Francesco Perfetti, da “Il Tempo” 10/06/2009
E non c’è dubbio che questa lettura abbia finito per pesare nei rapporti fra Italia e Francia proiettando un’ombra sinistra e irritante sulle relazioni diplomatiche fra i due paesi e condizionando gran parte della storiografia. In un attento e approfondito studio che Maurizio Serra, diplomatico e storico di indiscusso valore, ha premesso all’edizione italiana dei ricordi di François-Poncet – «A Palazzo Farnese. Memorie di un ambasciatore a Roma 1938-1940» (pp. 146, Euro 16), editi dalla casa editrice Le Lettere – si fa notare che la versione di Ciano era la più vicina al vero perché certamente l’attacco alla Francia in ginocchio era “un atto vile ma non traditore”, come sembra evocare l’impropria espressione del “colpo di pugnale alla schiena”, perché i rapporti fra i due paesi non erano all’epoca né di alleanza né di inimicizia.
Quella espressione, inoltre, implica l’idea di una vera e propria sorpresa, che in realtà non ci fu. La frontiera delle Alpi, infatti, era rimasta la più munita del dispositivo militare francese e la Marina francese, sin dal settembre 1939, aveva messo a punto e aveva caldeggiato il piano di un possibile attacco preventivo contro l’Italia. Le memorie di François-Poncet, mai pubblicate prima d’ora in Italia, offrono non solo un contributo di primo piano alla conoscenza di una pagina drammatica della nostra storia più recente, ma certificano il fallimento della “missione impossibile” del diplomatico francese. Questi, uomo di grande cultura, era stato ambasciatore in Germania dove aveva assistito alla fine della Repubblica di Weimar, all’ascesa di Hitler e all’avvio della politica espansionistica del nazionalsocialismo.
Fu proprio lui a chiedere di essere destinato a Roma nella convinzione, maturata dopo la Conferenza di Monaco, che Mussolini avrebbe potuto influenzare Hitler e salvare la pace. Era, certo, una illusione, perché il capo del fascismo era ormai legato alla Germania e aveva una sorta di complesso nei confronti del dittatore tedesco. Tuttavia, François-Poncet rimase convinto, almeno fino all’inizio del 1940, che ci fossero concrete possibilità per mantenere l’Italia fuori dal conflitto e si adoperò, cercando di forzare la diffidenza del Quai d’Orsay, per evitare che si bruciassero i ponti con l’Italia. In questo quadro maturarono quei rapporti di cordialità e di stima, se non proprio di amicizia, con Galeazzo Ciano che paventava ormai, insieme a pochi altri l’eventualità della guerra. Rapporti che resero drammatico, imbarazzante e doloroso l’incontro del 10 giugno.
Francesco Perfetti
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Inserito su www.storiainrete.com il 10 giugno 2009
Questioni di lana caprina di un revisionismo disperato e doppiopesista.
Pugnalammo alla schiena sia la Francia che la GRECIA e invademmo per bramosia coloniale Libia e i Paesi del Corno d’Africa, amazzando centinaia di migliaia di persone in una guerra di pura aggressione, utilizzando persino ami chimiche, alleati al mostro nazista e a quello nipponico che massacrò Asia e Oceania.
Lo stesso vigliacco Mussolini disse candidamente che aveva bisogno di qualche migliaio di morti per sedere al tavolo della “pace” (cioè della spartizione).
Non c’è revisionismo di comodo che potrà cambiare questi FATTI.
Topesio, complimenti, hai scoperto la STORIA. Che dai tempi di Adamo ed Eva va avanti più o meno come hai descritto tu, sotto ogni cielo.
Ritengo pertinente alla discussione relativa alle lettere inviate da esponenti politici francesi a Casa Savoia prima del 10 giugno 1940 per far entrare l’Italia fascista in guerra a fianco della Germania nazionalsocialista, il recentissimo (novembre 2016) saggio storico-politico di Alessandro De Felice intitolato “Umberto II ed il mistero dell’Archivio Savoia scomparso per il ‘900 e la seconda guerra mondiale”, Sinclair R&A Edizioni, Milano, che ho acquistato da poco e che sto leggendo attualmente.