Home Stampa italiana 1 Addio Rambaldi: ricordiamolo anche per l’Historiale di Cassino

Addio Rambaldi: ricordiamolo anche per l’Historiale di Cassino

Carlo Rambaldi è nella memoria di tutti per il suo contributo al cinema di fantascienza e del fantastico. Ma anche se lontano dalle luci di Hollywood, Rambaldi ha dato tanto anche alla memoria storica, dando un contributo fondamentale a quell’originale museo all’ombra della millenaria Abbazia di San Benedetto, dove ha voluto sperimentare un nuovo connubio di comunicazione e storia: l’Historiale di Cassino offre un percorso multimediale attraverso eventi bellici e momenti culturali, sociali e militari. Ma l’obbiettivo è quello di toccare il cuore e i sentimenti dei visitatori. Un allestimento unico nel suo genere, firmato dal maestro degli effetti speciali Carlo Rambaldi, che “Storia in Rete” ha visitato per i suoi lettori nell’estate del 2006.

di Emanuele Mastrangelo, da Storia in Rete n.7

Il primo impatto con l’Historiale è dato da un ordine quasi svizzero, che nel nostro Paese si può trovare solo in qualche caserma o in poche aziende private. Il parallelepipedo rivestito di pietra che ospita l’allestimento è circondato da curate aiuole dove pascola, ormai inoffensivo, un semovente cacciacarri M10 americano, relitto dei centoventisei giorni di aspre battaglie combattute fra Asse e Alleati nella valle del Liri nel 1944. E all’ordine «quasi svizzero» si unisce la delicatezza dei tratti delle guide, che fanno da Virgilio a «Storia In Rete» lungo il percorso predisposto dal maestro Carlo Rambaldi, quello di E.T. tanto per capirsi. Una parte del personale è di origine polacca, indice dell’attenzione che l’amministrazione dedica ai numerosi visitatori del paese mittleuropeo, i cui soldati furono protagonisti delle sanguinose giornate del 1944. L’interno dell’Historiale è buio: fin dalla prima sala è evidente che l’atmosfera è il primo obbiettivo dell’allestimento. Occorre coinvolgere il visitatore in un viaggio attraverso la morte e la risurrezione dell’Abbazia e con essa dell’intera Europa, di cui è stata seme germinale e simbolo. È proprio l’eclissi della coscienza di questo continente a determinarne la sua triste sorte: fra profughi, fucilazioni, le rovine di Dresda e gli ebrei deportati il volto di un monaco, chiuso in una cella, introduce i visitatori alla discesa verso l’inferno di macerie e cenere che fu la Valle del Liri nel 1944. La crisi della coscienza europea iniziata nel 1914, quando le nazioni si scontrarono in un’inutile guerra mondiale, è il tema della seconda sala. Da lì nasce la mala pianta che condurrà alla distruzione della Casa di San Benedetto e della sua valle. Dalle trincee della Grande Guerra sorgeranno i totalitarismi che porteranno al nuovo conflitto mondiale, quello del 1939-1945, nonostante le sbandierate iniziative di pace perpetua. Il tutto è sottolineato da una simbolica marcia di stivali chiodati. E nella nuova guerra totale l’Italia si trova a dover affrontare una lotta impari, che la spinge alla pace separata. È un trauma spaventoso: nel momento in cui il maresciallo Badoglio annuncia la fine delle ostilità con gli Alleati il giornalista Roberto Suster annota tristi appunti sulla fine dell’Italia come nazione. È un intero popolo che si getta a terra, «fra pianto e stridor di denti» verrebbe da dire, chiudendosi gli occhi e le orecchie con le mani mentre l’immane catastrofe del fronte attraversa la penisola da sud a nord, come una cintura di fuoco e ferro. Nella quarta sala ecco avvicinarsi il momento della grande battaglia di Cassino: le armate alleate avanzano faticosamente, ostacolate dai tedeschi e dal terreno sfavorevole, appressandosi, un monte dietro l’altro, un fiume dietro l’altro, a quello che diventerà «il monte» per eccellenza.

