità nazionale, ha ben dimostrato che il Risorgimento non può essere studiato se non nel contesto della storia dell’Europa dei movimenti liberali e nazionali.

Per questo non è ammissibile che Cavour sia il grande assente dalle celebrazioni dell’unità nazionale. Soprattutto adesso, in un momento nel quale, in nome di un improponibile e deteriore revisionismo storiografico, stanno esplodendo troppe pulsioni antirisorgimentali e stanno riprendendo quota tesi falsificatrici e fuorvianti. Verrebbe voglia di chiedersi: chi ha paura del Conte di Cavour? Ma forse nessuno ne ha paura. Forse – è l’ipotesi più semplice – il Conte di Cavour è stato soltanto dimenticato. E, per quanto non sia una bella cosa, si può rimediare. Ci rifletta il ministro Bondi.

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inserito su www.storiainrete.com il 17 dicembre 2009

9 Commenti

  1. E’ un giudizio ingeneroso, Sal. Cavour credeva sinceramente nelle sorti dell’Italia unita e si è consumato nello sforzo per realizzarla. Come Mosè nel mito biblico, non ebbe la possibilità di entrare nella sua terra promessa. E tuttavia ha senz’altro fatto errori. Ma solo chi non fa, non sbaglia.

  2. A distanza di 150 anni e’ ancora viva nei partenopei la sciagurata missione del Gen. Cialdini, che per combattere il nascente brigantaggio, che si opponeva al disegno unitario, colpi’ indistintamente famigliari, parenti e gente comune, ritenuti responsabili perche’ omertosi o non collaborativi.
    Nonostante questi metodi cruenti e inaccettabili, ritengo l’unita’ d’Italia una grande conquista politica e sociale, perche’ sono proprio le differenze culturali, storiche regionali che arricchiscono questo paese. Ercole.

  3. Il Conte dell’unita’d’Italia si faceva preparare i suoi discorsi in Italiano poiche’parlava per la maggior parte in Francese!Preparo’insieme a Mazzini e Garibaldi l’unita’d’Italia per impadronirsi delle ricchezze del Regno delle 2 Sicilie:3a potenza economica Europea!E da allora che il Sud ha iniziato ad emigrare lontano poiche’il grande progetto unitario lascio’miseria e poverta’in quel luogo che prima era un sistema economico potente,basato sul lavoro,sull’arte,sul sistema bancario e finanziario invidiato da tutti.Questa e’la storia!
    Enzo

  4. Questo revisionismo filo borbonico e questa visione bucolica del Regno delle Due Sicilie sono assolutamente ridicole…E’ appurato storicamente che il Regno di Napoli era, in quel periodo, lo stato più reazionario d’Europa e la sua economia era a livello medioevale. Il latifondismo della peggior risma, la corruzione diffusa e la povertà dilagante della sua popolazione erano lo scandalo degli stati civili. Quanto alla sbandierata terza potenza economica europea il Regno di Napoli possedeva alcuni piccoli opifici che alla caduta del sistema protezionistico borbonico saltarono alla velocità della luce….Purtroppo molti errori sono stati fatti dopo l’Unità, e anche questo è un fatto storico innegabile ma, per piacere, non distruggiamo anche quel poco di buono che è stato fatto almeno per rispetto di quei tanti giovani “terroni” e “polentoni” che morirono a Palermo, a Milazzo e al Volturno. Che il loro sacrificio sia servito a qualcosa….

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