Gli angloamericani pagarono un tributo di sangue altissimo. Il regista John Ford è al seguito delle truppe statunitensi: filma ciò che vede a San Pietro Infine, e lo mostra agli alti ufficiali del Pentagono. Questi, uno per uno, abbandonano la sala senza una parola, lasciandolo solo davanti alle crude immagini, per giunta già fortemente edulcorate durante il montaggio. I generali non vogliono sapere del macello delle fanterie. Ford ha un solo commento: «che stronzi». Di fronte al filmato che illustra lo sforzo ed il sacrificio dei fanti americani (i «G.I.»), i curatori dell’Historiale hanno scelto di proiettare anche un cinegiornale dell’Asse, che invece testimonia l’impegno tedesco per salvare i tesori dell’Abbazia: il tenente colonnello Julius Schlegel, agli ordini del comandante del XIV Panzerkorps generale Von Senger und Etterlin (terziario benedettino, non a caso a comando di questo particolarissimo settore del fronte) di sua iniziativa fa ricoverare nei palazzi vaticani della Capitale, «città aperta», la biblioteca e quanto è possibile trasportare dell’immenso patrimonio artistico della Casa di San Benedetto. Ma non è possibile portar via gli affreschi, le statue, gli stucchi, i muri che tanta storia hanno visto e tanta bellezza e pietà testimoniano. E su di esse si abbatterà la tempesta d’acciaio e fuoco del nemico. È quanto documenta la sala 5: un filmato, sottolineato dal «Dies Irae» di Verdi, mostra l’Abbazia che viene colpita senza quartiere dalle bombe d’aereo, dai proiettili dell’artiglieria. La terra trema: è l’apocalisse. Perfino i soldati alleati guardano lo spettacolo attoniti. Non ci sono parole, quasi, per descrivere quello scempio inutile e sacrilego. E dopo la Casa di San Benedetto viene il turno dei paesi della Valle. La sala successiva è un diorama allucinante a grandezza naturale delle rovine in cui quelle ridenti contrade sono state ridotte dal passaggio dei bombardieri alleati. Su un muro, graffiti, i versi di T. S. Eliott: «Deserto e vuoto, deserto e vuoto, e tenebre sull’orlo dell’abisso». Quasi come una maledizione che si deve ritorcere sugli alleati, l’Abbazia in rovine diviene ora una fortezza inespugnabile. La sala 7 ci riporta ad una dimensione più umana, quella della guerra dell’umile fante, delle armi e del fango, delle tattiche contrapposte. Carte geografiche militari e un teatro olografico dove due personaggi, un tedesco ed un americano, illustrano le rispettive strategie. Sulle rovine calcinate dell’Abbazia e del paese si infrangono ad una ad una le ondate di assalto degli alleati. Poi, finalmente la rottura del fronte nel maggio del 1944. La guerra passa. Restano le macerie e la disperazione della gente. La sala 8 è l’unica che sembra quella di un convenzionale museo: cartine, plastici e diorami, cimeli ed ordini di battaglia. Gli inni nazionali delle potenze che si scontrarono nella Valle del Liri suonano uno dietro l’altro, a sottolineare come non importi a quale nazione appartennero gli uomini che qui combatterono e morirono.

Si torna quindi ad una storia meno ordinaria: è quella dei testimoni, della gente comune che si vide piombare la guerra addosso come una punizione sovrannaturale e fatale. In disparte, perché i bambini e le persone più sensibili non siano obbligate ad assistervi, vengono proiettate anche le interviste ai testimoni delle migliaia di stupri e violenze commesse dalle truppe coloniali francesi ai danni delle popolazioni ciociare. E questa gente fu quindi obbligata ad una scelta dolorosa: ricostruire fra le rovine oppure emigrare. Ecco perché agli emigranti è dedicata la sala successiva, fra valigie di cartone e poveri stracci. È un’intera nazione, quasi, che emigra, e va a portare la fecondità del proprio lavoro in tutto il mondo.
E nel frattempo? Nel frattempo Cassino e Montecassino risorgono. La speranza è troppo forte: un filmato simbolico mostra giovanissime ballerine mettere in scena una danza di rinascita. Nulla può impedire alla Casa di San Benedetto e alla Valle che la ospita di tornare a vivere sopra le macerie. Nell’ultima sala, in quello che nelle intenzioni di Rambaldi non è né vuol essere un plastico, un diorama o un presepe, costruito con materiali monocromi come le foto in bianco e nero dell’epoca, si mostra la valle devastata, fra rovine, scoppi, gente in fuga e cadaveri. E sullo sfondo la mano di Dio scende dal cielo verso l’uomo, per rialzarlo e spingerlo a nuova vita.

L’impatto che queste sale hanno è vigoroso e commovente: Ilenia, la guida, spiega che i bambini seguono tutto con attenzione incredibile per essere parte della «generazione play-station», mentre gli anziani piangono e, a volte, chiedono di uscire, scusandosi per essere stati soverchiati da tante emozioni e tanti ricordi. Le scolaresche si interessano, subissano le guide di domande, alla fine ringraziano le graziose signorine che le hanno guidate nelle 13 sale del percorso.
«L’Historiale può essere un eccellente propedeutico ad ogni visita storica ulteriore nella Valle del Liri» dice il professor Aldo Gervasio, che illustra a «Storia in Rete» aspetti e prospettive dell’iniziativa dopo la visita. «Esso è stato progettato dal Maestro Rambaldi per catturare i cuori dei visitatori, prima che fare una lezione di storia. Ed una volta catturati i cuori delle persone si può loro parlare di molte cose che altrimenti gli resterebbero del tutto indifferenti. È quello che diceva, del resto, Nietzsche, nella prefazione di “Genealogia della Morale”». Dietro all’edificio dell’Historiale quattro sale ospitano una collezione di fotografie del 1944 che mostrano in altrettanti percorsi della memoria gli effetti del passaggio del fronte in Campania, nel Lazio e in Molise. Le città devastate, i soldati, la popolazione travolta. Fra queste foto, colpisce una in particolare: in un paese ancora ridotto in rovine la gente pianta fiori nell’aiuola del monumento al Milite Ignoto.

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Inserito su storiainrete.com il 10 agosto 2012

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